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Deficit di alfa-1-antitripsina: cos’è e come si manifesta

Il deficit di alfa-1 antitripsina è una malattia genetica legata a livelli ridotti di proteina alfa-1 antitripsina. La proteina è sintetizzata dal fegato e serve a inibire alcuni enzimi che, se presenti in eccesso, danneggiano i tessuti polmonari. Ciò compromette le funzionalità respiratorie e causano l’insorgere di enfisema.

La gravità dei danni e l’età della comparsa dei sintomi possono cambiare da soggetto a soggetto. Capita che la malattia rimanga silente nelle persone che non fumano, mentre si manifesta più velocemente nei fumatori. In alcuni casi, il deficit colpisce anche il fegato e provoca la comparsa di ittero. Può capitare perfino nei primi giorni o mesi di vita. Ciononostante, queste manifestazioni infantili non sono sempre correlate a quelle che compaiono in età adulta.

Il deficit di alfa-1-antitripsina è una malattia genetica autosomica recessiva. La variante si trova in un gene del cromosoma 14. Affinché la malattia si manifesti, bisogna ereditare l’anomalia da entrambi i genitori. Se uno dei due genitori è affetto dalla patologia o sa di essere portatore sano di varianti a rischio, è possibile effettuare un test di diagnosi prenatale.

Per il momento, la terapia per il deficit di alfa-1-antitripsina è soprattutto sintomatica. Di recente, è comparsa anche una terapia sostitutiva raccomandata dai medici. Questa prevede la somministrazione di proteina alfa-1-antitripsina umana purificata. Ciononostante, si tratta di una terapia ancora sperimentale e che solleva qualche dubbio. Al momento mancano studi clinici rigorosi che ne provino l’efficacia.

Nei pazienti affetti da grave compromissione epatica, è possibile effettuare il trapianto di fegato. A seguito dell’operazione, la malattia risulta curata in maniera definitiva.

Fonte: telethon.it

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Coronaropatia: cos’è e come si manifesta

Con il termine coronaropatia si indica un’alterazione a carico delle arterie coronariche del cuore. L’alterazione può avere una natura sia anatomica sia funzionale. La più comune è la coronaropatia arteriosclerotica, ma si possono verificare anche processi infiammatori legati alla scarsità di sangue. Inoltre, le possibili cause possono essere legate sia allo stile di vita sia a fattori genetici.

Il cuore ha tre arterie principali:

  • intraventricolare;
  • circonflessa;
  • coronarica.

Talvolta grasso e colesterolo si accumulano sulle pareti interne delle arterie, formando le cosiddette placche. Il flusso sanguigno rallenta e il miocardio smette di ricevere sangue a sufficienza. Le placche provocano anche un irrigidimento delle pareti arteriose, noto come indurimento delle arterie o aterosclerosi. Perché questo accade?

Ci sono dei fattori di rischio intrinsechi nell’individuo, come la predisposizione genetica, l’età e il genere. I fattori modificabili hanno però un ruolo essenziale, che può determinare la comparsa o meno della malattia. Tabagismo, ipertensione, obesità e sedentarietà interagiscono con i fattori genetici e aumentano il rischio di coronaropatia.

Affinché le arterie si ostruiscano possono volerci diversi anni. Spesso i sintomi sono minimi e diventano rilevanti solo quando la malattia è a uno stadio avanzato, se non fatale. I sintomi più comuni sono dolore al petto, stanchezza, dolore al braccio e all’addome. Ce ne sono però molti altri che dipendono dalla fisicità e dallo stile di vita della singola persona.

La diagnosi avviene mediante un’analisi del quadro clinico e accertamenti medici tra cui: elettrocardiogramma, ecocardiogramma, esame sotto sforzo, ecografia intravascolare, angiogramma coronarico.

Fonte: pharmastar.it

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ADA-SCID: cos’è e come si manifesta

L’ADA-SCID è una malattia genetica rara che colpisce il sistema immunitario. Si stima che ogni anno nascano circa 350 bambini malati in tutto il mondo. Chi ne soffre è incapace di difendersi dalle infezioni, anche dalle più innocue.

La malattia si manifesta già nei primi mesi di vita attraverso infezioni ricorrenti e aggressive. I piccoli incorrono in un improvviso rallentamento della crescita e in anomalie scheletriche. Si ammalano spesso e bastano infezioni lievi per provocare complicazioni gravi, tra le quali sordità e alterazioni neurologiche. Se non trattata, la malattia risulta fatale entro i primi mesi di vita.

L’ ADA-SCID è causata da un’anomalia del gene ADA, che codifica per l’enzima adenosina deaminasi (ADA). L’enzima ha un ruolo determinante nella maturazione dei linfociti, le cellule che difendono l’organismo dalle infezioni. Affinché la malattia si manifesti, è necessario che il bambino abbia ereditato il gene malato da entrambi i genitori. Ad ogni gravidanza, una coppia di portatori sani ha il 25% di probabilità di generare un figlio malato.

Qualora ci fossero casi conclamati di ADA-SCID in famiglia, è possibile effettuare la diagnosi prenatale. Altrimenti, la diagnosi avviene mediante osservazione clinica ed esami di laboratorio.

Fino a qualche anno fa, i bambini affetti da ADA-SCID erano costretti a vivere in stanze isolate. L’unica speranza era il trapianto di midollo osseo, con tutte le limitazioni ad esso legate. In alternativa, c’è una terapia sostitutiva a base di enzima ADA di origine bovina e non sempre efficace. Per fortuna la ricerca sta facendo grandi passi in avanti con la terapia genica, disponibile a partire dal 2016.

Fonte: telethon.it

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I test prenatali contro la sifilide sono sempre più importanti

L’United States Preventive Services Task Force (USPSTF) raccomanda a tutte le donne di eseguire test prenatali per la sifilide. Il numero di contagi negli Stati Uniti è infatti raddoppiato tra il 2012 e il 2016. La malattia è quindi un pericolo reale, che rischia di coinvolgere adulti e perfino neonati. La dimostrazione sta nell’aumento dei casi di sifilide congenita.

La sifilide è una malattia sessualmente trasmissibile, ma è possibile che la madre contagi il feto durante il parto. In questo caso si parla di sifilide congenita, condizione legata a morte neonatale. Nel 2012 erano stati registrati 8.4 casi ogni 100.000 nuovi nati. Nel 2016, il numero è salito a 15.7 casi ogni 100.000 nuovi nati.

Il numero che fa più paura è un altro, però. Uno studio del 2014 riportava che il 20% delle donne incinte malate di sifilide non aveva ricevuto nessun trattamento prenatale. Tra quelle che avevano avuto una diagnosi, il 30% aveva ricevuto trattamenti inadeguati. In più, il 43% non aveva ricevuto nessun trattamento specifico per la sifilide, nonostante le cure prenatali generali.

In considerazione dei dati raccolti, l’USPSTF raccomanda screening ripetuti lungo tutta la gestazione. Un solo screening nel primo trimestre potrebbe essere insufficiente, specie in caso di soggetti ad alto rischio. La Task Force raccomanda di spingere il test soprattutto tra donne con storie di droga e malattie sessualmente trasmissibili. Nel caso degli Stati Uniti, quindi, sarebbe bene che le assicurazioni sanitarie inserissero lo screening contro la sifilide tra i servizi offerti.

Fonte: medscape.com

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