L’emocromatosi ereditaria è una malattia genetica che causa un accumulo di ferro nell’organismo. La forma classica è la più frequente e compare in età adulta, rimanendo spesso asintomatica per tutta la vita. Le conseguenze più evidenti si manifestano di solito con il passare degli anni: stanchezza cronica, dolori articolari, cirrosi epatica, problemi cardiaci, diabete.
Esiste anche una forma giovanile, più grave e che si manifesta tra i 10 e i 20 anni con gravi problemi cardiaci. La terza forma è intermedia tra le prime due, mentre la quarta è la più eterogenea. In alcuni casi assomiglia alla forma classica, mentre in altri è più benigna.
Le prime tre forme sono tutte causate dal malfunzionamento della epcidina, l’ormone del ferro. La quarta è invece incentrata sulla ferroportina, bersaglio dell’azione del primo ormone. Le anomalie ormonali in questione sono legate alle alterazioni di diversi geni, con anche diverse modalità di trasmissione.
- Forma classica, gene HFE e modalità autosomica recessiva.
- Forma giovanile, geni HAMP e HJV con modalità autosomica recessiva.
- Terza forma, gene TFR2 e modalità autosomica recessiva.
- Quarta forma, mutazioni nel gene codificante per la proteina ferroportina e modalità autosomica dominante.
Il primo segnale di emocromatosi ereditaria sono i valori alterati del ferro nel sangue. A questo punto si prosegue con un’analisi dei depositi di ferro a livello epatico, che risultano aumentati. Per farlo si usa una risonanza magnetica o una biopsia epatica, in casi più rari. La conferma finale arriva dall’analisi genetica.
La terapia standard prevede la salassoterapia, ovvero il prelievo di circa 400 ml di sangue a settimana. La si fa 2-6 all’anno a seconda delle necessità, finché i valori di ferro non sono tornati nella norma. I soggetti che non possono fare i salassi usano i chelanti, farmaci che catturano il ferro. Se si interviene prima che il ferro danneggi il fegato, l’aspettativa di vita è normale.
Fonte: telethon.it
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