Un prestigioso studio della Yeshiva University di New York dà un’ulteriore conferma scientifica della correlazione tra incidenza della sindrome di Down ed età della futura mamma, spiegando le ragioni genetiche di questo legame.
Il fatto che le donne con età avanzata siano più a rischio di partorire un neonato con la sindrome di Down è piuttosto noto, ma non erano ancora state formulate dalla comunità scientifica ipotesi di spiegazioni di tale correlazione. Recentemente una ricerca della Yeshiva University di New York ha indagato la causa di questo legame, individuando nella “ricombinazione” dei geni, che con l’avanzare dell’età diventa più frequente e più ravvicinata in senso temporale.
Lo studio ha preso in esame un campione di circa 4.200 famiglie con almeno due figli e ha analizzato nello specifico proprio il processo di “ricombinazione” dei cromosomi. Si è osservato che, se in tale processo si presenta un errore oppure rimane in completo, ne derivano delle anomalie cromosomiche, che possono portare appunto alla sindrome di Down. Tali anomalie, come è noto, sono più frequenti con l’aumentare dell’età della madre, anche se ciò non significa che le future mamme più giovani siano immuni da questa possibilità.
La ricerca americana rappresenta un passo in avanti notevole nella conoscenza dei meccanismi di funzionamento della meiosi (divisione cellulare), che è un elemento molto importante per affinare ricerca e diagnosi precoce. Per diagnosticare la sindrome di Down, la futura mamma può sottoporsi a diverse tipologie di test: da amniocentesi e villocentesi (consigliate soprattutto per donne con più di 35 anni) al Tri-Test, che prevede una combinazione di esami da effettuare tra la quindicesima e la ventesima settimana di gestazione, a cui possono sottoporsi senza problemi anche le future mamme più giovani (non è invasivo né rischioso).
Fonte: “Bimbi Sani e Belli”
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Aurora magazine
Malattie genetiche: la Sindrome di Lesch-Nyhan
Questa malattia genetica rara, originata da un difetto dell'enzima HGPRT, colpisce i più piccoli, che hanno acido urico alto e spesso calcoli renali. I bambini che ne soffrono non hanno il controllo e, dopo i due anni di età, talvolta presentano importanti problemi comportamentali.
La Sindrome di Lesch-Nyhan è una patologia ereditaria legata a un deficit dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi, che ha origine da mutazioni nel gene HPRT1 (cromosoma X). I segnali più evidenti della malattia sono rappresentati da un’elevata produzione di acido urico già dai primi giorni di vita e dalla presenza di urine sabbiose, che si accompagna con l’ostruzione delle vie urinarie. Talvolta chi è affetto da questa sindrome presenta anche anemia. Con la crescita poi i bambini cominciano a presentare problemi neurologici e motori ancora più visibili, come per esempio l’incapacità di assumere una posizione eretta oppure la presenza di frequenti movimenti involontari. Alcuni bambini soffrono di disartria oppure sviluppano forme di spasticità e ipereflexia. Intorno ai due anni di età, inoltre, possono iniziare a manifestarsi disturbi comportamentali, talvolta associati a fenomeni di autolesionismo ossessivo-compulsivo oppure di aggressività verso gli altri. La Sindrome di Lesch-Nyhan viene diagnosticata mediante test genetici che ricercano appunto la presenza di mutazioni del gene HRT1. Moltissimi sono i casi in cui la diagnosi si rivela tardiva: la malattia viene confusa spesso con la tetraparesi distonica o patologie simili. Questa sindrome, invece, richiede trattamenti specifici e un’assistenza ad hoc. Nel nostro Paese i casi di Sindrome di Lesch-Nyhan sono circa una quarantina.
Fonte: Osservatorio Malattie Rare Add a comment
La Sindrome di Lesch-Nyhan è una patologia ereditaria legata a un deficit dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi, che ha origine da mutazioni nel gene HPRT1 (cromosoma X). I segnali più evidenti della malattia sono rappresentati da un’elevata produzione di acido urico già dai primi giorni di vita e dalla presenza di urine sabbiose, che si accompagna con l’ostruzione delle vie urinarie. Talvolta chi è affetto da questa sindrome presenta anche anemia. Con la crescita poi i bambini cominciano a presentare problemi neurologici e motori ancora più visibili, come per esempio l’incapacità di assumere una posizione eretta oppure la presenza di frequenti movimenti involontari. Alcuni bambini soffrono di disartria oppure sviluppano forme di spasticità e ipereflexia. Intorno ai due anni di età, inoltre, possono iniziare a manifestarsi disturbi comportamentali, talvolta associati a fenomeni di autolesionismo ossessivo-compulsivo oppure di aggressività verso gli altri. La Sindrome di Lesch-Nyhan viene diagnosticata mediante test genetici che ricercano appunto la presenza di mutazioni del gene HRT1. Moltissimi sono i casi in cui la diagnosi si rivela tardiva: la malattia viene confusa spesso con la tetraparesi distonica o patologie simili. Questa sindrome, invece, richiede trattamenti specifici e un’assistenza ad hoc. Nel nostro Paese i casi di Sindrome di Lesch-Nyhan sono circa una quarantina.
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Test genetici sulla futura mamma possono agevolare la diagnosi di autismo del feto
Secondo gli ultimi studi, lo sviluppo prenatale del feto rappresenta un periodo molto importante per studiare l'insorgere dell'autismo. Gli epidemiologi lo considerano un momento critico, in cui è possibile esaminare le variazioni nel DNA e quindi ricavare informazioni sui fattori che determinano lo sviluppo di autismo nei bambini.
Una ricerca condotta dagli scienziati della Johns Hopkins University School of Medicine, guidata da M.D. Fallin, si è posta l'obiettivo di determinare se la metilazione del DNA della futura mamme, durante i mesi della gravidanza, fosse legata ai sintoni di autismo mostrati dal bambino a un anno di vita.
Dopo aver analizzato i campioni di sangue provenienti da 79 donne incinte di bambini rivelatasi autistici, i ricercatori hanno trovato nel sangue materno specifici marcatori genetici legati allo sviluppo di questa malattia. Inoltre, un simile legame è stato scoperto anche con marcatori genetici legati allo sperma del padre.
Seppur ancora da sottoporre a ulteriore verifica, questi risultati sembrano dunque affermare come l'epigenetica possa ricoprire un ruolo nell'analisi del rischio di autismo e l'analisi di campioni biologici dei genitori del nascituro possa essere importante. I ricercatori concordano comunque sul fatto che i fattori di rischio per l'autismo sono sia di carattere genetico sia ambientale, ma che tuttavia non si è ancora compreso fino in fondo il meccanismo attraverso il quale essi interagiscono.
Fonte: "Forbes"
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