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Ceroidolipofuscinosi neuronali giovanili: cosa sono

La malattia di Batten fa parte delle ceroidolipofuscinosi neuronali giovanili, che fanno a propria volta parte delle ceroidolipofuscinosi. Si tratta di un gruppo di malattie molto eterogenee dal punto di vista genetico, che si manifestano in età scolare. Sono diffuse soprattutto nei paesi Scandinavi e solo in Finlandia l’incidenza è di 1 ogni 21.000 nascite. Negli Stati Uniti, invece, si stimano circa 2-4 casi ogni 100.000 nuovi nati.

La malattia di Batten è la forma più diffusa di ceroidolipofuscinosi neuronali giovanili. Si manifesta attorno ai 6 anni con un progressivo deterioramento della vista. Per il resto il bambino sembra sano. Nel giro di pochi anni sopraggiunge la cecità, seguita dal declino cognitivo e dai primi sintomi dell’epilessia. Con il tempo compaiono demenza e disturbi motori sempre più gravi, in alcuni casi accompagnati da comportamento aggressivo.

Le ceroidolipofuscinosi neuronali giovanili si trasmettono con modalità autosomica recessiva. Nel caso della CLN9, si conosce il fenotipo – identico alla malattia di Batten – ma non il gene che la causa. La diagnosi avviene grazie al test enzimatico e all’osservazione clinica, tra cui i linfociti infiltrati di vacuoli. Per confermare la diagnosi si usa il test molecolare.

Purtroppo per il momento esistono solo trattamenti sintomatici e mancano le terapie risolutivi. Ci sono cure palliative che prevedono la somministrazione di farmaci anticonvulsivanti, ma anche interventi psichiatrici e psicologici. L’aspettativa di vita è variabile, a seconda del tipo di malattia. Nel caso della malattia di Batten, si aggira attorno ai 30 anni.

Fonte: orpha.net

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Malattie da accumulo lisosomiale: cosa sono e come si manifestano

Il gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale comprende circa 50 patologie. Sono tutte accomunate da un’alterazione nelle funzioni dei lisosomi, gli organuli che dovrebbero degradare gli scarti del metabolismo cellulare. Di solito, queste alterazioni sono causate da un deficit degli enzimi che ne regolano l’attività. Ciò porta all’accumulo di sostanze di scarto dentro i lisosomi, danneggiando i tessuti.

Le malattie da accumulo lisosomiale sono sistemiche, quindi interessano più organi insieme. Gran parte di queste si manifestano con i seguenti sintomi:

  • fegato e milza ingrossati;
  • sistema nervoso centrale danneggiato;
  • funzioni neurologiche alterate;
  • problemi agli occhi;
  • disturbi cardiaci;
  • disturbi muscolari.

L’età in cui si manifestano i primi sintomi può variare, ma di solito capita in età pediatrica. La diagnosi parte dall’osservazione clinica, cui seguono gli esami di laboratorio e il dosaggio degli enzimi. Nelle coppie di portatori sani, è possibile effettuare la diagnosi prenatale. Qualora siano entrambi portatori, infatti, c’è il 25% di probabilità che il figlio manifesti la malattia. Nella malattia di Fabry e nella mucopolisaccaridosi di tipo 2, possono ammalarsi solo i maschi.

Le terapie disponibili variano molto a seconda della malattia specifica, ma per il momento non ci sono cure risolutive. Tra le terapie disponibili ci sono quella enzimatica sostitutiva, il trapianto di midollo e quella farmacologica per degradare le sostanze di scarto.

Fonte: telethon.it

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Xeroderma pigmentoso: cos’è e quali sono le cause

Con l’espressione xeroderma pigmentoso ci si riferisce a un gruppo di malattie genetiche ereditarie. Le patologie provocano un’estrema sensibilità alle radiazioni ultraviolette, rendendo impossibile esporsi alla luce del sole. Chi ne soffre rischia di sviluppare lesioni agli occhi e alla pelle, che possono degenerare in tumori.

Lo xeroderma pigmentoso si manifesta nei primi mesi di vita. I primi sintomi sono macchie cutanee  sulle zone esposte alla luce solare e irritazioni agli occhi. Il bambino manifesta una secchezza estrema della pelle, che la rende fragilissima. Nelle forme a insorgenza tardiva (15-40 anni), può sviluppare anche anomalie neurologiche o nello sviluppo.

La gravità dei sintomi e l’età in cui si manifestano possono essere molto variabili. I ricercatori hanno identificato 7 gruppi di xeroderma pigmentoso, ciascuno con le proprie caratteristiche genetiche. I geni coinvolti sono legati soprattutto al processo di riparazione del DNA, per cui il codice dentro le cellule non riesce più a correggere i danni.

La trasmissione delle malattie avviene con modalità autosomica recessiva: affinché si manifestino, bisogna ereditare due copie alterate del gene. Nel caso in cui siano noti i geni coinvolti, è possibile effettuare una diagnosi prenatale. Altrimenti, la diagnosi avviene soprattutto mediante osservazioni cliniche e un test che esamina le capacità di auto-ripararsi del DNA dei fibroblasti, le cellule della pelle.

Oggi non esiste una terapia risolutiva contro lo xeroderma pigmentoso. I medici consigliano di evitare l’esposizione alla luce solare, così da ridurre il rischio di lesioni tumorali. Chi soffre della malattia deve evitare anche lampade alogene e neon, fonti di radiazioni ultraviolette. Inoltre, dato l’impatto sulla vita di chi ne soffre, si consiglia anche un’adeguata assistenza psicologica.

Fonte: telethon.it

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Sindrome fenilchetonurica: cos’è e come si manifesta

La sindrome fenilchetonurica o fenilchetonuria è una malattia genetica che interessa il metabolismo. Chi ne soffre manifesta un’anomalia nel gene che codifica per l’enzima fenilalanina-idrossilasi. Di conseguenza, l’organismo non riesce a convertire l'aminoacido essenziale fenilalanina in tirosina, precursore della dopamina. La fenilalanina si accumula nel sangue e nei tessuti, causando deficit di serotonina e dopamina. Se non affrontata per tempo, la sindrome fenilchetonurica provoca un grave ritardo mentale.

La malattia è causata da mutazioni che interessano il gene PAH e si trasmette con modalità autosomica recessiva. Entrambi i genitori devono essere portatori sani della malattia e il figlio deve ereditare il gene anomalo da entrambi. L’iperfenilalaninemia benigna è una forma meno grave della malattia, nella quale si mantiene un livello minimo di enzima.

La diagnosi della fenilchetonuria parte dal test di Guthrie o da un altro test analogo. Lo si effettua sui neonati e richiede solo una goccia di sangue. Permette una diagnosi veloce e precisa, così da consentire di intervenire fin da subito con i trattamenti necessari. Qualora ci fossero già stati casi in famiglia, è possibile effettuare la diagnosi prenatale. Per l’analisi genetica serve però conoscere le mutazioni coinvolte nel caso specifico.

Se individuata subito, si può tenere la sindrome fenilchetonurica sotto controllo con uno stretto regime alimentare. Chi ne soffre deve evitare le proteine, così da limitare l’apporto di fenilalanina. Questo lascia pochissimi cibi nella lista e rende difficile seguire la dieta, con conseguenze gravi sul piano neuropsicologico.

Fonte: telethon.it

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