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Paralisi periodica ipokaliemica: cos’è e quali sono le cause

La paralisi periodica ipokaliemica è una malattia genetica ereditaria che provoca episodi di debolezza muscolare. Chi ne soffre è affetto da temporanei episodi di paralisi a partire dall’adolescenza. In alcuni casi gli attacchi si verificano tutti i giorni, in altri una volta all’anno. Di solito durano poche ore e si manifestano a partire dall’adolescenza.

Gran parte degli attacchi di paralisi temporanea colpiscono spalle e fianchi. Capita però che interessino anche braccia e gambe, i muscoli degli occhi e quelli legati alla respirazione. Gli attacchi scolpiscono soprattutto al risveglio e sono rari durante l’esercizio fisico. Il consumo di alcol  e di cibi ricchi di carboidrati pare essere un fattore scatenante.

I soggetti che soffrono di paralisi periodica ipokaliemica non mostrano alcun sintomo tra un attacco e l’altro. Alcuni di loro lamentano gambe rigide subito prima della paralisi, ma non ci sono altri segnali. Durante l’attacco, invece, i livelli di potassio crollano, i riflessi muscolari diminuiscono o spariscono. Sono visibili anche anomalie a livello di elettrocardiogramma e di elettromiogramma. In alcuni casi, le anomalie sfociano in aritmie cardiache.

Per il momento non esiste un trattamento efficace nel 100% dei casi. Assumere potassio non evita gli episodi di paralisi, anche se somministrarlo durante può bloccare un attacco. I medici consigliano di evitare l’alcol e di tagliare il consumo di carboidrati, così da ridurre i fattori scatenanti. L’acetazolamide si è dimostrato efficace nella prevenzione, anche se non funziona sempre e riduce i livelli di potassio. In alternativa, si possono assumere triamterene o spironolattone.

Fonte: medicinalive.com

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Sindrome nefrosica: cos’è e come si manifesta

La sindrome nefrosica è una malattia che colpisce circa 1-7 persone su 100.000 ogni anno. Nei soggetti che ne soffrono, le unità filtranti dei reni sono danneggiate. Ciò provoca una fuoriuscita delle proteine nelle urine, con conseguente deficit per l’organismo. La carenza di proteine nell’organismo provoca anche ritenzione di sali e liquidi, quindi gonfiore. Inoltre, la carenza di proteine si lega a un aumento della produzione di grassi da parte del fegato.

Chi soffre di sindrome nefrosica tende ad avere un rigonfiamento su tutto il corpo, in particolare gambe e pancia. I soggetti malati urinano poco e aumentano di peso in apparenza senza ragione. Le manifestazioni possono però cambiare in base che ci si trovi di fronte a sindrome nefrosica primaria o secondaria. La secondaria è il risultato di altre patologie, come tumori o HIV. I tipi più comuni della primaria, invece, sono la “glomerulonefrite a lesioni minime” e la “glomerulosclerosi focale segmentale”.

La glomerulonefrite a lesioni minime è la tipologia più comune tra i bambini. Ne soffre il 75% di coloro affetti dalla malattia, contro il 20% degli adulti. Questo tipo è trattabile con farmaci corticosteroidi, ma raramente gli effetti sono permanenti. Il 60% dei pazienti soffre di una o più recidive della malattia. La glomerulosclerosi focale segmentale è invece difficile da trattare e porta spesso alla perdita dei reni.

La diagnosi di sindrome nefrosica avviene mediante:

  • Analisi delle urine. Un livello troppo alto di proteine nelle urine è uno dei sintomi più importanti. Le analisi vengono fatte sulle urine raccolte nel corso di 24 ore.
  • Analisi del sangue. Si misurano i livelli di ipo-albuminemia e iperlipidemia.
  • Biopsia renale. I medici prelevano un frammento di rene e ne esaminano le unità filtranti, per verificare se sono danneggiate.

Fonte: nephceurope.eu/nc/it/

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Immunodeficienza combinata grave: cos’è e come si manifesta

L’immunodeficienza combinata grave è una malattia congenita rara, caratterizzata da risposte alterate del sistema immunitario. La malattia è ereditata in prevalenza dalla madre. I bambini che ne soffrono sono quasi privi di linfociti T e B, oltre che di altri meccanismi di difesa dell’organismo.

I bambini che soffrono di immunodeficienza combinata grave sono detti anche “bambini bolla”. Il nome deriva dalla necessità di tenere chi ne soffre in una bolla, quasi letteralmente. Un caso emblematico fu quello di David Vetter, che visse per 13 anni in una stanza isolata e priva di germi. Qualsiasi contatto con l’esterno l’avrebbe ucciso, essendo David del tutto privo di difese naturali.

In questa forma di immunodeficienza, il corpo diventa ultra sensibile alle infezioni. Anche il disturbo più banale poò essere letale per chi soffre di questa malattia. In compenso, una diagnosi precoce seguita da un trattamento ad hoc può salvare la vita a molti bambini.

Nonostante l’immunodeficienza combinata grave sia causata da diverse anomalie genetiche, i sintomi sono sempre gli stessi. Il segno tipico della malattia è un aumento della vulnerabilità alle infezioni gravi, come pneumonia, meningite e sinusite. I bambini malati soffrono inoltre una forma cronica di diarrea e sono meno ricettivi ai trattamenti tradizionali. In presenza di tutti questi sintomi, è necessario effettuare il prima possibile i test per la diagnosi.

La diagnosi avviene di solito mediante un esame del sangue. I medici verificano la presenza – o meglio, l’assenza – di linfociti B e T e di anticorpi. Purtroppo la diagnosi precoce della malattia è poco frequente: le prime manifestazioni cliniche compaiono settimane dopo il parto. In questo lasso di tempo, il neonato è venuto in contatto con numerosi germi che potrebbero aver compromesso il suo organismo.

Nel caso in cui i genitori sappiano di essere portatori sani, è possibile effettuare un test del DNA fetale. Ciò permette di intervenire immediatamente e garantisce un futuro migliore al bambino.

Fonte: news-medical.net

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Identificati 63 nuovi geni legati al cancro alla prostata

Grazie a un progetto di ricerca durato 6 anni, i ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine hanno individuato 63 mutazioni genetiche che aumentano il rischio di cancro alla prostata. I marker genetici aiuteranno a migliorare i test genetici, determinando chi ha bisogno di controlli regolari.

Studi precedenti avevano individuato circa 100 anomalie legate al cancro alla prostata. La presenza di una o più di queste aumenta del 50% il rischio di sviluppare un tumore. Lo studio guidato dal dottor Schumacher ha fatto un passo ulteriore, individuando 63 nuovi marker genetici.

Il team ha sequenziato il DNA di circa 140.000 uomini di ascendenza europea. Circa 80.000 di questi avevano sofferto di cancro alla prostata. I rimanenti 60.000 non avevano mai mostrato alcun sintomo legato alla malattia. I ricercatori hanno comparato i dati, rilevando 63 varianti genetiche presenti nel primo gruppo ma non nel secondo.

Secondo i ricercatori, i marker genetici individuati ad oggi potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Le anomalie genetiche legate alla malattia potrebbero essere 500-1000, anche se non servirà mapparle tutte. Per migliorare la vita di tanti uomini potrebbe bastare il 10-20% di queste, così da prevenire lo sviluppo del tumore o scegliere la terapia migliore.

Il tumore alla prostata ha una forte componente di familiarità. Gli uomini con un fratello affetto dalla malattia hanno più probabilità di svilupparla a propria volta. Il test di screening attuale individua un antigene specifico della prostata, i cui livelli indicano la possibilità che si formi un tumore o che sia già presente. Se i livelli sono alti ma non ci sono neoplasie, allora bisogna ripetere il test entro 2 anni.

Lo studio di Schumacher si concentra sulle varianti genetiche per il suo test di screening. Per il momento è ancora presto per parlare di test genetici specifici. Ciononostante, la scoperta dei 63 nuovi marker è un grosso passo in avanti.

Fonte: medicalnewstoday.com

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