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Sindrome di Patau o trisomia 13: cos’è e cosa comporta?

Sindrome di patau

La sindrome di Patau o Trisomia 13 è una malattia genetica rara che colpisce 1/5000, 1/20000 bambini nati. Chi ne soffre presenta una copia in più del cromosoma 13, il provoca una serie di anomalie nello sviluppo dell’intero organismo. Il più delle volte, ciò porta all’aborto spontaneo o alla morte entro pochi giorni dalla nascita.

Come altre anomalie cromosomiche, anche la trisomia 13 è diagnosticabile nei primi mesi di gestazione con test più o meno invasivi. Entriamo più nel dettaglio.

Che cos'è la sindrome di Patau

La sindrome di Patau è una malattia genetica data da una trisomia, un tipo particolare di anomalia nel cariotipo dell’individuo.

Il cariotipo consiste nell’assetto cromosomico di un individuo, ovvero il numero e il tipo di cromosomi che possiede. In un individuo sano, troviamo 23 cromosomi trasmessi dalla madre e altri 23 trasmessi dal padre; in questo modo si hanno 46 cromosomi pari a 23 coppie, di cui una che definisce il sesso.

A volte il processo non va come dovrebbe: uno dei due genitori trasmette un cromosoma in più e quindi si hanno 22 coppie e 1 terzetto di cromosomi, ovvero 47 cromosomi in tutto. Questa condizione è detta trisomia e le conseguenze cambiano a seconda del cromosoma interessato.

Nel caso della sindrome di Patau, il cariotipo è costituito da un cromosoma 13 in più, motivo per cui viene definita anche trisomia 13. All’interno del referto dell’analisi del cariotipo si possono quindi trovare le seguenti diciture:

47,XX, +13, se il feto è di sesso femminile;

47,XY, +13, se il feto è di sesso maschile.

Il “47” indica il numero totale di cromosomi; “XX” o “XY” indica il sesso; il +13 indica la presenza di una terza copia del cromosoma 13.

Come tutte le anomalie cromosomiche, la sindrome di Patau è una condizione congenita: è presente fin dalla nascita. Insieme alla sindrome di Down e alla sindrome di Edwards, è la trisomia in assoluto più diffusa. Al contrario della ben più famosa trisomia 21, però, è del tutto incompatibile con la vita.

Conseguenze e sintomi della sindrome di Patau

Il cromosoma 13 è il cromosoma acrocentrico più grande che abbiamo, di conseguenza ha un braccio molto più lungo dell’altro. Al suo interno ci sono geni responsabili per alcuni dei tumori più diffusi, tra cui BRCA2 (tumore al seno) e RB1 (retinoblastoma). Si pensa inoltre che contenga geni associati a disordine bipolare e schizofrenia. Infine, circa il 95% dei geni che codificano per proteine si trovano al suo interno.

Tutto ciò dovrebbe far comprendere il peso enorme di questo cromosoma. Ecco perché la sindrome di Patau presenta sintomi tanto devastanti, addirittura incompatibili con la vita: è un’anomalia cromosomica che tocca i geni che codificano per i mattoncini stessi del corpo umano, le proteine.

Anomalie della faccia e della testa

Una delle conseguenze più gravi della sindrome di Patau è l’oloprosencefalia, la mancata divisione del cervello in due emisferi. Il cervello rimane quindi un blocco unico, il che si associa con problemi neurologici e difetti facciali. Questi ultimi sono tra i sintomi più evidenti della malattia genetica.

Chi soffre di trisomia 13 ha la testa molto piccola (microcefalia) e la fronte inclinata. Il largo è più largo della media, mentre gli occhi sono vicini e piccoli. Anche il mento è piccolo e le orecchie hanno un’attaccatura troppo bassa, associata a una forma strana. Ciò spesso si collega a difetti dell’udito e predisposizione alle otiti.

Infine, la sindrome di Patau si associa al labbro leporino, una malformazione congenita che provoca fessurazioni nel labbro superiore.

Difetti oculari

Come visto sopra, tra i sintomi più evidenti ci sono anomalie nella forma degli occhi. Spesso chi soffre della malattia presenta occhi più vicini e più piccoli del normale, condizione detta microftalmia. Anche quando la struttura dell’occhio è normale, ciò riduce la capacità visiva e rende la persona quasi cieca.

A seconda della della gravità della malattia, cambiano anche i difetti oculari. Nei casi più estremi, il bambino nasce con un solo occhio o con parti dell’occhio mancanti, come la retina o l’iride o addirittura la palpebra.

Aplasia della cute

Chi ne soffre presenta aree del cuoio capelluto senza pelle, il che lo espone al continuo attacco di virus e batteri. Priva di protezione, la testa è soggetta a infezioni e ulcere ricorrenti.

Anche quando non è legata alla sindrome di Patau, l’aplasia tende ad associarsi anomalie degli occhi e delle orecchie.

Malformazioni delle mani e dei piedi

Uno dei sintomi della sindrome è lo sviluppo anomalo delle dita. In alcuni casi, si parla di polidattilia o iperdattilia: la persona ha più dita della norma, che spuntano dalle dita centrali, dal pollice/alluce o dal mignolo/quinto dito del piede.

Talvolta, invece, la malformazione è la camptodattilia: le dita sono sempre contratte a causa di una flessione delle articolazioni tra le falangi. Di solito colpisce il mignolo di entrambe le mani.

Malformazioni genitali

Negli individui di sesso maschile, si possono rilevare malformazioni di scroto e pene, nonché la mancata discesa dei testicoli.

Gli individui di sesso femminile possono invece avere un clitoride più grande della media, condizione detta ipertrofia clitoridea. Ciò spesso si accompagna all’utero bicorne, ovvero un utero con due corna che convergono verso il basso e che gli danno la forma di un cuore stilizzato.

Difficoltà respiratorie e difetti cardiaci

Tra i sintomi più letali e comuni della sindrome di Patau ci sono le anomalie del cuore: colpiscono circa l’80% dei bambini affetti dalla malattia e ne uccidono il 69%. L’organo mostra difetti interatriali e interventricolari, per cui il sangue passa con estrema facilità da un atrio all’altro. Anche le valvole cardiache presentano diverse anomalie, soprattutto l’aortica e la polmonare.

Il tutto si accompagna a serie difficoltà respiratorie.

Qual è l’aspettativa di vita

Per i bambini affetti da sindrome di Patau le chance di sopravvivenza sono molto ridotte. Si calcola che solo il 10% dei bambini che nascono con questa sindrome superi l’anno di vita. Molti di essi muoiono addirittura nella prima settimana, entro 2-3 giorni. Le maggiori cause di morte sono le complicazioni cardiache e renali.

Secondo uno studio del dottor Giuseppe Novelli, chi raggiunge il sesto mese di vita ha il 60% di probabilità di raggiungere i 10 anni. Si tratta però di percentuali molto piccole, circa l’1% dei casi. Inoltre, questi bambini devono convivere con problemi di salute come:

  • difetti cardiaci;
  • microcefalia;
  • anomalie cerebrali e del tessuto spinale;
  • cecità e sordità;
  • disabilità intellettive;
  • ritardi nella crescita.

L’aspettativa di vita è maggiore nei soggetti con mosaicismo o trisomia parziale, tanto che alcuni possono raggiungere l’età adulta. In questi casi, la terapia consiste nel trattamento sintomatico dei problemi visti sopra, dato che non esiste una cura per la trisomia 13.

Si conoscono le cause della trisomia 13?

Come per tutte le anomalie cromosomiche, l’età materna è un grosso fattore di rischio: più l’età è avanzata, più è probabile che si presenti. Il rischio aumenta soprattutto nelle donne oltre i 40 anni. Per il resto, le cause sono quasi del tutto sconosciute; l’aberrazione cromosomica causa della malattia pare essere del tutto casuale, almeno in gran parte dei casi.

Ci sono ancora molti punti che rimangono oscuri. Sembra però che l’anomalia intervenga durante la formazione di una delle due cellule sessuali, durante la meiosi della cellula uovo o dello spermatozoo. Può anche darsi che compaia dopo il concepimento, quando l’uovo fecondato sta effettuando le prime divisioni.

Quel che si sa è che l’anomalia cromosomica può colpire tutte le cellule dell’organismo o solo una parte. Nel secondo caso, si parla di mosaicismo genetico ed è legato a sintomi relativamente più blandi. Il tasso di sopravvivenza rimane tragicamente basso, ma i pochi che superano i 10 anni di vita tendono a mostrare questa caratteristica.

Oltre a quanto detto sopra, la trisomia può essere totale o parziale. Nel primo caso, c’è un intero cromosoma 13 in più; nel secondo, nel terzo cromosoma 13 mancano alcune porzioni.

Può essere ereditaria?

Considerando la prognosi e le malformazioni genitali proprie della malattia, il rischio che la trisomia 13 sia ereditaria e si ripeta potrebbe sembrare piuttosto remoto. In realtà, circa il 25% dei casi è collegato al fenomeno della traslocazione: durante il riarrangiamento cromosomico, tutti i cromosomi dovrebbero essere slegati. Capita invece che un cromosoma rimanga legato a un altro.

Il cromosoma 13, che ha un nucleo molto spostato verso un’estremità, è particolarmente soggetto a questo fenomeno.

La traslocazione non è sempre dannosa per l’individuo stesso: il cromosoma in più si è fuso con l’altro, quindi il soggetto continua ad avere 46 cromosomi. Nel 98% dei casi, questo non ha alcuna conseguenza nemmeno per i figli. Nei casi restanti, può trasmette il terzo cromosoma 13 insieme all’altro. In questo senso, la sindrome di Patau potrebbe essere ereditaria.

La trisomia 13 si vede dall’ecografia?

Alcune delle malformazioni tipiche della malattia sono ben visibili anche nelle prime ecografie. Nell’80% dei casi, l’ecografia può mostrare alcuni dei marker tipici della trisomia. Non è possibile fare una diagnosi solo con questi segnali, che però possono spingere a fare ulteriori indagini che possono portare alla diagnosi.

Ormai le ecografie sono così precise da poter parlare di “ecografia genetica”. Si tratta di un’ecografia come tutte le altre, eseguita però cercando eventuali anomalie sintomo di malattie congenite. Di solito la si esegue tra l’11a e la 13a settimana di gestazione, ma la si può fare anche tra la 18a e la 22a. Bisogna però tenere a mente che alcune anomalie sono rilevabili solo nel terzo trimestre.

Spesso si esegue l’ecografia in combinazione con altri test, come la translucenza nucale o il bi-test.

L’amniocentesi rileva la Sindrome di Patau?

Come visto dell’articolo dedicato all’amniocentesi, l’esame consiste nell’analisi delle cellule fetali contenute in un campione di liquido amniotico. Al contrario dell’ecografia vista sopra, è un esame diagnostico ed è molto affidabile per rilevare le trisomie più diffuse, tra cui la sindrome di Patau.

Il problema è che l’amniocentesi è anche un esame invasivo: il prelievo prevede un rischio di morte fetale, ancora più alto se si esegue la forma precoce del test. Lo stesso vale per la villocentesi, altro esame diagnostico affidabile ma anche invasivo.

Entrambe le soluzione andrebbero usate solo nei casi più estremi, quando i test di screening prenatale hanno rilevato un rischio concreto che il feto sia affetto dall’anomalia cromosomica. A quel punto, i rischi legati ai test hanno ragion d’essere.

Come si diagnostica

Come avrai compreso, la diagnosi vera è propria della sindrome di Patau è effettuabile solo con amniocentesi o villocentesi. Entrambi i test prelevano campioni di cellule fetali, anche se da fonti diverse, e ne esaminano il DNA per rilevarne le anomalie. L’iter più sicuro in assoluto prevede però un primo test di screening prenatale non invasivo, cui seguono gli eventuali test diagnostici.

Translucenza nucale

Nella translucenza nucale si usano delle onde sonore per misurare la densità di una regione del collo fetale. In questa area si raccoglie del fluido che dovrebbe scomparire poco dopo la 14a settimana di gestazione. Uno spessore anomalo può essere indice di un’anomalia cromosomica.

Si usa la translucenza nucale soprattutto per lo screening della sindrome di Down: una buona interpretazione, consente di individuare circa l’80% dei casi. Se si parla di sindrome di Patau, però, l’affidabilità di questo test di screening è di gran lunga minore.

Bi-test

Il bi-test si esegue tra l’11a e la 14a settimana di gestazione ed è più affidabile della sola translucenza. Combina infatti la suddetta translucenza con l’analisi dei livelli di PAPP-a e hCG nel sangue. Di nuovo, ha il difetto di essere efficace soprattutto nello screening della sindrome di Down.

Test del DNA fetale

Tra i diversi test di screening disponibili, è di sicuro il più affidabile per tutti i tipi di anomalie cromosomiche. Consiste nel prelievo di un campione di sangue materno, all’interno del quale vengono isolate le cellule del feto e analizzate.

Il test del DNA fetale è eseguibile fin dalla 10a settimana e ha un’affidabilità del 99,9%. Benché rimanga un test di screening, offre quindi risposte rapide e quasi del tutto certe fin dalle prime settimane di gestazione.

Nel caso di una malattia devastante come la sindrome di Patau, dà tutto il tempo per eseguire i test diagnostici e parlare con psicologi ed esperti.

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Sequenziare tutti i cromosomi smaschera nuovi disordini genetici

Estendere lo screening prenatale non invasivo a tutti e 24 i cromosomi aiuterebbe e smascherare nuovi disordini genetici. Potrebbe inoltre spiegare casi di aborto spontaneo e anomalie durante la gravidanza. Lo dicono i ricercatori degli Istituti Nazionali di Salute (NIH).

I tipici test genetici si concentrano sui cromosomi 21, 18 e 13, per individuare sindrome di Down e le trisomie più comuni. Di rado analizzano tutti e 24 i cromosomi umani. Eppure farlo aumenterebbe la precisione dei test e spiegherebbe il perché di alcuni rarissimi falsi positivi.

Il team della dottoressa Diana W. Bianchi ha analizzato tutti i cromosomi di 90.000 campioni di plasma materno. Di questi 72.972 provenivano dagli Stati Uniti e 16.885 dall’Australia. Per ciascuno di essi, i ricercatori hanno calcolato un indice normalizzato della qualità dei cromosomi. L’indice misurava la probabilità che il campione contenesse le due copie standard di ciascun cromosoma. Sotto il 50, i ricercatori procedevano con analisi ulteriori.

Il team ha individuato 328 campioni statunitensi e 71 campioni australiani anomali, di cui 60 una trisomia rara. Grazie all’analisi completa, i ricercatori hanno individuato casi di trisomia 7, 15, 16 e 22. Alcuni di questi erano ricollegabili a difficoltà nella gestazione e ad aborto spontaneo. In certi casi i ricercatori hanno registrato anche livelli di cellule anomale nella placenta, legate a malformazioni.

Fonte: medicalxpress.com

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Un test prenatale misura il rischio di aborto spontaneo

Un test prenatale non invasivo misura il rischio di aborto spontaneo. Il meccanismo è lo stesso dietro ai test per la diagnosi prenatale di sindrome di Down e di altre malattie. Basta una goccia di sangue per individuare le anomalie cromosomiche del feto. In questo modo si può capire qual è il rischio di complicazioni, il tutto prima della 10a settimana di gestazione.

Le anomalie cromosomiche sono presenti in 1 bambino nato vivo su 1.000. Le più comuni sono individuabili grazie ad appositi test prenatali non invasivi, che funzionano con una sola goccia di sangue. Gli scienziati stanno però elaborando nuovi test per diagnosticare malattie rare ereditabili e altre anomalie.

Si calcola che sopravviva solo il 50% dei feti con anomalie cromosomiche rare. Individuarle nelle prime fasi della gestazione consentirebbe di misurare il rischio di aborto spontaneo. Un team australiano ha quindi elaborato un test prenatale a questo scopo. I ricercatori hanno individuato 90 anomalie cromosomiche rare, il 70% delle quali sono state associate a complicazioni gravi e aborto.

In caso il test risulti positivo, i medici potrebbero consigliare di procedere con analisi più invasive. Ciò consentirebbe alle famiglie di scegliere come affrontare il rischio e di prepararsi a un’eventuale esito negativo della gravidanza.

Fonte: newscientist.com

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Sempre più donne cercano un test prenatale non invasivo

Con l’aumento delle gravidanze over 35, aumenta anche il numero di donne che si avvalgono di un test prenatale non invasivo. È quanto riporta il report “Nipt: crescita del mercato, prospettive future e analisi competitive 2016-2022” dell’Istituto americano Credence Research. Secondo il documento, il mercato mondiale dei test di screening prenatali è in costante crescita e toccherà i 5,5 miliardi di dollari nel 2015. Il merito è della precisione di questo genere di test: basta una goccia di sangue materno per individuare un ampio ventaglio di anomalie genetiche del feto.

Il sequenziamento di nuova generazione, il cosiddetto “next generation sequencing”, ha dato una forte spinta al campo dello screening prenatale non invasivo. Queste tecniche consentono infatti di analizzare il DNA del feto a partire da poche gocce di sangue materno. In questo modo i medici riescono a individuare eventuali trisomie, duplicazioni, traslocazioni. Senza le tecnologie moderne, bisognerebbe ancora avvalersi di tecniche molto più invasive, come ad esempio l’amniocentesi.

I primi test si concentravano solo sui cromosomi 21, 18 e 13. Anomalie in questi cromosomi sono sintomo di sindrome di Down, sindrome di Edwards e sindrome di Patau. La ricerca scientifica e la nascita di nuove tecnologie hanno reso possibile effettuare lo screening per ulteriori 19 anomalie genetiche, ricollegabili soprattutto a malattie genetiche rare.

Il test prenatale non invasivo si è dimostrato sicuro e accurato. Ad oggi ne hanno usufruito più di 1 milione di donne in tutto il mondo, delle quali il 58% sta negli Stati Uniti. Il mercato è però in crescita anche in Europa e in Asia. Man mano che le donne si approcciano alla maternità in età più tarda, infatti, diventa sempre più consigliabile avvalersi di uno screening prenatale.

I nuovi test consentono di individuare per tempo eventuali anomalie genetiche, più probabili nelle madri più adulte. Permettono inoltre di salvaguardare la salute di tanti feti sani, che potrebbero essere danneggiati da tecniche più invasive.

Fonte: panorama.it

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