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Aurora magazine

Sindrome da disritmia atriale intestinale cronica

La sindrome da disritmia atriale intestinale cronica (CAID) è una malattia rara scoperta solo nel 2014 e detta anche “sindrome del vichingo”. È causata da una rara mutazione genetica e colpisce sia il cuore sia l’intestino. Le contrazioni dei due organi sono infatti legate a un singolo gene, che sarebbe quello interessato dalla malattia.

Un team di ricercatori canadesi ha sviluppato un test diagnostico per la malattia, basato soprattutto sulle analisi cliniche. Chi ne soffre manifesta infatti problemi cardiaci e intestinali, entrambi di entità piuttosto grave. I problemi cardiaci comprendono il battito cardiaco lento, che costringe il 50% dei pazienti a impiantare un pacemaker. I problemi digestivi si manifestano invece con ostruzioni intestinali croniche, affrontabili solo con l’alimentazione intravenosa.

Per il momento non sono disponibili trattamenti meno invasivi. La malattia è infatti piuttosto giovane. Gli scienziati l’hanno scoperta analizzando il DNA di alcuni pazienti canadesi di origini francesi e scandinave. Tutti i pazienti mostravano sintomi sia cardiaci sia gastrointestinali, ricollegabili a una mutazione del gene SGOL1. Gli studi su cavie con sintomi simili hanno confermato il ruolo del gene nello sviluppo della malattia.

Secondo i ricercatori, è probabile che la mutazione di SGOL1 riduca la protezione di alcune cellule presenti nell’intestino e nel cuore. Quando in salute, il gene potrebbe infatti avere il compito di mantenere il ritmo del cuore lungo tutta la sua vita. Quando invece è presente la mutazione, le cellule iniziano a moltiplicarsi in maniera incontrollata e invecchiano prima del tempo.

Fonte: umontreal.ca

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Insonnia familiare fatale: cos’è e quali sono i sintomi

L’insonnia familiare fatale è una malattia neurodegenerativa genetica, descritta per la prima volta nel 1986. Come da nome, è sempre fatale e ha un decorso che oscilla tra i pochi mesi e i 2 anni. Di solito i primi sintomi compaiono tra i 37 e i 61 anni, anche se ci sono casi anche sotto i 30 anni. Una stima più precisa è complicata, dato che ad oggi ci sono al mondo solo 57 casi confermati in 27 famiglie.

Si tratta di una malattia prionica, causata da proteine con una struttura alterata in modo irreversibile, i prioni. Questi si trovano soprattutto nella membrana plasmatica del cervello e la loro funzione è poco chiara. L’anomalia propria dell’insonnia familiare fatale causa un accumulo di prioni nel tessuto cerebrale. Man mano che l’accumulo aumenta, le cellule malate infettano anche le altre e uccidono i neuroni.

Il primo sintomo è l’insonnia, non trattabile neanche con i barbiturici. I prioni si accumulano nel talamo, l’area del cervello che regola il ciclo sonno-veglia, e impediscono di dormire. I sintomi non sono trattabili e peggiorano nel giro di pochi mesi, provocando anche allucinazioni e delirio. I danni neurologici causano movimenti anomali e scatti involontari, oltre che demenza e una progressiva incapacità di camminare. Verso la fine del decorso, il paziente è del tutto incapace di dormire.

L’anomalia è causata da una mutazione del gene PRNP ed è a trasmissione autosomica dominante. Basta quindi una sola copia del gene affinché la malattia di manifesti. I test genetici si usano per confermare la diagnosi, fatta di solito mediante analisi cliniche e scansione FDG-PET. In caso di diagnosi confermata, è disponibile anche il test prenatale per i parenti a rischio.

Fonte: osservatoriomalattierare.it

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Coroideremia: cos’è e quali sono i sintomi

La coroideremia è una malattia genetica che colpisce circa 1 nuovo nato ogni 50.000-100.000, soprattutto maschi. La malattia si manifesta nei primi 10 anni di vita con un progressivo restringimento del campo visivo periferico. Prima dei 40 anni di età, si verifica la perdita completa della vista e la conseguente cecità.

Nella coroideremia si verifica la degenerazione progressiva di:

  • retina
  • coroide
  • epitelio pigmentato retinico
  • fotorecettori

Questi ultimi sono le cellule poste nella parte posteriore dell’occhio, che raccolgono la luce.

Il primo sintomo della coroideremia è l’abbassamento della vista in condizioni di bassa luminosità. La carenza di fotorecettori rende infatti difficile raccogliere la poca luce disponibile nell’ambiente. Dopodiché il campo visivo comincia a restringersi e porta alla cosiddetta visione tubulare. In età adulto questo si traduce nella perdita totale della vista. Di solito avviene intorno ai 40 anni, ma le tempistiche possono cambiare in base alle condizioni del paziente.

La perdita progressiva della vista ricorda quanto avviene in altri tipi di degenerazione retinica, come la retinite pigmentosa legata all’X o l’atrofia girata. Questo complica la diagnosi, specie se non ci sono sono casi conosciuti in famiglia. La valutazione del fondo dell’occhio e il dosaggio dei livelli di ornitina possono aiutare a ottenere una diagnosi più precisa, ma non sempre bastano. I test genetici possono servire per confermare la diagnosi.

La malattia è causata dalla versione mutata del gene CHM, che codifica per la proteina REP-1. Circa il 20% dei pazienti non mostra però la mutazione, è quindi probabile che ci siano altri geni coinvolti.

Per il momento non ci sono terapie risolutive. L’unico trattamento possibile è sfruttare al massimo la funzione visiva, anche grazie a supporti tecnici per l’ipovisione. Questi hanno aiutato e aiutano molti malati a condurre una vita quasi normale, anche se purtroppo non esiste ancora un modo per fermare la progressione della malattia.

Fonte: retinaitalia.org

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Miopatia miotubulare: cos’è e come si manifesta

La miopatia miotubulare legata all’X è una malattia genetica rara che colpisce 1 bambino ogni 50.000. Si tratta di una malattia neuromuscolare che colpisce solo i maschi e si manifesta fin dalla nascita. Il neonato è debole e fa fatica a respirare. In alcuni casi, ci sono addirittura sintomi prenatali, come la quasi assenza di movimenti fetali.

Dopo una prima osservazione clinica, si procede con la radiografia del torace del neonato. Questa rivela l’assottigliamento delle costole. Altri indizi sono la lunghezza del corpo eccessiva, il cranio troppo grande, la paralisi dei muscoli dei bulbi oculari. Alcuni pazienti manifestano lesioni vascolari all’altezza del fegato e un ispessimento del canale pilorico, ma solo in coloro che vivono più a lungo.

Gran parte delle donne portatrici sane sono asintomatiche, tranne per alcuni piccoli indizi. Le portatrici sane sono tendenzialmente deboli e può capitare che soffrano di incontinenza urinaria. Questo a causa di un coinvolgimento della muscolatura liscia.

La miopatia miotubulare è causata dalle mutazioni del gene della miotubularina. La diagnosi si basa su analisi cliniche, biopsie muscolari e test genetici. Qualora ci fossero casi tra i parenti conosciuti, i medici consigliano la consulenza genetica a tutta la famiglia.

Purtroppo a oggi non esiste alcuna cura risolutiva né trattamento efficace. I medici tentano un approccio multidisciplinare, quanto meno per arginare i sintomi propri della malattia. Anche in questo modo, il decorso si rivela comunque fatale nei primi mesi di vita. Capita però che qualche soggetto riesca a raggiungere l’adolescenza, grazie agli interventi medici e alla ventilazione.

Fonte: orpha. net

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