L’insonnia familiare fatale è una malattia neurodegenerativa genetica, descritta per la prima volta nel 1986. Come da nome, è sempre fatale e ha un decorso che oscilla tra i pochi mesi e i 2 anni. Di solito i primi sintomi compaiono tra i 37 e i 61 anni, anche se ci sono casi anche sotto i 30 anni. Una stima più precisa è complicata, dato che ad oggi ci sono al mondo solo 57 casi confermati in 27 famiglie.
Si tratta di una malattia prionica, causata da proteine con una struttura alterata in modo irreversibile, i prioni. Questi si trovano soprattutto nella membrana plasmatica del cervello e la loro funzione è poco chiara. L’anomalia propria dell’insonnia familiare fatale causa un accumulo di prioni nel tessuto cerebrale. Man mano che l’accumulo aumenta, le cellule malate infettano anche le altre e uccidono i neuroni.
Il primo sintomo è l’insonnia, non trattabile neanche con i barbiturici. I prioni si accumulano nel talamo, l’area del cervello che regola il ciclo sonno-veglia, e impediscono di dormire. I sintomi non sono trattabili e peggiorano nel giro di pochi mesi, provocando anche allucinazioni e delirio. I danni neurologici causano movimenti anomali e scatti involontari, oltre che demenza e una progressiva incapacità di camminare. Verso la fine del decorso, il paziente è del tutto incapace di dormire.
L’anomalia è causata da una mutazione del gene PRNP ed è a trasmissione autosomica dominante. Basta quindi una sola copia del gene affinché la malattia di manifesti. I test genetici si usano per confermare la diagnosi, fatta di solito mediante analisi cliniche e scansione FDG-PET. In caso di diagnosi confermata, è disponibile anche il test prenatale per i parenti a rischio.
Fonte: osservatoriomalattierare.it