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Aurora magazine

Una protezione solare speciale contro l’atassia di Friedrich

Chi soffre di atassia di Friedrich è 10 volte più sensibile al sole rispetto alla media. Queste persone sono quindi molto più soggette a tutti i danni tipici delle radiazioni ultraviolette A. L’hanno scoperto gli scienziati dell’Università di Bath, che hanno anche proposto una possibile soluzione: una crema solare apposita.

I ricercatori hanno progettato una nuova molecola da aggiungere alle normali creme solari. La crema modificata potrebbe essere di aiuto anche per chi soffre di altre malattie, come la sindrome di Wolfram e il Parkinson. Entrambe le malattie comportano infatti un sovraccarico di ferro nei mitocondri. Quando esposte ai raggi UVA, il ferro in eccesso stimola la produzione di radicali liberi. Tra  questi ci sono i prodotti intermedi dei processi cellulari di riduzione dell'ossigeno, che danneggiano DNA, proteine e grassi.

Le creme solari normali proteggono contro i raggi UVB, ma fanno poco contro gli UVA. I ricercatori hanno quindi realizzato una molecola che raccoglie il ferro di troppo nei mitocondri. In questo modo, basta un po’ di crema per evitare che il sole amplifichi i danni cellulari.

Per il momento, gli autori dello studio hanno testato la molecola su cellule epiteliali di pazienti affetti da atassia di Friedrich. I risultati sembrano buoni: esposta ai raggi UVA, la molecola ha evitato la morte cellulare. Saranno comunque necessari ulteriori studi: i ricercatori sparano di creare un trattamento contro l’ultra sensibilità al sole. In questo modo centinaia di persone guadagneranno in termini di qualità della vita.

Fonte: bath.ac.uk

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In via di sviluppo un nuovo biosensore per la sindrome di Down

Circa 1 nuovo nato su 700 soffre di sindrome di Down, il che la rende il difetto congenito in assoluto più comune. I comuni test di diagnosi prenatale aiutano a individuarlo, ma comportano diversi rischi per il feto. Ecco perché sono nati test di screening prenatale non invasivi, sicuri per la donna e per il feto. Il team del dottor Zhiyong Zhang sta cercando un modo per rendere questo strumento ancora più potente.

I ricercatori hanno individuato un biosensore utilizzabile per diagnosticare la sindrome di Down. Per il momento la ricerca è ancora in corso, ma un giorno potrebbe portare a nuovi test prenatali. Secondo le previsioni del dottor Zhang, il test sarà veloce ed economico, alla portata di tutti. Avrà l’accuratezza del sequenziamento genetico senza le tempistiche, o almeno così spera.

Gli scienziati hanno usato chip biosensori con una base di solfuro di molibdeno, sovrastata da nanoparticelle d’oro. Sulle nanoparticelle hanno bloccato campioni di sequenze di DNA, in grado di riconoscere una sequenza specifica del cromosoma 21. A questo punto hanno posto frammenti di cromosoma 21 sui sensori, affinché individuassero eventuali anomalie. I primi risultati sono stati incoraggianti: i biosensori hanno funzionato anche con basse concentrazioni di DNA nei campioni.

Secondo i ricercatori, il metodo sarebbe efficace anche per altre anomalie cromosomiche. Lo stesso metodo sarebbe infatti utilizzabile anche sul cromosoma 13, per diagnosticare la sindrome di Patau.

Fonte: acs.org

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All’università per studiare la propria malattia rara

La ventunenne Emma frequenta a Trento la facoltà di Scienze molecolari, posta sui social le foto fatte in laboratorio, sogna di diventare ricercatrice. Una storia come tante, non fosse che Emma soffre di atassia di Friedreich e si è scritta all’università proprio per studiarla. La vicenda ha commosso un imprenditore della zona, convincendolo a donare 336 mila euro per la ricerca.

Non esistono terapie risolutive per l’atassia di Friedreich e, con il tempo, chi ne soffre perde la capacità di muoversi in autonomia. Emma ne è consapevole da quando aveva 12 anni, età in cui le fu diagnosticata la malattia. Ciononostante, la ragazza non si è arresa e si è messa in gioco in prima persona. Si è iscritta al Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, così da trovare nuovi trattamenti per sé e per chi condivide la sua sorte.

La storia di Emma ha commosso l’imprenditore Gino Del Bon, la cui nipotina soffre di Sindrome di Cornelia de Lange. L’uomo conosce bene le difficoltà di chi soffre di una malattia rara: non poteva restare con le mani in mano. Per questo motivo, ha aderito alla campagna di crowfunding sul correttore genomico lanciata dall’università, donando personalmente 336 mila euro.

Anche la famiglia di Emma ha deciso di mettersi in gioco. I genitori della ragazza hanno creato l’associazione “Ogni giorno per Emma”, stringendo una collaborazione con l’associazione “Per il sorriso di Ilaria Montebruno”. Insieme hanno donato 345 mila euro all’Università di Trento, per studiare l’atassia di Friedreich e altre malattie genetiche rare. A questi si sono aggiunti i 112 mila euro donati da moltissimi trentini e da persone provenienti da tutta Italia.

Fonte: corriere.it

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Creato in laboratorio il primo modello di epilessia mitocondriale

I ricercatori del Trinity College di Dublino hanno creato per la prima volta un modello di epilessia mitocondriale. Grazie alla scoperta sarà più facile creare nuovi trattamenti per la malattia, una delle forme più diffuse di epilessia genetica. 

Si calcola che solo in Irlanda circa 1 nuovo nato ogni 9.000 soffra di questa forma di epilessia. Si tratta di circa un quarto di coloro che soffrono di malattie mitocondriali in generale. Eppure, per quanto sia diffusa, non esistono terapie risolutive contro l’epilessia mitocondriale. Anche i farmaci convenzionali tendono ad essere poco efficaci, il che complica la vita di coloro che ne soffrono. Inoltre, non esistono modelli animali che permettano di studiarne i meccanismi.

La mancanza di modelli per studiare l’epilessia mitocondriale è uno dei problemi maggiori. Ecco perché i ricercatori del Trinity si sono impegnati per svilupparne uno in vitro. A questo scopo, hanno applicato dei particolari inibitori mitocondriali a un mini cervello. Il modello ottenuto presenta tutte le caratteristiche proprie della malattia e ha svelato diversi punti prima poco chiari.

Fino a qualche tempo fa si credeva che gli astrociti giocassero un ruolo solo di supporto nel cervello. I ricercatori hanno mostrato che invece hanno un ruolo centrale nell’epilessia mitocondriale. I recettori del GABA regolano i trasmittenti chimici rilasciati dai neuroni, trasportati poi dagli astrociti. Quando si verifica un deficit di una delle componenti di questo ciclo, la glutamine, il trasporto dei trasmittenti fallisce. Ciò forse causa le crisi epilettiche.

Si tratta solo di un primo passo e ci sono ancora molte cose da spiegare. Ciononostante, la creazione di un modello da utilizzare nella ricerca è già fondamentale in sé.

Fonte: tcd.ie

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