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Aurora magazine

Si possono identificare le malattie metaboliche nei neonati?

Un team di Stanford sta elaborando uno studio dedicato alla diagnosi delle malattie metaboliche. Nei prossimi anni, i ricercatori studieranno il profilo genetico di migliaia di pazienti trattati presso il Lucile Packard Children’s Hospital Stanford e le Stanford Children’s Health clinics. L’obiettivo è creare un profilo metabolico per ciascun paziente, così da individuare per tempo eventuali problemi.

Gli scienziati raccoglieranno campioni di sangue e di urine dai pazienti. A partire da questi, esamineranno circa 800 lipidi e 700 non lipidi. Se tutto va come previsto, il team completerà 1.000 profili metabolici entro la fine del 2019.

Ad oggi, la routine clinica prevede la misurazione di una frazione di metaboliti presenti nel sangue. I più famosi sono il glucosio e il colesterolo, importanti ma non sufficienti per avere un quadro clinico completo. Le misurazioni attuali forniscono infatti informazioni su patologie specifiche. Lo scopo di questo studio è spostare l’attenzione su un numero di gran lunga maggiore di malattie. Inoltre, i ricercatori sperano di comprendere meglio le origini genetiche di queste patologie.

La profilazione di pazienti per il momento sani può aiutare a individuare i problemi prima che si manifestino. In più, potrebbe aiutare a capire perché certi neonati sono più a rischio di patologie metaboliche, come ad esempio i prematuri. In questo modo sarà più facile prendere provvedimenti per tempo, elaborando nuove terapie.

Il fine ultimo dei ricercatori è offrire uno screening genetico a tutti i neonati a rischio. Una volta individuato una eventuale anomalia genetica legata a problemi metabolici, si potrà lavorare per mantenerli in salute piuttosto che guarirli una volta adulti.

Fonte: med.stanford.edu

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A volte la pillola anticoncezionale fallisce: perché?

Gli anticoncezionali ormonali sono il metodo contraccettivo più efficace in assoluto. Ciononostante, alcune donne rimangono comunque incinte. Alcuni relegano questi casi a errori commessi dalle donne stesse. Uno studio dell’Università del Colorado svela però come non sia sempre così: a volte è colpa dei geni.

Il team di ricercatori ha analizzato il DNA di 350 donne sane attorno ai 22 anni. Tutte loro presentavano un impianto contraccettivo ormonale da 12-36 mesi. Il 5% di loro presentava un gene chiamato CYP3A7*1C, che di solito di disattiva poco prima della nascita. In alcune di esse il gene era ancora attivo e continuava a produrre l’enzima CYP3A7 anche in età adulta.

L’enzima CYP3A7 interferisce con l’azione dei contraccettivi ormonali, aumentando il rischio di gravidanza. Il problema si presenta soprattutto in coloro che usano contraccettivi a basso contenuto ormonale, come le moderne pillole anticoncezionali. Per quanto sia difficile, è quindi possibile che queste donne rimangano incinte pur assumendo contraccettivi ormonali nella maniera corretta.

La scoperta mette anche il luce come le variazioni genetiche possano influenzare l’efficacia di alcuni farmaci. Serviranno ulteriori studi a riguardo, ma è un primo passo nella creazione di strumenti contraccettivi quasi su misura per il singolo individuo. In questo modo sarà più facile evitare gravidanze indesiderate legate al fallimento della pillola anticoncezionale.

Fonte: cuanschutz.edu

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Sviluppato un test genetico per individuare la resistenza agli antibiotici

I ricercatori della American University hanno sviluppato un test genetico per individuare la resistenza agli antibiotici. Secondo le prime sperimentazioni, il test è accurato quanto le culture in vitro e molto più rapido. Potrebbe quindi facilitare il trattamento di infezioni respiratorie resistenti agli antibiotici più comuni.

Il test serve a determinare se il paziente è infetto da batteri con il gene mef(A). La variante rende i batteri resistenti a due degli antibiotici più diffusi: eritromicina e azitromicina. Quest’ultimo, in particolare, è il più prescritto e usato negli Stati Uniti.

Il test individua il gene in circa 10 minuti, niente a che vedere con le ore di una coltura in vitro classica. Sarebbe quindi più facile da usare negli iter diagnostici quotidiani, anche dai medici di famiglia. Basterebbero pochi minuti per comprendere se i trattamenti normali non funzionano a causa di questa resistenza.

Questo nuovo studio mette anche in luce un problema sempre più grave, negli Stati Uniti ma anche in Italia. I batteri stanno sviluppando una crescente resistenza agli antibiotici, che li rende più difficili da combattere e più pericolosi. Si calcola che i “super batteri” infettino circa 2 milioni di persone all’anno solo negli Stati Uniti. Di queste, circa 23.000 muoiono a causa dell’infezione non curata.

Al di là dei test genetici, è importante sviluppare una maggiore coscienza nell’uso degli antibiotici. Bisognerebbe sempre usarli solo dietro prescrizione medica e secondo le modalità indicate.

Fonte: american.edu

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La CRISPR potrebbe sconfiggere la distrofia di Duchenne

Dal 2013, diversi team internazionali studiano come usare la CRISPR contro la distrofia di Duchenne. Per il momento, la terapia ha dimostrato di funzionare sulle cavie affette dalla malattia. A quando la sperimentazione sugli esseri umani? I ricercatori ne hanno parlato durante la XVII Conferenza internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker.

Il gene responsabile della distrofia è molto ingombrante, il che rende la terapia genica più complicata. Trasportarne una copia sana nelle cellule malate usando i soliti virus è impossibile. Di conseguenza, gli scienziati stanno elaborando diverse alternative alla terapia genica classica. Tutto questo lavoro richiede però un gran numero di sperimentazioni, soprattutto per comprendere quale potrebbe essere l’impatto sull’essere umano.

Le terapie geniche alternative in corso di elaborazione sono tre, ad oggi.

  1. Modificare l’espressione del gene responsabile della malattia.
  2. Agire solo sulle mutazioni da delezione, quelle nelle quali manca un tratto di cromosoma.
  3. In caso di mutazioni da duplicazione, eliminare le porzioni di troppo.

Per il momento, solo 13 pazienti umani hanno testato le terapie geniche in corso d’opera. I risultati sembrano positivi per il momento, ma le analisi e i test sono ancora in corso d’opera. Inoltre, solo un trattamento è stato approvato finora e potrebbe aiutare solo una fetta dei malati. Funziona infatti solo sui pazienti con una particolare mutazione genetica, non sulle altre.

L’italiano Giulio Cossu ha offerto un’alternativa alla CRISPR durante la conferenza. Con il suo team della Manchester University sta testando il trapianto di cellule staminali. Il trattamento è ancora in fase di studio.

Fonte: lescienze.it

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