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Aurora magazine

La Crispr corregge la mutazione della Duchenne nei topi

I ricercatori dell’Università del Missouri, in collaborazione con la Johns Hopkins School of Medicine e la Duke University, hanno corretto nei topi la mutazione genetica causa della distrofia muscolare di Duchenne. Si tratta di un ulteriore passo verso una terapia efficacie anche sugli esseri umani.

La distrofia muscolare di Duchenne è causata dalla mancata produzione di distrofina. La proteina è fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza delle cellule muscolari. Quando manca, tutti i muscoli dell’organismo perdono progressivamente le proprie funzionalità. Questo vale sia per i muscoli motori sia per quelli respiratori e cardiaci. Per evitare tutto questo, bisognerebbe correggere la mutazione genetica che impedisce la produzione della proteina.

Gli autori dello studio hanno pensato al modo più efficiente possibile per correggere le cellule mutate. Modificando i geni delle cellule staminali muscolari, tutte le cellule nuove sarebbero sane. In questo modo sarebbe possibile sostituire le cellule muscolari malate con altrettante sane. Per provare questa ipotesi, i ricercatori l’hanno testata su alcune cavie affette da distrofia.

Per prima cosa, i ricercatori hanno trattato un muscolo sano usando la Crispr. Dopodiché, l’hanno trapiantato in un topo immunodeficiente e hanno lasciato che si rigenerasse dalle sue cellule staminali. In questo modo hanno ottenuto tante cellule staminali muscolari modificate, provando la fattibilità della prima fase.

Dopo la prima fase, i ricercatori hanno testato la terapia su cavie malate. Hanno modificato le cellule staminali malate e hanno lasciato che i muscoli si rigenerassero. Il test ha avuto successo e i muscoli delle cavie hanno cominciato a produrre la distrofina. Se si riuscisse a riprodurre tutto questo negli esseri umani, si potrebbe cancellare la distrofia in modo permanente.

Fonte: wired.it

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Le donne della Generazione X stanno diventando più fertili?

Uno studio guidato dai ricercatori di Yale esamina i cambiamenti nella fertilità delle diverse generazioni di donne. Si sono concentrati sulle donne della generazione X – nate tra il 1965 e il 1982 – confrontandole con le controparti Baby Boomer. Inoltre hanno preso in considerazione le differenze interne tra donne della stessa generazione, ma con livello culturale diverso.

I ricercatori hanno confrontato coorti di donne nate in periodi diversi e con diverso livello culturale. I risultati mostrato che il tasso di fertilità totale è andato aumentando tra le donne della Generazione X. I miglioramenti più consistenti si sono registrati tra le donne di cultura più alta, che hanno studiato come minimo al college.

Tra le donne che hanno studiato al college, è più alta la percentuale di coloro che hanno avuto 2 figli e hanno scelto di averne anche un terzo. Addirittura, si può dire che avere tre figli sia la norma tra le donne statunitensi di educazione alta appartenenti alla Generazione X.

Secondo la scoperta, il tasso di fertilità potrebbe avere poco a che fare con l’età del primo figlio. Infatti, le donne che studiano più a lungo tendono ad avere il primo figlio più tardi. Ciononostante, accorciano i tempi di attesa tra una gravidanza e l’altra, riuscendo a fare più figli. Questo non accadeva tra le donne Baby Boomer, che hanno fatto meno figli rispetto alle controparti più moderne.

Fonte: yale.edu

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Un farmaco su misura salverà Mila dalla malattia di Batten

I ricercatori del Boston Children’s Hospital hanno sviluppato un farmaco su misura per una bambina di sei anni, Mila Makovec. La bambina soffre di una forma di malattia di Batten, che ne ha limitato la mobilità e ridotto la vista.

I sintomi di Mila erano causati da una mutazione nel gene CLN7. Diversamente dal solito, la mutazione ha colpito solo uno dei due alleli; l’altro era affetto da una mutazione sconosciuta. Per trattare questa forma della malattia, i medici dovevano trovare quest’altra mutazione e comprenderne il meccanismo. Allo scopo, hanno eseguito un sequenziamento totale del DNA. Ciò ha permesso loro di individuare un anomalia dell’mRNA, che ha modificato il modo in cui il gene si esprime.

Per risolvere entrambe le anomalie, i medici hanno sviluppato delle nuove forme di oligonucleotide antisenso o ASO. I nuovi farmaci avevano lo stesso scheletro di quello usato per l’atrofia muscolare spinale. Gli scienziati li hanno testati in vitro su cellule della paziente, scegliendo quello che funzionava meglio. A questo punto l’hanno testato anche su delle cavie e, una volta provata la sicurezza del farmaco, l’hanno usato su Mila.

Prima del test, Mila aveva 15-30 attacchi epilettici al giorno, ciascuno della durata media di 1-2 minuti. Con la terapia, la frequenza è scesa a 0-20 attacchi al giorno della durata di meno di un minuto.

Fonte: medpagetoday.com

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Gli uomini meno fertili sono più a rischio di tumore

Gli uomini con problemi di fertilità corrono un rischio maggiore di ammalarsi di tumore alla prostata. Lo suggerisce uno studio svedese condotto sui genitori di circa 1,2 milioni di nuovi nati. I ricercatori hanno esaminato i dati di coloro che avevano fatto ricorso alla fecondazione assistita. È così emersa una percentuale maggiore di casi di tumore tra gli uomini meno fertili.

Qual è il collegamento tra infertilità e tumore alla prostata? Secondo i ricercatori, potrebbero essere delle anomalie nel cromosoma Y. Le difficoltà a concepire potrebbero quindi essere un indizio di problemi futuri. Ciò potrebbe facilitare sia il trattamento dell’infertilità sia la diagnosi precoce del tumore.

Quando è l’uomo ad avere difficoltà a concepire, si tende a usare un trattamento chiamato iniezione intra-citoplasmatica dello spermatozoo. Questo prevede l’iniezione diretta di uno spermatozoo nell’ovocita ed è usato tra chi soffre di infertilità grave. Tra i partecipanti allo studio che avevano usato questo metodo, i ricercatori hanno rilevato il 64% delle probabilità in più di ammalarsi. Inoltre, il rischio di ammalarsi prima dei 55 anni era dell’86% maggiore.

Gli uomini con una conta spermatica più alta tendono a usare la IVF, più efficace in questi casi. Tra questi, il rischio di ammalarsi era del 33% più alto della media. Il rischio di ammalarsi prima dei 55 anni era invece del 51% più alto. Pare quindi evidente un collegamento tra gravità dell’infertilità e rischio di ammalarsi di tumore alla prostata.

Secondo il professor Alla Pacey, una bassa conta spermatica potrebbe essere un segnale di allarme. Avere pochi spermatozoi potrebbe indicare una maggiore predisposizione al tumore. Dovrebbe quindi spingere gli uomini in questione a cambiare stile di vita e aumentare il numero dei controlli.

Fonte: telegraph.co.uk

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