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Aurora magazine

In via di sviluppo un test neonatale per la miopia

I ricercatori dell’Università di Cardiff e dell’Università di Bristol stanno sviluppando un test genetico per la miopia. Il test servirà a individuare i bambini più a rischio, circa uno su 3 solo nel Regno Unito. In questo modo sarà più facile intervenire immediatamente per rallentare lo sviluppo della condizione.

La miopia è in aumento in tutto il mondo. La condizione dipende da un eccessivo allungamento del bulbo oculare, che impedisce alla luce di raggiungere la retina in modo corretto. L’occhio fa quindi fatica a mettere a fuoco gli oggetti lontani, che appaiono sempre più sfocati man mano che la miopia peggiora.

Diagnosticare la miopia è semplice: basta una visita dall’oculista. Occhiali e lenti a contatto consentono di tamponare il problema, ma non fanno nulla per altri possibili disordini. La miopia aumenta infatti il rischio di glaucoma, cataratta, cambiamenti degenerativi nella retina. Inoltre, i trattamenti attuali possono solo rallentare il peggioramento della vista, senza mai fermarlo del tutto.

I ricercatori hanno analizzato le differenze genetiche di più di 700.000 persone, con e senza miopia. Ciò ha consentito loro di individuare dei criteri diagnostici, in modo da diagnosticare la malattia prima che si manifesti. Grazie al test, i ricercatori sono in grado di dire quali sono i soggetti più a rischio di ammalarsi.

La speranza dei ricercatori è poter usare il test per individuare i bambini più a rischio, concentrandosi su quelli che potrebbero perdere più diottrie da adulti. In questo modo sarà possibile intervenire con trattamenti ad hoc, che tamponino il problema.

Fonte: cardiff.ac.uk

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Scoperto un nuovo trattamento per la miopatia distale di Nonaka

Un team dell’Università di Cardiff ha scoperto un potenziale trattamento per la miopatia distale di Nonaka. La malattia genetica provoca la perdita progressiva di forza in gambe e braccia, costringendo a passare la vita su una sedia a rotelle. La causa sta in una mutazione del gene GNE e per il momento non esistono trattamenti approvati.

L’anomalia del gene GNE provoca la carenza di un enzima fondamentale per la produzione di uno zucchero. Senza questo zucchero, i muscoli non riescono a svilupparsi. Di conseguenza, chi soffre della malattia assume degli zuccheri che sostituiscano quello mancante. Ciò può però portare a un aumento progressivo del peso, senza contare i problemi a livello di fegato. Anche per questo motivo, i ricercatori di Cardiff stanno studiando delle possibili terapie.

Gli autori dello studio hanno trovato un modo per bypassare l’enzima non funzionante, ripristinando la produzione dello zucchero. In questo modo i muscoli possono svilupparsi nel modo corretto e malattia rallenta la sua progressione.

Lo sviluppo del trattamento è ancora nelle primissime fasi: i ricercatori stanno conducendo i primi test in vitro, su cellule di pazienti affetti dalla malattia. Il prossimo passo sarà migliorare le proprietà chimiche del farmaco usato, in modo da migliorarne l’efficacia e renderlo più facile da assumere. Dopodiché si passerà ai trial sui modelli animali e infine a quelli sugli esseri umani. La strada è quindi ancora lunga, seppure promettente.

Fonte: pubs.acs.org/journal/jmcmar

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Contro il cancro bisogna testare anche l’RNA?

Aumentano i test genetici volti a predire il rischio di tumori e ad elaborare trattamenti ad hoc. Secondo uno studio, però, il futuro sta nel doppio screening di DNA ed RNA. Ciò consentirebbe di ottenere dati più affidabili e precisi, da usare anche per valutare la presenza o meno di una predisposizione genetica.

Il rischio di ammalarsi dipende da un gran numero di fattori legati a genetica, ambiente e stile di vita. Lo stile di vita è sicuramente quello su cui è più facile intervenire, ma anche la genetica ha un grosso peso. Certe varianti predispongono infatti l’organismo alla comparsa di tumori. Individuandole, è più facile intervenire sugli altri fattori e individuare un eventuale tumore nelle primissime fasi.

I test standard si concentrano sulle mutazioni presenti nel DNA. Si sta facendo però largo un nuovo approccio, che prende in considerazione anche le mutazioni a livello di RNA. Ciò consente di moltiplicare le eventuali prove di una predisposizione genetica, riducendo i casi di falsi negativi.

Alla National Society of Genetic Counselors Annual Conference di Salt Lake City sono stati presentati i primi dati in proposito. I ricercatori hanno testato la metodologia su 2500 pazienti. Il test ha individuato circa il 6,9% di mutazioni in più, il 19% per geni specifici come i BRCA. Questo significa risultati più precisi, anche se più difficili da leggere.

Fonte: mddionline.com

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Svelati i meccanismi dietro la teleangectasia emorragica ereditaria

La teleangectasia emorragica ereditaria (HHT) è una malattia genetica rara che impedisce la formazione di vasi sanguigni. Ciò porta alla comparsa di complicazioni talvolta letali. Gli scienziati del Feinstein Institute for Medical Research potrebbero aver svelato i meccanismi molecolari della malattia. Ciò ha consentito loro di elaborare due possibili farmaci che potrebbero trattare le complicazioni più devastanti. Per il momento, i test si sono limitati ai modelli animali.

La malattia si caratterizza per lo sviluppo di cellule nei vasi sanguigne e per le lesioni emorragiche. Sul lungo periodo, danneggia gli organi interni e ne riduce la funzionalità. Si sa che è causata dal gene ALK1, ma il meccanismo è ancora poco chiaro. Il dottor Marambaud e i colleghi sono partiti da queste premesse e hanno sviluppato un possibile trattamento. Questo si basa su farmaci già usati per altre malattie, che potrebbero inibire le complicazioni proprie della teleangectasia emorragica ereditaria.

I ricercatori hanno scoperto che i percorsi mTOR e VEGFR2 erano ultra-attivati nei modelli animali malati. Ciò era evidente anche nei pazienti umani. I farmaci oggetto dello studio interagiscono con questi, agendo quindi su parte dei sintomi della malattia. Trattasi infatti di sirolisum e nintedanib, inibitori dei due percorsi individuati. Il primo viene usato per aprire arterie ostruite e ridurre il rischio di rigetto nei trapianti. Il secondo è un farmaco usato per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica.

Usati insieme, i due farmaci riducono buona parte dei sintomi più gravi della malattia. Questo quanto meno nei modelli animali: serviranno ulteriori studi per provarne l’efficacia sugli esseri umani.

Fonte: medicalxpress.com

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