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Aurora magazine

Il DNA dei neuroni cambia durante lo sviluppo embrionale

Al contrario di molte cellule nel resto del nostro corpo, quelle cerebrali hanno un DNA variabile. Si modifica di cellula in cellule, a causa di cambiamenti somatici. Il fenomeno potrebbe spiegare malattie come Alzheimer o autismo, ma rimane in buona parte inspiegato. Gli scienziati del Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute (SBP) hanno sviluppato un nuovo approccio, che permette di individuare la grandezza e la locazione di questi cambiamenti.

Grazie alla nuova tecnica, gli scienziati hanno rilevato migliaia di variazioni prima sconosciute. Molte di queste compaiono in fase prenatale, in particolare nelle fasi più importanti dello sviluppo cerebrale. È quindi probabile che siano parte integrante del processo, anche se non se ne conosce ancora lo scopo.

Lo studio chiarisce punti critici sul numero di variazioni presenti nel DNA delle cellule cerebrali. Il merito è di una tecnica che integra il sequenziamento cellulare. Poiché questo distrugge le cellule esaminate nel processo, gli scienziati hanno ricombinato il DNA usando cellule immunitarie. In questo modo hanno creato dei modelli di cellule con alterazioni, rendendo più facile individuarle durante le analisi.

La tecnica è stata elaborata da un team formato anche da scienziati di Illumina. Applicata alle singole cellule durante la neurogenesi, ha permesso di trovare migliaia di nuove varianti genetiche. Gran parte di queste erano caratterizzate da zone di DNA eliminate, mentre le duplicazioni erano più rare. Le varianti si sono distribuite in modo casuale nel genoma, ma si sono sviluppate quasi tutt nel periodo della neurogenesi.

Fonte: medicalxpress.com

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Conservato il tessuto ovarico di una bimba di 5 mesi

I chirurghi del Ann & Robert H. Lurie Children's Hospital di Chicago hanno rimosso il tessuto ovarico di una bimba di 5 mesi. Il tessuto è stato crioconservato, così da consentire alla piccola di avere un giorno dei figli, se lo vorrà. La bambina è infatti stata sottoposta a un trattamento antitumorale, che potrebbe intaccare la sua fertilità.

La procedura è stata unica nel suo genere. I medici hanno rimosso un minuscolo ovaio senza danneggiarlo. L’hanno mantenuto il più possibile intatto, così da poterlo conservare per il trapianto futuro. Quando la piccola sarà pronta, i medici valuteranno le opzioni migliori a disposizione. Una di queste prevede il trapianto del tessuto conservato sull’ovaio rimanente. In questo modo comincerà a ovulare e i medici potranno raccogliere gli ovociti per la fecondazione in vitro.

Per il momento la tecnica è ancora sperimentale. Per il momento, i medici hanno documentato circa 130 parti ottenuti in questa maniera, quasi tutti negli Stati Uniti. Per il momento, solo 2 di questi si sono verificati in Europa. I ricercatori stanno però elaborando nuove tecniche, così da aumentare le possibilità di riuscita della procedura.

Il dottor Rowell, che ha partecipato all’intervento, afferma che i ricercatori stanno lavorando su nuove tecniche chirurgiche. L’obiettivo è danneggiare il tessuto il meno possibile, migliorandone anche la conservazione. La tecnica potrebbe preservare la fertilità di tante piccole pazienti affette da tumori, ma anche da malattie genetiche ed endocrine.

Fonte: luriechildrens.org

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Svelata la struttura molecolare delle metastasi

Il team del professor Federico Forneris dell'Università di Pavia ha svelato la struttura molecolare dell’enzima LH3. L’enzima regola la maturazione del collagene, la proteina che sostiene cellule e tessuti. Un suo eventuale malfunzionamento è legato a malattie genetiche rare e provoca la formazione di metastasi in caso di tumore.

I ricercatori hanno riportato per la prima volta la struttura molecolare in 3D di LH3. Per farlo hanno usato la cristallografia a raggi X. Ciò ha permesso di ottenere molti dettagli inediti sul funzionamento dell’enzima. In particolare, ha dato una spinta alla ricerca sulle malattie genetiche del collagene.

L’enzima LH3 ha una struttura molecolare atipica: due copie dell’enzima lavorano in simultanea, formando una geometria allungata. È il motivo per cui fino a ieri c’erano scarse informazioni su LH3. Serviva un modello in 3D per comprenderne l’esatto funzionamento. In più, i ricercatori hanno scoperto che l’enzima svolge più attività enzimatiche, il che è molto raro.

Le anomalie genetiche legate a LH3 sono alla base di gravi malattie genetiche di ossa e tessuti connettivi. Tra queste ci sono osteogenesi imperfetta, sindrome di Elhers-Danlos e sindrome di Bruck. Inoltre, il malfunzionamento di LH3 facilita la metastatizzazione di diversi tipi di tumore. L’enzima crea infatti delle strade di collagene attorno alle cellule tumorali, stimolandone la migrazione.

Il team pavese utilizzerà su altri enzimi le strategie usate per lo studio LH3. L’obiettivo è trovare le cause genetiche e molecolari che provocano la formazione delle metastasi. La speranza è riuscire a sviluppare farmaci che prevengano la metastatizzazione dei tumori solidi.

Fonte: lescienze.it

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Scoperta la proteina che accelera i tumori

Dietro alla crescita ultra rapida di certi tumori c’è la proteina Nuak2. La scoperta arriva dal team della dottoressa Liliana Attisano, dell’Università di Toronto. In combinazione con i test genetici, potrebbe aprire la strada a trattamenti nuovi e personalizzato.

Nuak2 è una proteina che si interfaccia con la coppia di molecole Yap e Taz. Grazie alla sua azione, le molecole modificano alcuni geni delle staminali tumorali. Ne stimolano così la proliferazione e aumentano la velocità di sviluppo del tumore. Inoltre, stimolano l’azione del gene che codifica la stessa proteina Nuak2, dando il via a un circolo vizioso. La versione iperattiva di Nuak2 alza i livelli della proteina, stimolando più molecole e influenzando più staminali tumorali.

Se si trovasse un modo per bloccare il meccanismo, si potrebbe arrestare anche l’avanzata del tumore. I ricercatori mirano quindi a sviluppare delle molecole che inibiscano Nuak2. Una volta bloccata la produzione della proteina, il circolo vizioso si interromperebbe e andrebbe a scemare. Per il momento hanno ottenuto buoni risultati in vitro e sui modelli animali. Ci vorrà ancora del tempo per arrivare alle terapie sull’uomo, ma la strada sembra quella giusta.

Se tutto andrà bene, tra una decina di anni avremo un farmaco che inibisce il gene. Nel mentre, i test genetici possono comunque dare una grossa mano. La presenza di Nuak2 è infatti un chiaro segnale di allarme. Nei casi in cui è presente, è già chiaro che il tumore sarà con ogni probabilità aggressivo e da affrontare in tempi brevi.

Fonte: ansa.it

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