Recensioni verificate Soddisfatta del servizio.
Personale disponibile e gentile. Lo consiglio a tutti ...
Cliente Sorgente Genetica
logomysorgente

02  4948  5291

Aurora magazine

Citomegalovirus congenito: cos’è e quali sono i rischi

Il Citomegalovirus o Cmv è un virus diffuso in tutto il mondo, che appartiene alla stessa famiglia dell’Herpes. Si tratta di un virus molto comune, che una volta contratto rimane latente per tutta la vita. L’indebolimento del sistema immunitario ne può provocare la riattivazione.

Il più delle volte, il Citomegalovirus è asintomatico e tutto sommato innocuo. L’infezione è invece pericolosa per gli individui immunodepressi, nei quali provoca complicanze a occhi e fegato. Inoltre, le infezioni congenite da Citomegalovirus danneggiano in modo permanente il feto. Queste si verificano qualora la madre contragga l’infezione in gravidanza o durante l’allattamento.

Il Citomegalovirus congenito può essere provocato da una trasmissione primaria o secondaria. Nel primo caso, la madre contrae per la prima volta il virus durante la gestazione. Nel secondo, il virus prima latente si risveglia durante la gravidanza e infetta il feto. Entrambi i tipi di trasmissione non paiono collegati al periodo di gestazione. Secondo alcuni studi, però, ci sarebbero maggiori pericoli nei primi tre mesi.

Per la forma primaria di trasmissione del Citomegalovirus, il rischio di Citomegalovirus congenito si aggira tra il 30% e il 40%. Per la forma secondaria, tra lo 0,5% e il 2%.

Il Citomegalovirus congenito è asintomatico nell’85-90% dei casi. Il 10% dei bambini infetti asintomatici mostra sintomi tardivi, spesso legati a problemi di udito. Il rimanente 10-15% dei neonati è sintomatico e mostra sintomi permanenti o temporanei, di gravità variabile. I sintomi permanenti comprendono sordità, cecità, ritardo mentale, deficit del movimento. In alcuni casi, si manifestano dopo anni dalla nascita, pur essendo poco comune.

Ad oggi non esiste un vaccino contro il Citomegalovirus, bisogna quindi agire sulla prevenzione. La trasmissione avviene in prevalenza tramite lo scambio di fluidi corporei. Per questo motivo, il primo modo per prevenire il contagio è lavarsi le mani prima di mangiare, dopo essere andati in bagno e dopo aver cambiato un pannolino.

Fonte: epicentro.iss.it

Add a comment

Cancro al seno: un test genomico dice se fare la chemioterapia

Un nuovo test genomico predice il trattamento migliore contro il cancro al seno. In particolare, indica se la chemioterapia è necessaria oppure no. È quanto emerge dallo studio TaylorX, presentato al congresso mondiale di oncologia medica (Asco) di Chicago.

I risultati fanno riferimento al tipo di cancro al seno più diffuso, quello responsivo agli ormoni e che non coinvolge linfonodi. Secondo lo studio, la chemioterapia sarebbe superflua per il 70% delle pazienti affette da questa tipologia. In caso di diagnosi precoce, per loro basterebbe solo la terapia ormonale. Come distinguerle dall’altro 30%, però? I ricercatori dell’Albert Einstein Cancer Center di New York hanno sviluppato un test proprio per questo.

Quello presentato a Chicago è il secondo trial clinico sul test. Il test esamina l’attività di geni specifici all’interno dei tessuti tumorali. In questo modo aiuta a comprendere la biologia del tumore, quanto è resistente e quanto è probabile una recidiva. Lo si esegue esaminando un campione prelevato dal tumore. In base ai risultati, assegna un punteggio che va da 0 a 100 e che indica la probabilità di recidiva entro 10 anni.

Se il punteggio è da 0 a 10, il rischio di recidiva è basso. Ciò significa che la chemioterapia è meno necessaria e che si può puntare su altre terapie. Se invece il punteggio va da 26 a 100, è meglio effettuare la chemioterapia. Nel primo trial clinico, i punteggi tra 11 a 25 erano incerti. Il secondo trial ha fatto luce sull’approccio migliore anche in questi casi.

I ricercatori hanno testato la procedura su oltre 10.000 donne affette da cancro al seno. Di queste, circa 6.000 avevano ottenuto un punteggio tra 11 e 25, quindi incerto. Metà di loro hanno effettuato chemioterapia e terapia ormonale; l’altra metà ha effettuato solo la terapia ormonale. Dopo il trattamento, i medici le hanno seguite per circa 7 anni. Sul lungo periodo, i due tipi di trattamento hanno avuto risultati simili.

Secondo i dati raccolti, la chemioterapia non ha alzato le probabilità di sopravvivenza di queste donne. I tassi di metastasi e recidive sono risultati equivalenti. In caso di risultati tra 11 e 25 in tumori al seno responsivi agli ormoni diagnosticati precocemente, quindi, la terapia ormonale è sufficiente. Pare che ci sia un’unica eccezione: nelle pazienti sotto i 50 anni, la doppia terapia potrebbe essere comunque consigliabile.

Fonte: repubblica.it

Add a comment

Oloprosencefalia: cos’è e come si manifesta

L’oloprosencefalia è una malattia genetica che interessa circa 1 nato vivo ogni 10.000 in tutto il mondo. Interessa il cervello e presenta 3 forme classiche, con una gravità man mano maggiore. Tutte e tre le manifestazioni partono da un difetto nella separazione degli emisferi cerebrali, ma c’è una forte variabilità clinica.

Le tre forme sono:

  • oloprosencefalia alobare. È la forma più grave di oloprosencefalia: la separazione è del tutto assente e i talami sono fusi. Di conseguenza il cranio è più piccolo della media e tondeggiante. La diagnosi prenatale è possibile dal primo trimestre;
  • oloprosencefalia semilobare. Gli emisferi sono fusi nella zona anteriore;
  • oloprosencefalia lobare. Si tratta della forma più difficile da diagnosticare. La separazione è quasi completa, quindi la malattia può passare inosservata nel corso delle ecografie.

In gran parte dei casi, è evidente una correlazione tra gravità della malattia e anomalie facciali. La forma più grave si accompagna spesso a malformazioni craniofacciali. Nella forma più lieve, invece, le malformazioni sono quasi assenti, anche se è presente un certo grado di ritardo mentale. Sintomi comuni sono anche deficit motorio, problemi alimentari, epilessia e disturbi endocrini. Le forme gravi si rivelano spesso fatali a causa della malformazioni cerebrale e dei difetti associati.

La diagnosi prenatale avviene di solito mediante ecografia e diagnostica per immagini. I test genetici attuali sono in grado di identificare circa il 25% delle mutazioni legate alla malattia. Questi ultimi sono consigliati soprattutto alle donne che presentano più di un fattore di rischio, come sospetta familiarità e diabete.

La prognosi dell’oloprosencefalia è variabile e dipende in buona parte dalla forma della malattia e dalle complicanze correlate.

Fonte: orpha.net

Add a comment

Febbre mediterranea familiare: cos’è e come si manifesta

La febbre mediterranea familiare (FMF) è una malattia genetica diffusa soprattutto nel Sud-Est del Mediterraneo. È una patologia autoinfiammatoria, caratterizzata da episodi ricorrenti di febbre e sierosite. Ciò provoca dolore ad addome, torace, articolazioni e muscoli. Si calcola che colpisca circa 1 persona ogni 200-1.000.

La malattia si divide in tipo 1 e tipo 2. Il tipo 1 si manifesta in giovane età ed è il più grave. Il secondo tipo è invece meno grave e si manifesta nei primi 30 anni di età. Entrambi i tipi sono caratterizzati da attacchi di febbre che tendono a scomparire da soli in 1-4 giorni. A seconda della gravità della patologia, si va da circa 1 attacco di febbre a settimana a 1 ogni 2-3 anni.

I fattori scatenanti degli attacchi di febbre possono essere anche di lieve entità. Lo stress e il ciclo mestruale sono tra questi, ad esempio. A volte basta anche un pasto un po’ più ricco di grassi e l’esposizione al freddo. Di solito gli attacchi sono preceduti da una serie di sintomi della durata di circa 17 ore. Il soggetto inizia ad avvertire mialgia, nausea, lombalgia, ansia. Dopodiché la temperatura corporea sale a 38-40° e compaiono dolore addominale, artralgia e dolore toracico. La febbre di questo tipo è refrattaria agli antibiotici.

Le cause della febbre mediterranea familiare sono genetiche. Gli scienziati hanno individuato 218 mutazioni di MEFV legate alla malattia, trasmissibili per via autosomica recessiva. La malattia si manifesta quindi solo se entrambi i genitori sono portatori e trasmettono il gene mutato. Le ultime ricerche ipotizzano però il coinvolgimento di altri geni oltre MEFV.

La diagnosi avviene mediante l’analisi dei dati clinici e, in caso di dubbi, mediante test genetici. Per il momento non esiste una cura per questa malattia, ma solo trattamenti sintomatici. La colchicina riduce gli attacchi di febbre e le complicazioni legate. I pazienti devono assumerla per tutta la vita e alcuni di loro risultano intolleranti al farmaco. In questo caso, non esistono alternative.

Fonte: orpha.net

Add a comment