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Aurora magazine

19 marcatori genetici per predire le malattie dell’occhio

Il tema del professor Stuart MacGregor ha scoperto 19 marcatori genetici legati a malattie dell’occhio. Grazie a questa scoperta, la diagnosi precoce di malattie oculari come il cheratocono potrebbe diventare più facile.

I ricercatori hanno analizzato il genoma di oltre 25 mila persone. Grazie ai dati raccolti, hanno scoperto molte varianti genetiche prima sconosciute. Secondo lo studio, 45 di queste influenzano lo spessore della cornea e il suo stato di salute nel corso della vita. In che modo questo si ricollega al cheratocono?

Il professor MacGregor ha spiegato che lo spessore della cornea è un elemento determinante per lo sviluppo della malattia. Questa è l’ennesima prova delle origini genetiche della condizione, o quanto meno di alcuni tratti che la determinano. Infatti, lo spessore della cornea è uno dei tratti più legati all’ereditarietà e meno influenzati dall’ambiente.

I marker genetici scoperti potrebbero aiutare sia nella diagnosi sia nella prevenzione del cheratocono. In futuro si potrebbero sviluppare test genetici pensati per i soggetti più a rischio. Questo permetterebbe di agire per tempo e quanto meno rallentare la degenerazione della malattia. La scoperta è importante però anche per altre malattie dell’occhio.

Lo studio ha permesso di comprendere meglio la genetica di alcune malattie del tessuto connettivo. Nello specifico, ha gettato una nuova luce sulla sindrome di Ehlers-Danlos, la sindrome della cornea fragile e la sindrome di Marfan. Queste malattie hanno molto più in comune di quanto non si pensasse in passato. Condividono diversi marcatori genetici tra loro e ciò potrebbe facilitare lo sviluppo di nuovi trattamenti.

Fonte: deccanchronicle.com

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Abbronzato o scottato? Lo decidono i geni

Perché alcuni di noi diventano neri dopo una giornata di sole, mentre ad altri basta pochissimo per scottarsi? La risposta sta nel nostro DNA, che regola la reazione della pelle all’esposizione solari. I ricercatori italiani Mario Falchi e Alessia Visconti del King's College di Londra hanno scoperto i geni che controllano questo meccanismo.

Per la loro scoperta, i due ricercatori sono partiti dai dati di oltre 500 mila volontari. Le informazioni genetiche erano conservate in una banca dati genetica. I 500 mila volontari comprendevano 55 mila membri di un gruppo di controllo. Tra i rimanenti, invece, c’erano 46 mila persone inclini alle scottature e 74 mila in grado di abbronzarsi senza bruciarsi. I partecipanti erano tutti europei.

Le analisi del DNA dei volontari hanno svelato 20 regioni legate all’abbronzatura. Di queste, 10 non erano mai state collegate a questa specifica area. I ricercatori hanno preso nota in particolare di una regione vicina ai geni AGR3 e AHR. Anomalie in questa specifica regione erano già state associate a un maggior rischio di melanoma.

Lo studio ha dimostrato che la propensione alle scottature è una questione di geni. Grazie ai risultati, i ricercatori hanno ottenuto un quadro genetico delle tipologie di pelle più a rischio. Un risultato tutt’altro che futile: scottarsi molto durante l’infanzia, infatti, aumenta il rischio di cancro alla pelle in età adulta.

Fonte: ansa.it

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La lotta alla displasia ectodermica ipoidrotica comincia in utero

Un team di ricercatori ha eseguito un trattamento contro la displasia ectodermica ipoidrotica in utero. Lo rivela uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine.

La procedura potrebbe migliorare in maniera significativa la vita di chi ha ereditato questa rara malattia genetica. Trattare la malattia ancora in utero, infatti, consentirebbe di affrontare i sintomi ancora prima che questi si presentino. Un vantaggio notevole non solo nella lotta alla displasia ectodermica ipoidrotica, ma anche ad altre malattie. Secondo la dottoressa Maisa Feghali, ci sono moltissime malattie congenite che beneficerebbero di un approccio del genere.

I dati del National Institutes of Health riportano che nel mondo 1 persona su 17.000 soffre di displasia ectodermica ipoidrotica (HED). Chi ne soffre non riesce a produrre la proteina ectodisplasina A. Ciò provoca caduta di denti e capelli, mancata produzione di sudore e quindi propensione ai colpi di calore. Si tratta di una malattia non letale, ma che intacca in maniera importante la qualità della vita.

Gli autori dello studio hanno effettuato una serie di test preliminari su modelli animali. Dopo questi primi successi, sono passati ai trial clinici sugli esseri umani. Per il momento, hanno testato la procedura su una coppia di gemelli e su un terzo bambino. In tutti e tre i casi, i test di screening prenatali avevano rivela la presenza della malattia.

I gemelli hanno ricevuto il trattamento due volte, alla 26a settimana e alla 31a settimana di gestazione. Il terzo bambino l’ha ricevuto solo alla 26a settimana. I medici sospettano che la procedura possa aver anticipato il travaglio dei gemelli, che sono nati prematuri alla 33a settimana. In compenso, il trattamento in utero pare aver dato i suoi frutti in tutti e tre i casi. A 22 settimane dal parto, nessuno dei tre bambini ha manifestato i sintomi tipici della displasia ectodermica ipoidrotica.

Il trattamento punta sull’influenzare lo sviluppo delle ghiandole sudorifere già nell’utero. In teoria, in questo modo si correggerebbe l’errore prima ancora che si manifesti. Solo il tempo, però, saprà dire se il trattamento è stato risolutivo.

Fonte: the-scientist.com

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L’antidepressivo lo sceglie il test genetico

Un gran numero di studi prova l’utilità dei test genetici nella lotta contro tumori e altre patologie. Uno studio del dottor Forester potrebbe introdurli anche nella psichiatria. Il medico ha infatti sviluppato un test genetico che aiuta a scegliere l’antidepressivo migliore per ciascun paziente. Il test esamina dozzine di geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci e prevede le possibili risposte del cervello.

Secondo lo studio, il test genetico sarebbe in grado di predire gli effetti di più di 50 antidepressivi e antipsicotici. Sulla base di questi risultati sarebbe più semplice capire quali farmaci evitare e su quali puntare. In questo modo si eviterebbe di far saltare il paziente da un antidepressivo all’altro, con conseguenze negative anche per la salute.

Per il momento il test è ancora in fase di test in 60 ospedali statunitensi. Tra i 1.167 pazienti coinvolti nel trial, metà ha effettuato il test genetico e metà no. I risultati paiono essere positivi. Il test ha permesso di scegliere farmaci più efficaci, con risposte il 30% più positive rispetto a quelle del gruppo di controllo. L’applicazione dei test genetici alla psichiatria ha però dei lati oscuri.

Il cervello è un organo complesso. Un singolo test genetico può aiutare, ma per il momento non può essere la risposta definitiva. Inoltre, pone il medico di fronte a una serie di possibili scelte. Sta a lui e alla sua esperienza capire qual è la migliore per il paziente. Quello del dottor Forester rimane comunque un passo importante per la psichiatria di precisione.

Fonte: wsj.com

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