Alcune cellule di persone con la Sindrome di Down hanno subito danni al Dna legati a un difetto nella loro riparazione. Una recente ricerca italiana, portata avanti dall’Istituto di genetica molecolare del CNR e dal Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Pavia, sottolinea quanto sia importante la prevenzione precoce.
La Sindrome di Down (o Trisomia 21) è la patologia genetica che interessa coloro che hanno una copia extra del cromosoma 21. Si tratta di uno sbilanciamento nel corredo genetico evidente nell’aumento dell’espressione di alcuni geni localizzati su questo cromosoma; dal punto di vista pratico, le persone affette da questa malattia presentano forme differenti di disabilità intellettuale, di invecchiamento precoce e negli anni sono più portate a sviluppare una patologia simile all’Alzheimer oppure alcune forme particolari di leucemia. L’aumento dell’espressione dei geni legati al cromosoma 21 ha come conseguenza il malfunzionamento di certe proteine che presiedono la regolazione del metabolismo dell’ossigeno. Questo dà origine al cosiddetto “stress ossidativo”, che fa accumulare i prodotti di scarto del metabolismo, ovvero molecole reattive e molto dannose per la vita delle cellule. La comunità scientifica considera gli aspetti patologici della sindrome di Down legati proprio all’aumento dello stress ossidativo, in grado di recare danno ad alcuni elementi della cellula e soprattutto al Dna.
La ricerca realizzata dall’Istituto di genetica molecolare del CNR e dal Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Pavia ha studiato la capacità delle cellule dei pazienti Down di gestire questo “stress” e i danni conseguenti. Sono stati approfonditi i parametri relativi alla difesa cellulare dallo stress ossidativo in fibroblasti fetali e in quelli ottenuti da pazienti adulti. Essi sono stati poi comparati con fibroblasti di soggetti sani della stessa età.
Nel dettaglio, è stata analizzata la propensione delle cellule a comunicare la presenza di un danno al Dna (indotto sperimentalmente) e a procedere alla riparazione. Lo studio ha scoperto che i sistemi di risposta all’insorgere di un danno al Dna si attivano anche in assenza di un danno indotto, sia nelle cellule fetali sia in quelle degli adulti. Questo fa ipotizzare che le cellule delle persone con Sindrome di Down possano essere esposte all’aumento di stress ossidativo già in fase fetale. La ricerca ha mostrato poi che le cellule dei pazienti Down hanno minori capacità di riparare i danni ossidativi per via di un accumulo anomalo di fattori legati alla riparazione del Dna, di origine ancora sconosciuta.
I risultati dello studio fanno dunque emergere quanto sia necessaria una maggior tutela dall’esposizione a fattori di rischio, quali elementi chimici e fisici di natura genotossica, sia nelle persone con Sindrome di Down sia per le donne incinte, in modo da diminuire le probabilità di sviluppo di malattie legate al danno ossidativo e alla Sindrome di Down.
Fonte: “Focus”
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