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Aurora magazine

Autismo e insonnia: tutta colpa di un gene

Circa l’80% dei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico soffre di insonnia. Il perché è sempre stato un mistero, proprio come la causa stessa dei disturbi. Un nuovo studio della Washington State University potrebbe aver trovato la causa di questi disturbi del sonno. Se fosse confermata, potrebbero sviluppare nuovi trattamenti per alleviare quanto meno questo problema.

C’è un collegamento tra disturbi del sonno e gravità dei disturbi dello spettro autistico. Gli scienziati pensano che risolvendo i primi si potrebbero quanto meno alleviare i secondi. I bambini che dormono bene hanno infatti meno problemi a livello di comunicazione e interazione sociale. Per questo motivo, gli autori dello studio hanno cercato le cause genetiche dell’insonnia in chi soffre di autismo.

I problemi del sonno in questi pazienti paiono collegati a una mutazione nel gene SHANK3. Il gene regola il ciclo di sonno-veglia e, quando assente o alterato, causa insonnia. I ricercatori hanno quindi analizzato i dati di alcuni pazienti affetti da sindrome di Phelan-McDermid. La malattia è collegata all’autismo e molti pazienti sono privi del gene SHANK3. Questi fanno fatica ad addormentarsi e tendono a svegliarsi durante la notte.

Per confermare la scoperta, i ricercatori hanno confrontato cavie con la mutazione e cavie prive della mutazione. I topi del primo gruppo ci mettevano molto più tempo della media ad addormentarsi. Inoltre, dormivano peggio. Adesso dovranno comprendere il meccanismo molecolare dietro il problema, così da sviluppare una terapia efficace.

Fonte: wsu.edu

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Gli algoritmi ad apprendimento automatico migliorano i test genetici

Un team di ricercatori di San Diego ha applicato un algoritmo ad apprendimento automatico agli screening genetici. L’obiettivo era velocizzare e migliorare la diagnosi di alcune malattie genetiche rare. In questo modo sarà più facile intervenire in tempi brevi, specie in caso di neonati in terapia intensiva. Lo studio è stato condotto in collaborazione con Illumina.

Il team del dottor Kingsmore ha usato il sequenziamento genetico su neonati e bambini in terapia intensiva. Tutti i pazienti erano in condizioni gravi, che richiedevano un intervento immediato. Per intervenire nel modo giusto, però, serviva una diagnosi il più possibile precisa. Ecco quindi che entra in gioco l’algoritmo.

La nuova tecnologia riduce la necessità di interventi umani nell’analisi dei dati genetici. Ciò permette di ridurre tempi e costi dell’intervento, dando risultati affidabili nell’arco di 19 ore. Il tutto a partire da un semplice campione di sangue, che racchiude tutto il materiale genetico necessario per il sequenziamento totale.

Le componenti chiave della tecnologia arrivano da Illumina, azienda specializzata in test di screening prenatale e test genetici. Questi lavorano con i sistemi di apprendimento automatico, che volta dopo volta imparano a interpretare sempre meglio i dati a loro disposizione. Per rendere questo possibile, i ricercatori hanno inserito nel sistema dati provenienti dalla letteratura medica. L’algoritmo li vaglia e li confronta con i dati ottenuti dal sequenziamento, fornendo le possibili risposte. Il tutto prende circa 5 minuti.

Il nuovo algoritmo non sostituisce gli esperti umani, ma ne semplifica il lavoro. Applicato in maniera diffusa, potrebbe salvare la vita a migliaia di bambini affetti da malattie genetiche.

Fonte: radygenomics.org

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La donna che non prova dolore aiuterà milioni di persone

Jo Cameron ha 71 anni e non sa cosa sia il dolore. A causa di una rara mutazione genetica, la donna non sente dolore ed è incapace di provare stress. Ciò l’ha portata a collezionare arti rotti e ustioni di vario tipo, causate dall’incapacità di fermarsi per tempo. Ciononostante, ha iniziato a indagare questa sua stranezza solo dopo i 65 anni, a seguito di un’operazione chirurgica. Adesso la sua mutazione potrebbe portare alla creazione di nuovi antidolorifici per chi soffre di dolore cronico.

Il primo a rendersi conto che c’era qualcosa che non andava è stato Devjit Srivastava. Il medico ha notato che la donna aveva diversi segni legati all’artrosi, ormai in uno stadio molto avanzato. Ciononostante non manifestava il minimo dolore e camminava nonostante l’articolazione dell’anca deteriorata. Il medico ha segnalato il caso ai genetisti dell’UCL di Londra, che hanno studiato l’elevata soglia del dolore della donna.

I genetisti hanno scoperto due mutazioni importanti nel DNA di Jo Cameron, che sopprimono dolore e ansia. Allo stesso tempo, aumentano la felicità e accelerano la guarigione delle ferite. La prima mutazione è abbastanza comune e riguarda il gene FAAH. La seconda è invece molto più particolare: la donna è priva del gene che controlla FAAH. Di conseguenza, produce alti livelli di anandamide, la sostanza che riduce il dolore e aumenta la smemoratezza.

È probabile che la donna abbia ereditato la mutazione da suo padre. Adesso i ricercatori stanno cercando un modo per imitarne gli effetti, così da trattare chi soffre di dolore cronico.

Fonte: repubblica.it

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Gli emofilici supportano la diagnosi genetica preimpianto

Più del 50% degli adulti affetti da emofilia o con parenti malati supportano la diagnosi genetica preimpianto e gli screening prenatali. Lo rivela un sondaggio pubblicato dalla rivista Molecular Genetics & Genomic Medicine.

Un team dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, ha condotto uno studio su come i diretti interessati vedono i test genetici. I ricercatori hanno intervistato malati di emofilia e loro parenti, chiedendo loro che cosa ne pensino di questi strumenti. In un primo momento, hanno intervistato 22 persone, delle quali 6 emofiliache e 3 affette dalla malattia di Von Willebrand. Hanno fatto loro domande sulla malattia e su come vedono certi metodi di diagnosi.

Basandosi sulle prime interviste, i ricercatori hanno sviluppato un secondo questionario. Questa volta l’hanno sottoposto a 327 persone, delle quali il 75,7% con parenti malati e il 24,3% affette dalla malattia. Circa l’85% aveva più di 35 anni , il 77% aveva figli e il 56% era credente.

Circa il 57% degli intervistati si è dichiarato favorevole agli screening genetici preimpianto. Circa il 35% di loro ha dichiarato di non vedere gli screening come una forma di eugenetica. Il 37% ha affermato che il risultato dei test genetici non li spingerebbe a cambiare partner reproduttivo. Infatti, il 45% dei malati di emofilia A e il 24% dei malati di emofilia B temono lo stigma per i portatori sani.

Il 59% dei partecipanti ha parlato a favore dei test di screening prenatali. Perché? Il 69% di loro ha dichiarato “per preparare i genitori alla malattia del figlio”.

Fonte: hemophilianewstoday.com

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