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Aurora magazine

I giovani diabetici dovrebbero fare un test genetico?

Uno studio del Joslin Diabetes Center mostra che alcune persone affette da diabete di Tipo 1 soffrono di diabete monogenico. Questa forma di diabete è una condizione ereditaria non autoimmune, che in alcuni casi non richiede trattamenti con l’insulina. Secondo l’autore, quindi, i giovani che soffrono di diabete Tipo 1 dovrebbero eseguire test genetici per individuare l’eventuale variante.

La scoperta fa parte di una ricerca più ampia, incentrata sulle persone che convivono col diabete da almeno 50 anni. Lo studio comprende altre scoperte importanti sull’attività delle cellule pancreatiche, ma questa è una delle più interessanti. Potrebbe infatti significare la libertà dall’insulina per tanti giovani diabetici.

Il diabete monogenetico è causato da una mutazioni in uno dei geni legati alla produzione di insulina. Potrebbe interessare circa il 5% dei casi, molti dei quali di diabete giovanile. Per provarlo, i ricercatori hanno testato 29 geni legati al diabete monogenetico, più altri geni che causano il diabete di Tipo 1.

Su circa 1019 volontari, circa l’8% mostrava una mutazione da diabete monogenetico che avrebbe potuto causare la malattia. Circa la metà di loro era privo della mutazione legata al diabete Tipo 1. Ciò significa che le persone in questione potrebbero rispondere meglio a una terapia farmacologa orale, piuttosto che alla semplice insulina.

Entro un paio di mesi dovrebbero partire nuovi trial clinici per testare l’efficacia dei farmaci orali. Se i risultati fossero positivi, potrebbero cambiare la vita di milioni di individui affetti da diabete.

Fonte: medicalxpress.com

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I test genetici preimpianto diventano più precisi

I test genetici preimpianto sono fondamentali, ma sono molto più precoci di un test del DNA fetale. Possono quindi comportare falsi positivi e falsi negativi. Per ridurre questo rischio, un team internazionale di ricercatori sta elaborando una nuova tecnica. Il loro obiettivo è aumentare l’affidabilità di questi test e facilitare la IVF.

I test attuali partono da una piccola biopsia della blastocisti, la primissima fase dell’embrione. I medici prendono un campione di trofoblasto, il tessuto che dà origine alla placenta, e lo analizza. Capita però che le cellule del trofoblasto siano sane e quelle che daranno origine all’embrione no, o viceversa. Il fenomeno è detto mosaicismo e complica le analisi genetiche.

Gli autori dello studio hanno sviluppato una tecnica per analizzare le cellule contenute nel liquido di coltura della blastocisti. In questo modo è più facile analizzare diversi tipi di cellule ed è più difficile danneggiare la blastocisti. L’hanno testa su 52 blastocisti donati da pazienti che si stavano sottoponendo a trattamenti per la fertilità. Erano già stati analizzati tutti con le tecniche tradizionali, permettendo di confrontare risultati vecchi e nuovi.

La tecnica tradizionale ha un tasso di falsi positivi del 50%: su 18 blastocisti considerate anomale, 9 non lo erano. La nuova tecnica ha invece un tasso del 20%, ancora importante ma comunque molto più basso rispetto al primo. Se perfezionata, potrebbe facilitare le analisi preimpianto e quindi la selezione degli embrioni migliori per la IVF.

Fonte: medicalxpress.com

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Individuate nuove varianti genetiche causa del diabete

Il diabete di tipo 2 dipende sia dalle condizioni ambientali sia dalla predisposizione genetica, è noto. Eppure i meccanismi biologici alla base della malattia sono ancora poco chiari. Per questo motivo, gli scienziati dell’Università del Michigan hanno deciso di ampliare il raggio degli studi tradizionali.

Buona parte delle ricerche sul diabete si basa sui dati raccolti tra persone di origine europea. Questo rende più difficile generalizzare i dati raccolti, che non tengono conto di eventuali varianti presenti in altri gruppi etnici. Per questo studio, invece, sono state coinvolte quasi 46.000 persone di tutte le etnie, 21.000 affette da diabete di tipo 2 e 25.000 sane. In questo modo i ricercatori hanno potuto basarsi su campioni più ampi e variegati.

Raccogli i campioni, i ricercatori hanno deciso di ridurre il raggio dell’analisi. Si sono quindi concentrati su una particolare porzione di genoma, quella che codifica per le proteine. Questa parte del genoma si chiama esoma e rappresenta solo il 2% di tutto il nostro codice genetico. Le ricerche tendono a sottovalutarlo, ma molti studi recenti lo stanno riscoprendo con risultati sorprendenti. Questo è uno di quelli.

Grazie a questo approccio, gli autori dello studio hanno trovato delle varianti genetiche legate al rischio di diabete mai osservate, in quanto più rare. Un risultato già di per sé notevole, che però richiederà ulteriori studi e campioni di persone ancora più ampi.

Fonte: focus.it

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La cardiopatia congenita è frutto di tre mutazioni genetiche

La cardiopatia congenita colpisce circa l’1% dei nuovi nati. Chi ne soffre deve subire numerose operazioni e sottoporsi a trattamenti farmacologici per tutta la vita. In alcuni casi, è necessario addirittura il trapianto di cuore. Nonostante l’occorrenza e i tanti sforzi per ottenere diagnosi sempre più recise, per molti pazienti la causa della malattia è ancora un mistero. Secondo questo studio, il motivo è che ci sono più geni coinvolti.

I ricercatori del Gladstone Institute e dell’Università della California hanno individuato tre varianti genetiche collegate alla malattia, tutte ereditarie. Nelle famiglie nelle quali si manifestano, si registrano casi multipli di malattie cardiache anche in giovane età. È probabile quindi che la colpa della patologia non sia di una mutazione sola, ma di tante messe insieme.

Tutto parte dallo studio di una famiglia con numerosi casi cardiopatia congenita. Uno dei figli della coppia era appena sopravvissuto a un delicato intervento al ventricolo sinistro. I coniugi avevano già una bambina con una malattia simile e avevano subito un aborto nel primo trimestre. I ricercatori hanno quindi analizzato i cuori dei due genitori: la madre era sana, mentre il padre aveva una versione molto blanda della condizione del figli.

A partire da queste osservazioni, i ricercatori hanno sequenziato il DNA di tutti i membri della famiglia. Hanno così scoperto che il padre era portatore di due geni mutati, MKL2 e MYH7, entrambi collegati a un maggior rischio di malattie cardiache. I bambini avevano ereditato entrambe le mutazioni dal padre e una terza dalla madre, quella a carico del gene NKX2-5. Tutte e tre insieme, le mutazioni hanno causato l’insorgere della malattia.

Fonte: gladstone.org

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