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Aurora magazine

L’insonnia potrebbe avere una causa genetica

L’insonnia è un problema che interessa milioni di persone in tutto il mondo. Uno studio dello psichiatra Murray Stein ha confermato che questa condizione è ereditaria. Chi soffre di insonnia presenta spesso una mutazione genetica che rende più difficile addormentarsi.

Sono molti anni che gli studiosi ritengono che l’insonnia abbia cause genetiche. Gli studi sui gemelli hanno confermato questa teoria già 10 anni fa. Ciononostante, nessuno ha mai individuato i fattori genetici responsabili di questa condizione. Per rispondere a questa domanda ancora aperta, il team del dottor Stein ha analizzato il DNA di 33.000 soldati.

Le analisi del genoma hanno mostrato un collegamento tra insonnia e anomalie in regioni specifiche. In particolare, le mutazioni nel cromosoma 7 e nel cromosoma 9 sembrano essere le cause più probabili.

Secondo il team, la variante nel cromosoma 7 coinvolge anche il gene AUTS2, collegato al consumo eccessivo di alcol. Inoltre, i soggetti di ascendenza europea hanno mostrato un legame tra disturbi del sonno, depressione e diabete. Tutti questi problemi potrebbero avere cause genetiche comuni.

Ci sono ancora molte cose da chiarire, ma è chiaro che l’insonnia ha cause genetiche e che queste sono ereditarie. Le conferme arrivano da una serie di studi diversi. Quello del dottor Stein si è infatti posto sulla scia di una ricerca dello scorso anno. In quel caso, i ricercatori avevano analizzato il DNA di 110.000 individui. Avevano così identificato i geni collegati a insonnia, ansia, depressione e altri problemi psichiatrici.

Per il momento, i ricercatori dichiarano di aver individuato 956 geni coinvolti nei problemi di insonnia. Saranno però necessari altri studi per scavare più a fondo.

Fonte: sciencealert.com

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Fare test genetici riduce il numero di trattamenti inutili

I ricercatori del Penn Medicine hanno analizzato l’impatto dei test genetici per il genotipo CYP2C19. Secondo lo studio, l’accesso immediato ai risultati del test riduce il ricorso a trattamenti farmacologici inutili.

Uno dei trattamenti più diffusi contro i blocchi arteriosi è l’intervento coronarico percutaneo. Si tratta di una procedura poco invasiva, dopo la quale i medici prescrivono aspirina e farmaci antiaggreganti. In questo modo si evita la formazione di placche all’interno delle arterie. Alcuni pazienti rispondono in maniera negativa a questo tipo di trattamento farmacologico.

Secondo alcuni studi, la risposta inefficace o negativa è collegata a una mutazione del gene CYP2C19. Chi presenta la mutazione dovrebbe ricevere un trattamento farmacologico diverso. I ricercatori hanno quindi inserito il test genetico per la mutazione genetica nel protocollo clinico di 249 pazienti. L’idea era fornire ai loro medici dati immediati sulla presenza o meno di questa anomalia.

Lo studio ha coinvolto 504 pazienti: 249 hanno effettuato il test; 255 che non l’hanno fatto. I pazienti che hanno fatto il test genetico hanno ricevuto i risultati in un giorno. I loro medici l’hanno ricevuto addirittura 90 minuti dopo. Questi ultimi hanno ricevuto inoltre il consiglio di un genetista e alcune raccomandazioni sul trattamento. Una volta analizzato tutti i dati, i medici hanno fatto le loro prescrizioni.

Nel 71% dei casi, i medici hanno seguito le raccomandazioni ricevute dal genetista. Alcuni di loro hanno infatti analizzato anche fattori diversi, che il test non poteva prendere in considerazione. In molti casi, i risultati hanno svelato la necessità di prescrivere trattamenti diversi da quello standard. Il tutto si è tradotto in un numero minore di attacchi di cuore, ictus e morti legate a fattori cardiovascolari.

Fonte: eurekalert.org

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L’empatia è merito dei geni

La capacità di immedesimarsi in chi abbiamo davanti è una qualità scritta nei nostri geni. È quanto ha dimostrato un team di scienziati provenienti da quattro importanti istituzioni internazionali. I ricercatori che hanno partecipato allo studio provengono infatti dall’Università di Cambridge, dall’Istituto Pasteur, dall’Università Diderot e dal CNRS.

Nel 2002 un team di Cambridge ha realizzato un test per calcolare quanto una persona fosse empatica. Le domande misurano il quoziente di empatia (EQ) della persona valutando empatia cognitiva e affettiva. La prima è la capacità di riconoscere sentimenti e pensieri degli altri; la seconda è la capacità di rispondere con un’emozione appropriata.

Grazie al test si è scoperto che il livello di empatia cambia da persona a persona. Inoltre, le donne sono in media più empatiche degli uomini. I ricercatori hanno quindi deciso di studiare le cause biologiche di queste differenze. Lo studio internazionale ha rivelato che l’empatia è frutto sia di fattori ambientali sia di fattori genetici.

I ricercatori hanno sottoposto il test per il quoziente di empatia a 46.000 persone. Dopodiché hanno prelevato anche un campione di saliva a ciascuna di loro in modo da analizzarne il DNA. Confrontando i due risultati, è emerso che il livello di empatia dipende da fattori genetici almeno per un decimo. Queste minime variazioni genetiche potrebbero essere la radice per disturbi comportamentali.

Nonostante le donne risultino in media più empatiche, non paiono esserci differenze significative a livello genetico. Secondo i ricercatori, il merito potrebbe essere dei livelli ormonali, molto diversi tra i due generi.

Fonte: panorama.it

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Effettuate 350 diagnosi di malattie rare grazie a Vite Coraggiose

La campagna Vite Coraggiose della Fondazione Bambino Gesù si rivolge a coloro che soffrono di malattie genetiche senza diagnosi. Il direttore scientifico Bruno Dallapiccola ha annunciato i primi risultati dell’iniziativa: 350 diagnosi, circa il 50% dei pazienti entrati nel programma.

Buona parte del merito va all’approccio clinico multidisciplinare e all’uso delle tecnologie di sequenziamento genetico. Hanno inoltre contribuito i tanti strumenti a disposizione del Bambino Gesù. L’ospedale ha infatti in cura circa 10.000 pazienti affetti da malattie rare, soprattutto pediatrici. Ospita inoltre la sede italiana di Orphanet, ad oggi il database per le malattie rare per eccellenza. Tutti questi elementi sono riusciti a dare una risposta a chi aspettava una diagnosi da tanto tempo.

I risultati ottenuti in 2 anni con Vite Coraggiose sono soltanto gli ultimi in termini temporali. Negli ultimi anni, i ricercatori del Bambino Gesù hanno individuato 17 nuovi geni legati a malattie. Inoltre, hanno identificato 16 malattie rare e aperto un ambulatorio dedicato a chi è ancora senza diagnosi.

L’ambulatorio dedicato ai pazienti senza diagnosi si rivolge a pazienti in tutta Italia. Le famiglie possono interagire con i medici per un primo parere diagnostico a distanza. L’eventuale spostamento arriverà dopo e solo in caso di necessità. Un aiuto notevole per chi ha parenti affetti da malattie invalidanti e che impediscono loro di muoversi. Se le analisi cliniche non forniscono una risposta, si procede con le analisi genomiche.

Fino ad oggi l’approccio di Vite Coraggiose ha permesso di ottenere una diagnosi in circa il 50% dei casi. Avere una risposta è un grosso passo in avanti sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista pratico. Permette infatti di conoscere meglio la malattia e di sviluppare programmi di ricerca sempre più mirati.

Fonte: osservatoriomalattierare.it

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