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Aurora magazine

L’anemia in gravidanza aumenta il rischio di disturbi nello sviluppo?

Ci potrebbe essere un collegamento tra anemia in gravidanza e disturbi nello sviluppo del feto. L’ha scoperto il team del dottor Renee Gardner, che ha esaminato i dati di oltre mezzo milione di bambini nati in Svezia. Secondo i ricercatori, l’anemia prima della 30a settimana di gestazione potrebbe essere collegata a disabilità intellettiva, deficit di attenzione, addirittura autismo. Non è però stato dimostrato un legame causa-effetto tra le due cose.

Il team ha analizzato i dati di persone nate tra il 1984 e il 2011, risiedenti a Stoccolma tra il 2001 e il 2011. Gli scienziati si sono concentrati sui tassi di disturbi dello sviluppo neurologico. In particolare, hanno confrontato i tassi tra i bambini nati da donne anemiche e quelli nati con livelli normali di ferro. Nelle donne anemiche nelle prime fasi della gravidanza, il tasso di bambini autistici era del 4,9%. In quelle non anemiche, invece, era del 3,5%.

Nel caso dei disturbi del deficit dell’attenzione, la differenza si è rivelata ancora più accentuata. L’anemia a inizio gravidanza è stata collegata a un tasso del 9,3% della malattia. In assenza di anemia, il tasso riscontrato è stato del 7,1%. Risultati simili anche per quanto riguarda la disabilità intellettiva: 3,1% contro l’1,3% medio.

Il ferro ha un ruolo essenziale nello sviluppo del sistema nervoso. Serve per formare nuove connessioni tra i neuroni, nonché per creare il rivestimento che li protegge. Questo potrebbe spiegare perché la carenza di ferro in fasi cruciali dello sviluppo sia legata a disturbi dello sviluppo neurologico.

Non c’è però di che avere paura: l’anemia prima della 30a settimana di gestazione è piuttosto rara. Quella dopo la 30a settimana, molto più comune, pare invece essere slegata da problemi del genere.

Fonte: quotidianosanita.it

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Il segreto della fertilità sta nel midollo osseo?

Il midollo osseo di una donna potrebbe determinare le sue probabilità di concepire e portare avanti una gestazione. Lo afferma uno studio dell’Università di Yale. Quando l’ovocita viene fecondato, alcune cellule staminali del midollo si spostano nell’utero. Qui aiutano a creare l’ambiente adatto all’impianto e allo sviluppo dell’embrione. Di conseguenza, un’analisi del midollo potrebbe svelare eventuali ostacoli al processo.

Studi precedenti avevano già mostrato il coinvolgimento del midollo osseo nell’utero. Le cellule staminali provenienti da qui influenzano infatti l’utero nelle diverse fasi del ciclo. Era però poco chiaro se e in che modo tali cellule influenzino l’organo anche durante la gestazione. Lo studio in questione mirava proprio a rispondere a tale domanda.

I ricercatori hanno analizzato due modelli animali con un difetto del gene Hoxa11, che provoca problemi nell’endometrio. Dopo il trapianto di midollo osseo di cavie sane, le condizioni dell’endometrio sono migliorate. Ciò ha aumentato le probabilità di concepire e di portare a termine la gravidanza. L’approccio si è dimostrato efficace addirittura su una cavia con due copie difettose del gene, del tutto infertile.

Per rendere possibile il trapianto, i ricercatori hanno usato un farmaco chemioterapico particolare che non colpisce le ovaie. Adesso non resta che ampliare lo studio e, in un secondo momento, comprendere come traslare quanto scoperto negli esseri umani.

Fonte: news.yale.edu

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Il paracetamolo in gravidanza legato a problemi comportamentali

Una ricerca pubblicata sulla rivista Paediatric and Perinatal Epidemiology esamina gli effetti del paracetamolo in gravidanza. I ricercatori hanno analizzato il comportamento, la memoria e le capacità cognitive di un gruppo di ragazzi tra i 6 mesi e i 17 anni. Da quanto è emerso, l’esposizione al farmaco sarebbe correlata a problemi comportamentali.

I ricercatori sono partiti da questionari e informazioni scolastiche raccolte da uno studio degli anni ‘90 del Bristol’s Children. I dati riguardavano circa 14.000 bambini, il 43% dei quali esposti al paracetamolo in gravidanza. Le loro madri avevano infatti dichiarato di aver presto “qualche volta” il farmaco, soprattutto per alleviare piccoli dolori comuni durante i nove mesi.

Il paracetamolo viene considerato un farmaco sicuro da prendere in gravidanza. Ciononostante, gli scienziati hanno evidenziato un collegamento tra la sua assunzione in gravidanza e alcuni problemi nello sviluppo. I bambini esposti al paracetamolo sono più soggetti a iperattività e problemi d’attenzione. Anche il tasso di problemi comportamentali è più alto rispetto alla media. Eppure, questo squilibrio pare sparire nei primi anni della scuola elementare.

Lo studio non dà risposte chiare e univoche, ma solleva un problema: il paracetamolo è davvero sicuro? Il professor Jean Golding, a capo dello studio, teme che il farmaco possa avere molti più effetti negativi di quanto sia noto al momento. Al momento non ci sono prove di un legame causale tra assunzione del farmaco e problemi comportamentali. Vale comunque la pena prestare attenzione a ciò che si assume in gravidanza.

Fonte: bristol.ac.uk

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Bere in gravidanza altera il DNA

Ormai tutti conoscono molto bene i danni dell’alcol in gravidanza. Secondo uno studio guidato dalla Rutgers University-New Brunswick, bere anche poco durante la gestazione potrebbe alterare il DNA del feto. Grazie a questa scoperta, potrebbe essere più facile diagnosticare eventuali problemi congeniti e intervenire per tempo.

Uno studio precedente mostrava come, consumato in grosse quantità, l’alcol alteri il DNA negli adulti. Lo studio in questione, invece, si è concentrato sui bambini. Gli scienziati hanno infatti analizzato gli effetti dell’alcol sul DNA di 30 donne incinte e di 359 bambini.

Il consumo di alcol è collegato a cambiamenti localizzati in due geni:

  • POMC, che regola la risposta allo stress dell’organismo;
  • PER2, che influenza l’orologio biologico.

Questi sono presenti sia nelle donne che bevono in gravidanza sia nei loro bambini, esposti alla sostanza durante i nove mesi. Affinché questi effetti si manifestino in modo grave, il consumo dev’essere sopra i 3 drink al mese. Dato però che l’alcol passa dall’organismo della madre a quel bambino, anche quantità minori possono risultare dannose.

I disturbi legati alla sindrome alcolico fetale comprendono disabilità fisiche e intellettive, problemi comportamentali, difficoltà nell’apprendimento. Inoltre, il consumo di alcol aumenta nel feto i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. Questo provoca a propria volta problemi nel sistema immunitario, che possono causare a propria volta gravi problemi di salute.

Fonte: rutgers.edu

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