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Aurora magazine

Bere caffè in gravidanza fa male?

Esiste un gran numero di studi che prova i danni del caffè in gravidanza. Un nuovo lavoro riprende tutti gli studi precedenti sul tema, così da individuare eventuali sfumature passate inosservate. Grazie a questo procedimento, sono emerse alcune risposte leggermente diverse da quelle passate.

I ricercatori hanno usato i dati provenienti da circa 12 studi individuali. Uno studio del 2015 mostrava che assumere anche quantità minime di caffeina aumenta il rischio di aborto spontaneo. Di contro, studi più recenti dal 2016 al 2017 negavano questa eventualità. Questa ultima tesi è stata dimostrata anche da una serie di studi sperimentali condotti tra donne che bevevano caffè in gravidanza.

I dati più recenti parrebbero dimostrare che poca caffeina non aumenta il rischio di aborto spontaneo. Dimostrano anche che assumere tanta caffeina danneggia lo sviluppo fetale. I bambini esposti ad alti livelli di caffeina tendono a pesare meno alla nascita, con tutti i rischi che ne conseguono. Pare quindi evidente che il caffè rimane una bevanda potenzialmente dannosa durante la gestazione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una donna incinta dovrebbe bere massimo due tazzine di caffè al giorno. Sarebbe però meglio attestarsi su livelli ancora più bassi, dato che certi tipi di caffè sono più ricchi di caffeina di altri. Le due tazzine canoniche potrebbero quindi essere troppo, nonostante le buone intenzioni della futura mamma.

Realisticamente parlando, il nuovo studio cambia relativamente poco. La cosa migliore per una futura mamma rimane evitare il caffè il più possibile. Una tazzina ogni tanto dopo pranzo pare però essere abbastanza sicura, il che toglie una preoccupazione a tante appassionate della bevanda.

Fonte: theguardian.com

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Un bicchiere "ogni tanto" fa comunque male al bambino

I danni dell’alcol in gravidanza sono ormai più che conosciuti, eppure spesso li si sottovaluta ancora. Molte donne sono infatti convinte che un bicchiere di vino nelle occasioni speciali – un brindisi, una cena tra amici – sia tutto sommato sicuro. Non è così e lo prova una ricerca pubblicata sul Journal of Physiology.

Il consumo di quantità ridotte di alcolici in gravidanza basta per aumentare il rischio di resistenza all’insulina nel feto. Di conseguenza, è più probabile che il bambino si ammali di diabete, specie se maschio. Gli scienziati hanno testato la cosa su gruppi di cavie gravide, somministrando loro piccole quantità di alcol. Molti dei piccoli esposti a questi livelli minimi hanno iniziato a diventare diabetici intorno ai 6 mesi di età.

Di quanto alcol si parla, esattamente? Le cavie gravide hanno raggiunto una percentuale massima dello 0,05% di alcol nel sangue. Tanto è bastato per alzare i livelli di insulina dei piccoli, anche in condizioni di vita normali e che non contribuissero al fenomeno. Questo accadeva quasi esclusivamente nei piccoli maschi.

Il fenomeno sembra interessare specificatamente il genere maschile, non si sa ancora perché. Può darsi che la placenta dei feti maschi si adatti in modo diverso, influenzando lo sviluppo fetale. Oppure, potrebbe essere colpa degli ormoni: gli estrogeni potrebbero proteggere le femmine dalla resistenza all’insulina. I maschi, che hanno molti meno estrogeni, sarebbero invece più vulnerabili. La cosa merita però qualche ricerca in più.

Fonte: physoc.org

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I frutti di mare in gravidanza rendono i bambini più attenti

Un team del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) ha studiato il legame tra frutti di mare e livello di attenzione. Da quanto è emerso, mangiare tanti frutti di mare nei primi mesi della gestazione potrebbe aumentare il livello d’attenzione dei bambini.

I ricercatori hanno studiato 1.641 coppie di mamme e bambini. Le mamme hanno compilato numerosi questionari durante la gestazione, rispondendo a oltre un centinaio di domande legate all’alimentazione. Tra queste, ce n’erano diverse riguardanti pesce e frutti di mare. Una volta nati i bambini, hanno risposto anche a domande sull’alimentazione dei figli a 1, 5 e 8 anni d’età. Infine, gli scienziati hanno valutato il grado d’attenzione dei bambini a 8 anni.

I dati mostrano una correlazione tra consumo di frutti di mare e capacità d’attenzione. Gli effetti più rilevanti paiono essere connessi al consumo nel primo trimestre di gestazione. Mangiarli più tardi nella gestazione avrebbe invece meno effetti, così come farli mangiare al bambino nei suoi primi cinque anni di vita. Inoltre, sarebbe bene variare e non focalizzarsi solo sul pesce ricco di grasso.

Il merito di questi benefici sarebbe da ricercare nei processi di formazione dei neuroni. I frutti di mare contengono infatti una serie di sostanze fondamentali per lo sviluppo, tra i quali i famosi omega-3. Consumare i frutti di mare in grandi quantità fornirebbe quindi un surplus di queste sostanze, stimolando lo sviluppo del cervello fetale.

Fonte: isglobal.org

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Complicazioni in gravidanza e ipertensione: qual è il legame?

Le donne che partoriscono prima del termine e soffrono di preeclampsia hanno il doppio delle probabilità di soffrire di ipertensione, più avanti nella vita. In alcuni casi, il fenomeno si verifica addirittura meno di tre anni dopo la gestazione. Lo afferma uno studio finanziato dal National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), condotto su più di 4.000 donne. La scoperta potrebbe aiutare a prevenire i rischi di problemi cardiovascolari più avanti nella vita.

Studi precedenti avevano già mostrato come alcune complicanze siano associate a ipertensione e malattie cardiovascolari. Gli studi in questione si erano però concentrati su dati raccolti in retrospettiva, spesso con storie riportate dalle pazienti stesse. Lo studio in questione, invece, si basa sulla storia clinica delle donne 2-7 anni prima della gestazione. In questo modo, i medici hanno verificato se ci fosse un collegamento tra salute cardiovascolare ed esito della gestazione.

I ricercatori hanno coinvolto 4.484 donne. Circa il 31% di coloro che avevano avuto complicazioni in gravidanza ha avuto problemi di ipertensione cronica negli anni successivi. La percentuale scende al 17% nel caso delle donne che non avevano riportato complicazioni. C’è quindi un collegamento tra complicanze, soprattutto se durante la prima gravidanza, e ipertensione andando avanti con l’età.

Secondo l’autore dello studio, questo dovrebbe spingere i medici ad approfondire il background medico delle pazienti. Ciò permetterebbe a tante donne di migliorare il proprio stile di vita, con effetti positivi per la loro salute e per quella del bambino.

Fonte: nhlbi.nih.gov

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