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Aurora magazine

I pesci zebra svelano nuovi particolari su autismo e schizofrenia

Uno studio sugli embrioni dei pesci zebra sta aiutando i neuroscienziati a comprendere meglio malattie come autismo e schizofrenia. I ricercatori dell’Università dell’Ohio hanno usato i pesciolini per analizzare le anomalie nello sviluppo neurologico. In particolare, si sono concentrai sulla perdita del gene PCDH19. Pare che il fenomeno sia una delle cause di queste malattie, anche se le meccaniche sono ancora poco chiare.

Dagli studi sono emerse centinaia di geni collegati a schizofrenia e autismo. Purtroppo, gli scienziati non riescono a capire come le mutazioni influenzino lo sviluppo cerebrale. Per questo motivo, il team in questione ha analizzato alcuni embrioni di pesce zebra. Essendo questi trasparenti, è più facile seguirne lo sviluppo. Inoltre, i pesci zebra condividono una buona fetta di DNA con gli esseri umani.

Gli autori dello studio hanno introdotto una mutazione di PCDH19 nei pesci zebra, dopodiché ne hanno analizzato gli effetti con un microscopio. Grazie alla potenza della strumentazione, gli scienziati sono stati in grado di osservare le attività a livello neuronale. Hanno così scoperto che gli embrioni mutati avevano neuroni molto più raggruppati del normale. È ancora poco chiaro cosa significhi, ma gli embrioni non mutati non mostravano nulla del genere.

La mutazione genetica pare aver causato il collegamento tra cellule che normalmente non interagiscono. Forse le malattie sono causate dall’interazione tra zone che non dovrebbero comunicare. Magari, il fenomeno diventa problematico quando ci sono troppe cellule in un unico network. Per il momento si hanno solo ipotesi che andranno approfondite.

Fonte: medicalxpress.com

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L’inquinamento ambientale altera lo sviluppo fetale?

L’esposizione prenatale all’inquinamento ambientale può causare alterazioni a cervello e organi sessuali. C’è quindi il rischio concreto che la qualità dell’aria odierna intacchi lo sviluppo delle prossime generazioni. È quanto afferma uno studio presentato al congresso annuale della Società Europea di Endocrinologia.

Secondo i ricercatori, l’aria inquinata contiene alcuni agenti chimici che agiscono a livello endocrino. Le sostanze in questione potrebbero interferire con il funzionamento degli ormoni, causando problemi per tutto l’organismo. Tra questi ci sarebbero anche infertilità e sviluppo sessuale. È però ancora poco chiara l’effettiva estensione di questi danni. Dobbiamo avere paura anche per le prossime generazioni?

Gli autori dello studio hanno deciso di fare chiarezza: hanno fatto vivere alcune cavie gravide in un contesto di inquinamento ambientale, dopodiché hanno seguito i piccoli. I piccoli hanno manifestato anomalie nello sviluppo degli organi sessuali, oltre che comportamentali. Tutti questi problemi sono stati trasmessi anche a tre generazioni successive, nonostante non siano state esposte ad inquinamento ambientale.

Le femmine di ratto della prima e seconda generazione hanno mostrato comportamenti anomali verso i propri piccoli. In quelle della seconda e terza generazione, invece, i ricercatori hanno trovato anomalie a livello ovarico. Ciò significa che la loro fertilità era stata compromessa, pur non essendo state esposte direttamente agli agenti chimici. Gli scienziati pensano che sia colpa di un’espressione genica alterata, che ha modificato la regolazione degli ormoni riproduttivi.

La scoperta solleva domande inquietanti: quale eredità stiamo lasciando alle generazioni future? L’azione degli inquinanti presenti nell’aria rischia davvero di intaccare il futuro dell’umanità?

Fonte: eurekalert.org

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Stress cronico e infertilità sono collegati da un ormone

Ci sono moltissimi studi che lo dicono: lo stress fa male alla fertilità. I ricercatori della RMIT University di Melbourne hanno però scoperto un nuovo legame tra stress cronico e problemi riproduttivi. Uno studio pre-clinico analizza infatti il ruolo di un ormone in entrambi i fenomeni, individuando aspetti che non erano mai stati presi in considerazione.

Il team ha analizzato la grelina, un ormone prodotto dalle cellule P/D1 di stomaco e pancreas. Il suo compito è stimolare l’appetito, ma viene rilasciato anche in condizioni di stress. È una delle ragioni per le quali mangiamo quando siamo sotto stress, anche se non abbiamo davvero fame.

I ricercatori hanno bloccato la produzione di grelina in alcune cavie femmine. Pare che questo abbia ridotto gli effetti negativi dello stress cronico sulla funzionalità ovarica. Un’ulteriore prova di come lo stress cronico influenzi la fertilità, ma non solo. L’ormone potrebbe essere la chiave per regolare gli effetti di questi disturbi sulle ovaie, riducendoli quanto meno in parte. Potrebbe essere un modo aumentare le chance di concepire di tante donne, che oggi soffrono di problemi di fertilità solo in parte comprensibili.

Per il momento i dati riguardano solo le cavie, ma i topi reagiscono allo stress in modo molto simile agli esseri umani. Le scoperte sono quindi applicabili anche noi, con i dovuti distinguo. Tant’è che potrebbero aprire la strada a una serie di nuovi studi per la cura dell’infertilità, incentrati su come ridurre gli effetti dello stress sull’organismo.

Fonte: rmit.edu.au

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Una app contro la malattia di Huntington

I ricercatori della Kaunas University of Technology (KTU) hanno sviluppato una app per facilitare la diagnosi precoce della malattia di Huntington. L’applicazione aiuta a identificare i primi sintomi della malattia, tramite una serie di test che valuta le condizioni cognitive e fisiche. In caso di esito positivo dei test, invita ovviamente a contattare un medico per confermare o smentire i risultati.

La malattia di Huntington provoca danni cerebrali progressivi, che causano:

  • movimenti incontrollati;
  • problemi emozionali;
  • perdita delle capacità cognitive.

Di solito la malattia si manifesta in età adulta, intorno ai 30-40 anni. Chi ne soffre ha un’aspettativa di vita di massimo 20 anni, dopo che si manifestano i primi sintomi. Esiste però anche una forma meno comune, che si manifesta in età giovanile.

I primi sintomi della Huntington tendono a passare inosservati. Questi comprendono irritabilità, depressione, piccoli scatti involontari, mancanza di coordinazione, difficoltà ad imparare nuove cose e a prendere decisioni. Possono essere scambiati per effetti dello stress, magari dovuti a un periodo un po’ difficile.

La app serve a fare una prima diagnosi quando non ci sono quasi sintomi. I soggetti a rischio la possono scaricare e usare periodicamente per valutare le capacità cognitive e motorie. In questo modo è più facile avere una diagnosi precoce e intervenire subito, guadagnando talvolta 16 anni di vita. Lo stesso principio è applicabile anche ad altre malattie neurodegenerative, come Alzheimer e demenza.

Strumenti di pre-diagnosi del genere esistono da tempo, ma solo su carta. Questa è la prima volta che gli scienziati mettono tutto su un’applicazione scaricabile da chiunque.

Fonte: expresshealthcare.in

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