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Aurora magazine

Record negativo per la fertilità statunitense

Nel 2018, la fertilità statunitense ha raggiunto il suo picco negativo: il numero di nuovi nati è calato per il quarto anno consecutivo, segno di un problema in crescita. È quanto riporta un’analisi condotta dal National Center for Health Statistics.

Cos’è il tasso di fertilità totale di una nazione? È il numero di bambini che ciascuna donna dovrebbe avere nel corso della vita, quanto meno in media. Nel 2018, è arrivato a 1,73 bambini per ogni donna statunitense. Rispetto a 32 anni fa, c’è stato un calo del 2% ed è sotto quella che dovrebbe essere la soglia minima. Affinché i livelli della popolazione rimangano stabili, ogni donna dovrebbe partorire in media 2,1 bambini.

Per il momento si hanno solo dati provvisori, ma non sono comunque rassicuranti. Un tempo gli Stati Uniti avevano un alto tasso di fertilità, abbastanza atipico per una nazione così ricca. Adesso, il paese si uniformando ad altre nazioni del primo mondo, come l’Italia e il Giappone. Il calo è in essere ormai da dieci anni, il che fa pensare a un forte legame tra crisi economica del 2007 e crisi demografica.

Il calo più rilevante si ha tra i giovanissimi, in particolare tra le ragazze di 15-19 anni. In questi ultimi anni, le teenager hanno dato alla luce 179.607 bambini, il 9% in meno. I numeri sono ancora relativamente alti, se comparati ad altri paesi del primo mondo, ma sono calati in maniera drastica. È probabile che sia in buona parte merito della maggiore diffusione degli anticoncezionali.

In concomitanza con il calo delle gravidanze tra le giovanissime, c’è stato un aumento delle neomamme quarantenni. Le donne che hanno partorito tra i 40 e i 44 anni sono salite del 2%, arrivando a 117.339.

Fonte: wsj.com

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Terapia genica restituisce il respiro a 9 piccoli pazienti

Una nuova terapia genica ha dato risultati eccezionali su 9 bambini affetti da miopatia miotubulare (MTM). La malattia provoca una debolezza muscolare estrema, che si manifesta subito dopo il parto. Tutti i piccoli pazienti hanno recuperato parte delle funzioni muscolari, tanto che 4 di loro possono respirare da soli.

Il trial ha coinvolto 9 bambini dagli 8 mesi ai 6 anni di età, tutti affetti da miopatia miotubulare legata all’X. I medici hanno somministrato loro un’infusione intravenosa, contenente miliardi di virus resi innocui. I virus hanno iniettato una versione corretta del gene MTM1 nelle cellule muscolari dei pazienti, eliminando quella anomala. In questo modo hanno ripristinato la produzione di miotubularina.

La terapia ha provocato gravi effetti collaterali in 3 pazienti, tra cui infiammazione cardiaca. I medici sono riusciti ad affrontare tutti questi problemi, che sono quindi rientrati.

A 48 settimane dalla terapia, le cellule muscolari dei primi 6 pazienti stavano producendo circa l’85% dei normali livelli di miotubularina. Le fibre muscolari erano crescite e 4 di loro erano in grado di sedersi da soli; 3 sono addirittura riusciti a camminare con un piccolo aiuto. Pur continuando a ricevere la nutrizione artificiale, diversi di loro hanno cominciato a mangiare anche cibo normale. Alcuni pazienti sono stati in grado di articolare qualche parola.

I medici hanno somministrato una dose più alta di terapia genica a 3 pazienti. In questi casi, gli scienziati hanno rilevato i medesimi miglioramenti ma con molte settimane di anticipo. Risultati incoraggianti, ma da confermare con studi e trial ulteriori.

Fonte: sciencemag.org

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Anche gli uomini hanno l’orologio biologico

Siamo abituati a parlare dell’orologio biologico femminile, quando affrontiamo l’argomento fertilità. Eppure, l’età paterna potrebbe essere altrettanto importante secondo uno studio capitanato dalla dottoressa Gloria Bachman.

Il team della dottoressa ha esaminato i dati di oltre 40 anni di ricerche sulla fertilità maschile. Da quanto è emerso, gli uomini dovrebbero considerare di avere figli o congelare il proprio sperma entro i 35 anni. Invecchiando possono comunque avere figli, ma c’è un calo della fertilità e aumenta il rischio di trasmettere difetti genetici. Infatti il testosterone diminuisce con l’età e questo influisce sulla quantità e la qualità degli spermatozoi.

L’età media degli aspiranti genitori è in aumento: negli ultimi anni, c’è stato un 10% in più di uomini che hanno avuto figli dopo i 40 anni. Per quanto sottovalutato, questo è un problema che intacca la salute dei nuovi nati in tanti modi. Secondo alcuni studi, potrebbe addirittura aumentare il rischio di tumori, malattie psichiatriche e disordini cognitivi.

Gli autori dello studio raccomandano agli uomini over 35 di trattare la fertilità come le coetanee donne. Se prevedono di avere figli molto avanti nella vita, sarebbe meglio che conservassero lo sperma con qualche anno di anticipo. Altrimenti, si accertino di eseguire dei test prenatali per verificare la salute del feto.

Fonte: thenational.ae

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L’altezza è una questione di (tanti) geni

L’altezza è ereditaria, in buona parte. Studi su gemelli e famiglie hanno dimostrato che i nostri centimetri dipendono per l’80% dai geni. Quali geni, però? Questo è ancora poco chiaro e per una buona ragione, a quanto pare: i fattori genetici responsabili potrebbero essere decine o più.

Le ricerche hanno individuato centinaia di varianti genetiche che potrebbero essere collegate all’altezza. C’è un problema: ciascun gene influenza questo tratto solo in minima parte. Ciò significa che l’altezza di un individuo non dipende da uno o due geni, ma dal lavoro coordinato di centinaia di varianti genetiche. Rimane una questione in sospeso: l’insieme delle varianti non riesce comunque a spiegare i dati rilevati negli studi familiari.

Il fenomeno si chiama “ereditarietà mancante” ed è rilevante soprattutto nella ricerca sulle malattie genetiche. Secondo alcuni genetisti, è possibile che la nostra comprensione sui geni sia in parte fallata. Insomma, ci starebbe sfuggendo qualcosa. Ecco perché uno studio del King's College di Londra ha approfondito la questione.

Secondo lo studio, i pezzi che rientrano nell’ereditarietà mancante sono rilevabili in varianti genetiche rare. Gran parte degli studi si basano infatti sulle 500.000 varianti genetiche comuni, rilevate dal sequenziamento di qualche centinaio di persone. Da una parte questi enormi database semplificano la ricerca; dall’altra, potrebbero averci spinto a trascurare alcune varianti un po’ più nascoste.

Per lo studio in questione, i ricercatori hanno sequenziato l’intero genoma di 21.620 persone. Ciò ha permesso loro di rilevare anche le varianti meno comuni, alcune delle quali legate anch’esse all’altezza. Un risultato in parte rassicurante per la genetica, che però dimostra quanto è complessa la questione.

Fonte: lescienze.it

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