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Aurora magazine

Un nuovo approccio ai test per diagnosticare le malattie metaboliche

Gli scienziati del Children's Medical Center Research Institute hanno sviluppato un nuovo approccio ai test genetici. Hanno combinato sequenziamento genetico e analisi chimiche. In questo modo riescono a identificare il gene mutato in meno tempo. L’obiettivo è sviluppare trattamenti migliori e personalizzati in base alla singola mutazione genetica.

Le malattie genetiche sono la causa del 25% dei casi di ospedalizzazione infantile. La maggior parte di queste malattie genetiche sono di natura metabolica. L’organismo di questi bambini non riesce a metabolizzare zuccheri proteine, grassi e altre sostanze. Ciò causa gravi sbilanciamenti nell’organismo, che provocano disabilità e in alcuni casi la morte. L’unico modo per scongiurare almeno parte del pericolo è diagnosticare la malattia per tempo.

Per alcuni disturbi è disponibile la diagnosi prenatale o neonatale. In questi casi, i medici prescrivono diete specifiche per contenere i danni. Il più delle volte, però, la diagnosi arriva quando si manifestano i primi sintomi. Anzi, capita che passino anni prima che il paziente riceva la diagnosi corretta e possa curarsi come opportuno. Anni durante i quali la malattia continua a svilupparsi e a fare danni.

Gli autori dello studio hanno identificato il gene responsabile di una rara malattia metabolica. Per farlo, hanno usato il sequenziamento genetico e analizzato i metaboliti presenti nel sangue. Hanno quindi comparato i dati con quelli di pazienti sani, in modo da identificare i metaboliti con livelli anomali. In un secondo momento, hanno combinato le alterazioni metaboliche con i geni mutati. In questo modo hanno trovato i geni collegati alle anomalie.

Fonte: medicalxpress.com

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L’autismo è diagnosticabile nel primo anno di vita?

Uno studio della University of California San Diego School of Medicine dà la conferma: le nuove diagnosi di autismo sono affidabili. Se eseguite da professionisti specializzati, possono individuare i primi sintomi quando il bambino ha solo 14 mesi. Ciò permette di intervenire prima e conferma che l’autismo nasce in età prenatale.

Secondo diversi studi, l’autismo si sviluppa nel primo o nel secondo trimestre di gravidanza. I primi sintomi sarebbero inoltre visibili entro il primo anno di vita, anche se spesso trascurati. Eppure, una diagnosi precoce potrebbe migliorare i trattamenti in maniera incisiva. Basterebbe insegnare ai genitori quali sono i campanelli di allarme, affinché si rivolgano a degli esperti senza perdere tempo.

Gli autori di questo studio hanno messo alla prova questo approccio, soprattutto per capire quando si può parlare di diagnosi definitiva. Hanno analizzato 1269 neonati, 441 con disturbi dello spettro e 828 no. I bambini avevano ricevuto la prima diagnosi tra i 12 e i 36 mesi di età, con esiti differenti.

Tra i bambini di 12-13 mesi c’è stato un alto tasso di diagnosi sbagliate, sia un senso sia nell’altro. Alcuni bambini in apparenza autistici si sono rivelati sani e viceversa. Le diagnosi eseguite a partire dal 14o mese di vita, invece, si sono rivelate quasi certe. Ciò significa che un professionista può diagnosticare un caso di autismo nel primo anno di vita o comunque poco dopo.

Fonte: ucsd.edu

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Il cambiamento climatico ci sta rendendo sterili?

Il cambiamento climatico ci sta cambiando in tanti modi, forse anche a livello di fertilità. Lo prova uno studio internazionale che ha analizzato in che modo ci stiamo adattando al pianeta che cambia. Il clima sta modificando la nostra economia, il cibo e anche il numero di figli che facciamo. Il fenomeno ha motivazioni solo sociali o anche biologiche?

Lo studio è stato pubblicato su Environmental Research Letters. Al suo interno, gli autori analizzano diverse questioni legate alla fertilità: mortalità infantile, longevità, gender gap. Hanno usato un modello quantitativo combinato con dati economici e demografici. Per rendere lo studio più affidabile, hanno preso ad esempio due paesi esistenti e le loro economie: Colombia e Svizzera. In particolare, si sono concentrati su come il cambiamento climatico ne ha cambiato la demografia.

Il modello preparato dal team segue alcuni individui dall’infanzia all’età adulta, il tutto in un ecosistema allo sbando. Nel modello, vediamo come i cambiamenti climatici influenzano l’agricoltura, con risultati disastrosi soprattutto nei paesi più poveri. I genitori devono quindi decidere come gestire le risorse in calo, in modo da sopravvivere e garantire una vita decente ai figli. In base alle decisioni prese, cambia il futuro della prole.

I risultati dell’analisi sono stati sconfortanti sotto tutti i punti di vista. Secondo gli scienziati, il progressivo calo delle risorse potrebbe causare un calo sia nell’educazione dei figli si nel loro numero. Ciò significa che si riusciranno a fare sempre meno figli e che, probabilmente, ci saranno sempre più differenze tra paesi ricchi e poveri.

Fonte: phys.org

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Un test genetico per evitare un secondo infarto

I sopravvissuti a un arresto cardiaco improvviso dovrebbero fare un test genetico, in modo da ridurre il rischio di altri episodi. Lo prova uno studio svizzero pubblicato sull’American Journal of Cardiology.

Gli attacchi cardiaci improvvisi sono causati da un ritmo cardiaco irregolare, che distrugge le funzioni dell’organo. La perdita improvvisa delle funzioni porta alla perdita di coscienza e, in gran parte dei casi, alla morte. Se si interviene subito, però, è possibile che la persona sopravviva. In questi casi, è importante evitare che il fenomeno si ripeta.

I ricercatori hanno esaminato 60 pazienti sopravvissuti ad attacchi cardiaci improvvisi, età media sui 34 anni. Nessuno di loro soffriva di patologie coronariche al momento dell’attacco cardiaco. Eppure, i test genetici hanno rivelato anomalie legate a malattie cardiache nei due terzi di loro. Ciò potrebbe esporli a nuovi problemi e a un secondo attacco cardiaco.

Il team ha analizzato varianti rilevanti in 185 geni. Sono emerse 32 varianti patogeniche in 27 pazienti, non tutti con fenotipi cardiaci chiari. Infatti, solo 17 avevano un fenotipo cardiaco identificabile. Tra questi, 12 avevano mutazioni legate a cardiomiopatie e 4 a canalopatie. In parole povere, 16 pazienti avevano mutazioni genetiche legate a malattie cardiovascolari. E gli altri?

Tra quelli analizzati, 10 pazienti non avevano un fenotipo cardiaco chiaro. Ciononostante, 6 di loro erano portatori di una mutazione nei geni del canale ionico cardiaco. Questo potrebbe spiegare il loro attacco cardiaco, ma gli altri 4 casi sono ancora poco chiari.

Fonte: medtechdive.com

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