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Aurora magazine

Alzheimer: meno cromosoma Y c’è nel sangue, maggiore è il rischio

Circa il 17% degli uomini sviluppa con l’età un’anomalia del sangue, che prevede la perdita del cromosoma Y. La perdita riguarda i globuli bianchi ed è collegata ad un aumento del rischio di Alzheimer. Ciò è quanto dice una ricerca dell'Università di Uppsala, in Svezia, e dell'Università di Lille, in Francia.

Alcune mutazioni genetiche si sviluppano con l’invecchiamento e non sono ereditarie. Tra queste c’è la perdita del cromosoma Y nei globuli bianchi, già da tempo conosciuto come uno dei fattori di rischio per il cancro. La mutazione riguarda il 17% degli uomini e interessa circa il 15% dei loro globuli bianchi. Nel caso dei fumatori la percentuale di uomini colpiti aumenta del 400%, anche se in questo caso sarebbe transitoria.

Quando la perdita del cromosoma Y riguarda più del 35% dei globuli bianchi, si riscontra un picco del rischio di Alzheimer. Ciò ha suggerito un collegamento diretto tra i due fenomeni: la carenza di cromosoma Y potrebbe essere un biomarcatore della malattia. Non sono però del tutto chiari i meccanismi dietro questo legame. Può darsi che l’assenza del cromosoma influenzi in maniera negativa il sistema immunitario, con quindi conseguenze sulle difese contro la malattia. Ciò spiegherebbe anche il suo legame con il cancro.

La scoperta ha una grande importanza dal punto di vista della prevenzione. L’uso diffuso di uno screening che individui l’anomalia, infatti, permetterebbe di mettere in atto strategie preventive e magari aumentare le aspettative di vita.

Fonte: lescienze.it

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Trovati nuovi frammenti di DNA retrovirale nel genoma umano

Un gruppo di ricercatori della University of Michigan Medical School, guidati dalla Dott.ssa Wildshuttle, ha individuato 19 nuovi frammenti di DNA retrovirale nel genoma umano.

Il team ha esaminato il DNA di circa 2500 individui provenienti da tutto il mondo. Nel 50% di essi hanno individuato frammenti di DNA retrovirale antico. Hanno inoltre usato tecniche di analisi molecolare per determinare quali tratti del genoma umano avrebbero origine dal DNA di altre specie.

I frammenti di DNA esogeno individuati deriverebbero da retrovirus endogeni. I retrovirus sfruttano le cellule dell’ospite per espandersi all’interno dell’organismo, inserendo il proprio DNA virale al posto del nucleo originale. In questo modo il virus usa l’apparato replicativo delle cellule per moltiplicarsi. Dopo un certo periodo l’ospite muore o guarisce dal virus. Si stima però che circa l’8% del DNA umano sia di origine virale, il che fa pensare che ci possano essere stati esiti differenti. È possibile che nel corso dei millenni alcuni retrovirus abbiano acquisito dei tratti positivi per l’essere umano, così da insediarsi in maniera definitiva nel suo genoma. Secondo alcune teorie, i retrovirus avrebbero svolto un ruolo determinante nell’evoluzione umana. Potrebbero addirittura aver rinforzato la protezione del feto contro la penetrazione di tossine per lui dannose.

Lo studio della University of Michigan Medical School ha rilevato all’interno del cromosoma X un intero genoma virale, quello del provirus Xq21. Si tratta del secondo genoma virale individuato intero all’interno del DNA umano. Non si sa ancora se Xq21 sia in grado di riprodursi nel genoma, ma secondo altri studi la possibilità esiste.

Fonte: pikaia.eu

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Individuate sequenze genetiche che proteggono dal declino cognitivo

La rivista Cell ha pubblicato i primi risultati di uno studio partito nel 2007. La ricerca ha fino ad oggi analizzato il genoma di 600 anziani tra gli 80 e i 105 anni, tutti in perfetta salute. I ricercatori hanno individuato nel loro DNA sequenze genetiche assenti nella popolazione generale.

Lo studio ha comparato il genoma di anziani dotati di ottima salute, privi delle normali malattie della vecchiaia, con quello di adulti normali. Sono emerse delle varianti genetiche comuni tra gli anziani in salute, ma assenti o molto rare nell’altro gruppo. Secondo i ricercatori, le sequenze genetiche individuate negli arzilli vecchietti li proteggerebbero da declino cognitivo e da altre malattie croniche.

I portatori del genoma mutato sembrano essere meno a rischio di Alzheimer e demenza senile. Ciononostante presentano gli stessi fattori di rischio per malattie cardiovascolari, diabete e tumori rispetto al gruppo di controllo. Ulteriori controlli riveleranno come questo sia possibile e come agiscano le sequenze genetiche, dotate probabilmente di alto valore protettivo. Inoltre lo studio prevede il coinvolgimento in totale di 1400 anziani, il che significa che verranno effettuate molte altre analisi.

Fonte: corriere.it

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Modifica alla tecnica CRISPR per modificare singole basi del DNA

Un gruppo di ricercatori della Harvard University ha annunciato un’evoluzione della tecnica CRISPR, la tecnica di editing genetico. La nuova tecnica permette di intervenire sulle singole basi del DNA, senza influenzare quelle adiacenti. Si potrebbe così correggere un singolo gene.

La tradizionale CRISPR-Cas9 sfrutta alcuni batteri a cui è associata la proteina Cas9. La proteina è in grado di tagliare il DNA con precisione e di modificare geni specifici. I meccanismi che saldano i lembi di DNA tagliato introducono però delle basi azotate, gli elementi che compongono il DNA. Quando il fine è disattivare un intero gene, l’aggiunta di due o tre basi è indifferente per l’esito dell’operazione. D’altra parte, le malattie genetiche sono in gran parte frutto della mutazione di una sola base. In questi casi il tasso di successo della CRISPR-Cas9 è solo del 5%.

Il codice genetico è composto da cinque basi azotate, l’adenina, la guanina, la citosina e la timina. La nuova CRISPR rende possibile intervenire solo su una di esse, senza aggiungerne altre. I ricercatori della Harvard University hanno modificato Cas9 affinché si disattivi quando il sistema arriva dove deve operare. A questo punto si attiva un altro enzima, che tiene unito il DNA e sostituisce la singola base con quella corretta.

Il team ha provato la nuova tecnica su modelli animali, per correggere la mutazione legata all’Alzheimer. Il tasso di successo è stato del 75%. Nel caso di una mutazione tumorale, invece, il successo è stato di poco più del 7%. In entrambi i casi, i risultati sono comunque migliori di quelli ottenuti con la CRISPR tradizionale. Bisogna comunque ricordare che ci vorranno ancora molti anni prima che si possa passare alla sperimentazione umana.

Fonte: lescienze.it

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