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Aurora magazine

Gli screening prenatali andrebbero usati di più: parola di ricercatori

I ricercatori del Women & Infants Hospital di Rhode Island hanno studiato la possibile incidenza dei test di screening prenatale. Lo studio mostra come i test non invasivi potrebbero diventare alla portata di tutte le donne, al di là della presenza o meno di fattori di rischio evidenti. Ciò consentirebbe di individuare eventuali anomalie per tempo, consentendo ai genitori di prepararsi e di procedere con i trattamenti disponibili.

I test del DNA fetale consentono di individuare eventuali anomalie cromosomiche. Le ultime scoperte scientifiche hanno reso possibile farlo a partire da una sola goccia di sangue, rendendo la procedura molto meno invasiva. Ciò rende i test consigliabili non solo per le donne a rischio, ma anche per quante non trarrebbero vantaggi dall’effettuare un’amniocentesi o altre analisi invasive. Molti medici, tra i quali gli autori dello studio in questione, auspicano quindi l’espandersi della procedura.

Lo studio analizza l’impatto dei test del DNA fetale nel contesto delle analisi prenatali di routine. I ricercatori hanno interrogato un campione di donne che avevano effettuato analisi del DNA fetale, di età e ceto sociale diversi. Hanno chiesto alle donne di parlare della loro esperienza, di come erano venute a conoscenza del test e di quanto era stato utile nel contesto della gravidanza. Le risposte hanno confermato che i test genetici di screening prenatale incontrano la soddisfazione di molte donne.

Fonte: sciencedaily.com

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L’analisi dell’esoma apre una nuova era per la diagnosi prenatale

Il team del professor Ronald Wapner ha identificato le mutazioni puntiformi responsabili del 7,7% delle anomalie congenite più gravi, oltre che altre mutazioni responsabili del 17,9% di altre anomalie. Per farlo ha usato un nuovo tipo di sequenziamento dell’intero genoma fetale, che si si basa sull’analisi dell’esoma. Il metodo ha fornito informazioni impossibili da ottenere con la sola analisi dei cariotipi o con i microarray del DNA. Ciò consentirà di affinare le tecniche di screening prenatale non invasivo.

L’esoma compone circa l’1,5% del genoma umano e codifica le proteine. Determina come si esprimono i geni e può rivelare tratti collegati al genere o a cromosomi recessivi, non identificabili con i microarray del DNA. Secondo i ricercatori, si potrebbero nascondere qui le cause di molte anomalie fetali non ancora identificate. Al momento, infatti, l’analisi dei cariotipi consente di individuare circa il 30% delle anomalie, mentre i microarray del DNA riescono a identificarne un altro 7% circa. Sono tecniche che consentono di identificare molte patologie e complicazioni un tempo impossibili da individuare, ma si può fare di meglio. Lo scopo dello studio era appunto determinare il valore incrementale del sequenziamento dell’intero esoma in casi sequenziali, non selezionati di anomalie strutturali fetali.

Il team di ricercatori ha esaminato dei pazienti con sintomi di una anomalia strutturale fetale. Per le donne che stavano già effettuando test di diagnosi prenatale, gli scienziati hanno usato un sequenziamento dell’intero esoma, analisi dei cariotipi o con microarray del DNA. Per gli altri, si sono avvalsi del sangue del cordone ombelicale. Là dove possibile, hanno sequenziato anche il DNA di madre e padre, per individuare l’origine di eventuali mutazioni. Il tutto ha permesso di individuare una serie di varianti patogeniche di cui prima si sospettava l’importanza, ma per le quali non esistevano prove.

Il sequenziamento dell’intero esoma può aiutare a identificare fenotipi di mutazioni de novo, ovvero comparse per la prima volta in uno dei genitori e poi trasmesse ai figli. Questo genere di anomalie spesso si manifesta solo molto tardi nell’infanzia, se non addirittura in età adulta. I nuovi test di diagnosi prenatale aiuteranno invece non solo a individuarli, ma anche a comprenderne la natura e a svelarne eventuali effetti imprevisti. Nel corso della gravidanza, è importante monitorare lo sviluppo del feto. Esami di screening prenatale come ad esempio il test del DNA fetale sono utili per il rilievo di anomalie cromosomiche.

Fonte: medscape.com

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Nuovo software analitico per lo screening prenatale non invasivo

Illumina, azienda specializzata nella produzione di test per lo screening prenatale non invasivo, ha annunciato l’arrivo di una versione espansa di VeriSeq. Si parla di un software pensato per ottimizzare l’analisi dei dati ottenuti dai test, così da velocizzare e migliorare i risultati. L’azienda ha comunicato la conformità del software ai requisiti della direttiva che disciplina i dispositivi medici-diagnostici in vitro. Ha inoltre applicato il marchio CE alla versione destinata ai laboratori clinici dell’Unione Europea.

Il software parte dall’analisi dei dati ottenuti dal sequenziamento dei campioni di DNA. Il sequenziamento analizza i frammenti di DNA del feto presenti nel sangue materno, così da individuare eventuali anomalie. Si occupa in particolare dell’individuazione e della differenziazione di eventuali casi di aneuploidia fetale per i cromosomi 21, 18 e 13. In più, VeriSeq genera punteggi quantitativi da aggiungere ai dati in questione. Ciò consente di avere un’analisi più accurata delle condizioni del feto.

La nuova versione di VeriSeq consente di elaborare lotti da oltre 48 campioni, tre volte la capacità attuale di 16 campioni. Ciò permetterà all’azienda di far fronte alla richiesta crescente di test per lo screening prenatale non invasivo. Il software consentirà infatti di fornire soluzioni di qualità più alte e ad un costo minore. La maggiore efficienza nell’analisi dei dati sequenziati, infatti, aumenterà la velocità dei controlli e di conseguenza abbatterà anche i costi.

Fonte: businesswire.com

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Screening prenatale: meglio farne un secondo?

Quando si parla di test prenatali “melius est abundare quam deficere”. A detta di uno studio del Quest Diagnostics Nichols Institute, un secondo test di screening prenatale non invasivo aiuterebbe infatti a individuare falsi positivi e difetti congeniti passati inosservati.

Gli scienziati hanno analizzato dei cromosomi materni duplicati, individuati mediante il sequenziamento del genoma. Hanno così identificato delle microduplicazioni materne, ovvero delle duplicazioni del cromosoma materno che è facile scambiare per una trisomia. La trisomia altro non è che la presenza di un cromosoma in più, che provoca la sindrome di Down e altre malattie. Quando si effettuano i test prenatali, queste microduplicazioni portano talvolta a dei falsi positivi. Eseguire un secondo screening prenatale non invasivo diminuisce invece la possibilità che questo accada.

Il team ha citato uno studio del 2015, incentrato su due casi di falso positivo per la trisomia 18. A partire da questo, ha preso in esame i dati di 31.278 donne sottoposte a screening prenatale. I medici hanno effettuato una seconda analisi sulle pazienti, soffermandosi anche sulle microduplicazioni. Hanno quindi confermato i nuovi risultati mediante un processo di microarray di DNA. Hanno così migliorato di circa 30 punti percentuale l’accuratezza dei risultati per tre malattie: la sindrome di Patau, la sindrome di Edward e la sindrome di Down. Su 313 casi iniziali di sospetta sindrome di Down, hanno individuato 9 falsi positivi. Su 106 diagnosi di sindrome di Edward, i falsi positivi erano 3, mentre erano 2 per i 93 positivi per la sindrome di Patau.

Il secondo test di screening prenatale non invasivo può aiutare anche a individuare anomalie altrimenti non identificabili. Uno strumento essenziale per le tante mamme in attesa che vogliono accertarsi della salute del loro bambino.

Fonte: medpagetoday.com

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