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Aurora magazine

La IVF ha un impatto minimo sul rischio di tumore

Le donne che si rivolgono alla fecondazione in vitro non corrono rischi in più di cancro all’utero. Anche l’impatto sul rischio di tumore al seno è nullo. Lo afferma uno studio basato sull’analisi di oltre 250.000 donne britanniche, condotto dalla dottoressa Carrie L. Williams. Secondo quanto emerso, la IVF ha un effettivo impatto solo su donne con altri fattori di rischio.

La fecondazione in vitro comporta l’esposizione ripetuta ad alti livelli di ormoni. Negli anni i medici si sono chiesti se ciò non aumenti il rischio di tumore. Studi passati avevano già confermato che l’impatto è inconsistente, ma erano tutti molto piccoli. Per questo motivo, la dottoressa Williams ha voluto valutare il rischio su una popolazione più grande.

Il team di ricerca ha studiato i dati di oltre 255.768 donne sottoposte a fecondazione in vitro tra il 1991 e il 2010. L’età media del primo trattamento era 34,5 anni per 1,8 cicli a testa. Solo il 20% delle partecipanti è ricorso a più di 2 cicli di stimolazione. Gli scienziati hanno confrontato il tasso di tumori all’interno del gruppo con quello medio. Non hanno rilevato alcuna differenza significativa.

Il follow-up medio è stato di 8,8 anni e quello massimo di 19 anni. In questo lasso di tempo, ci sono stati 164 casi di tumore contro i 146,9 della popolazione generale. C’è stato un aumento minimo dei casi di tumore al seno (191 vs 253,5 medi), ma si è verificato soprattutto tra chi aveva subito 5 o più cicli di IVF. Un caso molto raro, quindi.

Lo studio sembra escludere una correlazione significativa tra tumore e IVF. Ciononostante, i ricercatori non escludono eventuali conseguenze negative più avanti negli anni. Inoltre, è possibile che le cause dell’infertilità siano in qualche modo collegate a un maggiore rischio di tumore.

Fonte: medscape.com

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Le ovaie artificiali potrebbero diventare realtà

Un team guidato dalla dottoressa Susanne Pors ha ottenuto le prime ovaie artificiali in laboratorio. Se i prototipi si rivelassero sicuri ed efficaci, potrebbero risolvere i problemi di infertilità femminile legati a questi organi. In particolare, potrebbero restituire la fertilità a quante si sono sottoposte a chemioterapia in giovane età.

Prima di una chemioterapia, diverse donne fanno congelare i tessuti ovarici. Una volta che decidono di avere dei figli, si fanno impiantare nuovamente i tessuti. Il metodo è poco usato, poiché c’è sempre la possibilità che i tessuti contengano cellule tumorali che potrebbero riprodursi. Il team della dottoressa Pors ha sviluppato un metodo per far sviluppare i tessuti conservati al di fuori dell’organismo.

I ricercatori hanno usato i tessuti di alcune donne per preparare uno stampo che contenesse l’ovaio nelle prime fasi dello sviluppo. Lo scopo era stimolare la maturazione di follicoli congelati nelle prime fasi. In questo modo sarebbe stato possibile ottenere ovociti utilizzabili per la fecondazione in vitro, senza esporre le pazienti al rischio di una recidiva.

In una prima fase dello studio, i ricercatori hanno esposto i tessuti ovarici a trattamenti chimici di tre giorni. In questo modo hanno eliminato qualsiasi cellula tumorale residua, ottenendo follicoli sani nelle prime fasi dello sviluppo. Per farli maturare, li hanno innestati in un ambiente a loro favorevole, ottenuto grazie agli stampi di cui sopra. Hanno quindi trapiantato gli stampi in 20 cavie. Un quarto dei follicoli sono sopravvissuti per 3 settimane nei topi.

Il prossimo passo sarà trovare un modo per effettuare quest’ultima operazione sull’essere umano. Prima si dovrà però provare la sicurezza della procedura.

Fonte: news-medical.net

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Gli effetti della IVF sul feto dipendono da variazioni genetiche nei genitori

Nella fecondazione in vitro (IVF), l’impianto di embrioni freschi risulta spesso in bambini più piccoli della media. Al contrario, l’impianto di embrioni congelati si conclude con bambini un poco più pesanti della media. Uno studio suggerisce una possibile causa. La fecondazione in vitro (IVF) agisce su regioni dei geni che regolano la crescita embrionale. Gli effetti dipenderebbero da variazioni genetiche ereditate dai genitori.

I ricercatori dell’Università di Helsinki hanno esaminato in che modo la IVF altera la crescita embrionale. Hanno reclutato 86 coppie sottoposte a fecondazione in vitro e 157 coppie con gravidanze naturali. Hanno diviso il primo gruppo in due sottogruppi: coloro che avevano usato embrioni freschi e coloro che avevano usato embrioni congelati.

Nella analisi genetiche, gli scienziati si sono concentrati sulle regioni regolatrici di due geni della crescita: IGF-2 e H19. Variazioni in questi geni nei genitori sono state associate con diversi marker epigenetici nei figli. I ricercatori hanno quindi osservato i marker epigenetici nella placente, dividendole in gruppi in base al genotipo ereditato dai genitori.

In un secondo momento, i ricercatori hanno incrociato dati come peso della placenta, peso del bambino alla nascita, tipo di procedura IVF usata e genotipo ereditato. Hanno così notato che i neonati con un determinato genotipo e derivati dal trasferimento di embrioni congelati erano molto più pesanti della media.

Le osservazioni si pongono sulla scia degli studi sull’esposizione prenatale all’alcol, ad esempio. Metti infatti in evidenza come lo sviluppo embrionale sia influenzato sia dalla genetica sia da fattori ambientali.

Fonte: helsinki.fi/en

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Bastano 2 mesi di stress per ridurre la fertilità

Per ridurre la qualità dello sperma bastano due mesi di stress. È quanto suggerisce uno studio israeliano condotto su 11.000 campioni di sperma. Secondo i ricercatori, lo stress aumenta il rischio di spermatozoi lenti del 47%. Ciò intacca la fertilità maschile e in alcuni casi impedisce addirittura di avere figli.

I ricercatori hanno analizzato 10.535 campioni raccolti tra il 2009 e il 2017, in periodi relativamente poco stressanti per il paese. Li hanno comparati con 659 campioni prelevati nei due mesi successivi a scontri militari tra Israele e Hamas nel 2014. L’età media degli uomini era 32 anni, l’età media del primo figlio nel Regno Unito.

I risultati hanno dimostrato quanto lo stress sia rilevante per la fertilità maschile. Il 37% dei campioni raccolti durante i conflitti mostravano una motilità ridotta. Ciò significa che sul lungo periodo lo stress può intaccare la fertilità maschile in modo semi permanente.

Lo studio si è concentrato su uomini che vivevano in zone di conflitto militare. Ciononostante, secondo i ricercatori lo studio si applica a tutti i tipi di stress. I risultati sarebbero quindi validi anche per coloro che hanno perso il lavoro, subito un lutto o vissuto un evento traumatico. Qualunque cosa provochi stress mentale, sarebbe dannoso per la fertilità.

È chiaro che la salute mentale ha un impatto forte sulla fertilità, allo stesso modo di altri fattori legati allo stile di vita. Purtroppo la ricerca a riguardo è poca, quindi non si sa per certo in che modo lo stress mentale agisca sugli spermatozoi.

Fonte: news-medical.net

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