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Aurora magazine

IVF: è possibile usare gli embrioni affetti da mosaicismo?

Nella fecondazione in vitro (IVF) serve che gli embrioni impiantati siano il più possibile sani. In questo modo ci sono più possibilità che l’impianto vada a buon fine e che il bambino sia sano. Anche così, le possibilità di successo dell’intero processo si aggirano intorno al 30%.

Con l’avanzare dell’età materna, il numero di embrioni sani utilizzabili cala. Ciò porta a un tasso minore di impianti e a un tasso maggiore di aborti spontanei. Tutto questo provoca una minore possibilità di successo per le procedure di IVF. Siamo però sicuri che gli embrioni debbano essere impeccabili affinché l’impianto abbia successo. Lo studio in questione ha esaminato il rapporto tra mosaicismo e fecondazione in vitro.

Lo studio ha coinvolto 77 donne che hanno accettato l’impianto di embrioni con mosaicismo. Infatti, la fase di fecondazione non aveva dato origine a nessun embrione euploide, privo di anomalie cromosomiche al 100%. I ricercatori hanno diviso gli embrioni in base al grado di mosaicismo: basso (<50% di cellule anormali) o alto (>50% di cellule anormali).

Su 78 embrioni impiantati, 37 hanno attecchito. Alla fine di tutto, i bambini nati sono stati 24, con un tasso del 30%. I risultati positivi hanno riguardato gli embrioni con un basso livello di mosaicismo. Si parla infatti del 48,9% di impianti contro il 24,2% del secondo gruppo. Anche il tasso di nati vivi è stato molto diverso: 42,2% del primo gruppo contro 15,2% del secondo.

Lo studio ha mostrato che la fecondazione in vitro può avere successo anche in caso di embrioni con mosaicismo. Per sicurezza, tutte le partecipanti allo studio si sono sottoposte a test di screening prenatale. Nei 24 casi andati a buon fine, i bambini nati sono risultati tutti sani e privi di anomalie cromosomiche.

Essendo di base poche, è possibile che le cellule anomale siano state eliminate nel corso dello sviluppo. Il meccanismo andrà approfondito e i ricercatori consigliano comunque di evitare l’impianto degli embrioni con mosaicismo, là dove possibile.

Fonte: medscape.com

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Il paracetamolo potrebbe rendere i nostri nipoti sterili

Assumere paracetamolo in gravidanza potrebbe intaccare la fertilità dei nostri discendenti. È quanto rivela uno studio guidato dal dottor Rod Mitchell, dell’Università di Edimburgo. Lo studio si pone sulla scia di ricerche simili, che avevano già evidenziato le possibili criticità del farmaco.

Il paracetamolo è stato fino ad oggi considerato un farmaco relativamente sicuro in gravidanza. Studi precedenti avevano evidenziato possibili conseguenze negative per la fertilità femminile. Questo studio allarga l’allarme anche alla fertilità maschile.

Gli scienziati hanno analizzato gli effetti di paracetamolo e ibuprofene su campioni di feti umani ed ovaie. In un secondo momento, hanno esteso lo studio anche alle cavie in gravidanza. Entrambe le tipologie di test hanno svelato effetti negativi sulla fertilità della prole, sia per le femmine che per i maschi.

Nei tessuti esposti a uno dei due farmaci per una settimana, il numero di ovociti e spermatozoi è diminuito del 40%. Per quanto riguarda le cavie, è bastato un giorno di trattamento per avere i primi effetti negativi. La prole maschile ha avuto una riduzione del 17% degli spermatozoi. I topi esposti ai farmaci per una settimana in fase prenatale, invece, hanno avuto una riduzione di quasi un terzo.

Ibuprofene e paracetamolo potrebbero influenzare le molecole di prostaglandina, fondamentali per ovaie e testicoli. Ciò spiegherebbe il perché degli effetti negativi su chi viene esposto in grembo ai farmaci. Gli effetti potrebbero però essere molto più duraturi.

I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione prenatale al paracetamolo e all'ibuprofene potrebbe provocare cambiamenti epigenetici. I cambiamenti così introdotti sarebbero ereditabili e potrebbero influenzare anche la fertilità delle future generazioni. Per questo motivo, consigliano di assumere i due farmaci solo dietro consiglio medico e se strettamente necessario.

Fonte: telegraph.co.uk

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Correre in gravidanza è sicuro e sano

Le future mamme possono state tranquille: correre in gravidanza è sicuro e sano. Lo afferma uno studio guidato dal professor Andrew Shennan del King's College di Londra.

Le donne che corrono durante la gestazione non rischiano di partorire prima né i loro bambini rischiano di nascere sottopeso. Anzi, lo studio ha evidenziato come la corsa non abbia alcun effetto negativo su donne e feti in salute. È quindi confermato: è possibile continuare a correre durante tutti e tre i trimestri, salvo gravidanze a rischio.

Uno studio precedente aveva trovato un collegamento tra corsa ad alta intensità e problemi alla cervice. Secondo questo lavoro, correre troppo sarebbe quindi pericoloso per il bambino. Il professor Shennan ha smentito la cosa: lo studio incriminato si concentrava infatti sulle atlete professioniste. Lui, invece, ha esaminato gli effetti della corsa come praticata dalla popolazione media.

Nel commentare il suo studio, il professore ha incoraggiato le future mamme a continuare a fare esercizio. Non solo non sarebbe pericoloso, ma sarebbe anche salutare sia per loro sia per i feti. L’importante è consultarsi con il proprio ginecologo e adattare gli esercizi alle nuove condizioni del corpo.

Lo studio del professor Shennan conferma l’importanza dell’esercizio fisico in gravidanza. Le donne che fanno 30 minuti di moderato esercizio fisico ogni giorno guadagnano meno peso e incorrono in meno complicazioni. Coloro che non fanno esercizio fisico, invece, tendono a guadagnare in media 2,3 kg in più.

Fonte: deccanchronicle.com

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Il diabete gestazionale aumenta il rischio di depressione?

Lo psichiatra Michael Silverman ha guidato uno studio su diabete gestazionale e depressione. Si è trattato del più ampio studio mai condotto a riguardo, con oltre 700.000 gravidanze analizzate. Secondo i dati, da solo il diabete gestazionale aumenterebbe il rischio di depressione post-parto del 70%. Nelle donne che hanno già sofferto di depressione, le possibilità sono 20 volte più alte del normale.

Dal 1997 al 2008, Silverman ha analizzato oltre 700.000 prime gravidanze. Tra queste sono emersi circa 4.400 casi di depressione post-parto, quindi entro un anno dal parto. Le neo-mamme che avevano già sofferto della malattia si sono dimostrate più a rischio. Lo stesso per le donne sopra i 35 anni, che hanno avuto il 25% in più di casi di depressione. Uno dei fattori di rischio maggiori si è però dimostrato il diabete gestazionale.

Tra le donne affette da diabete gestazionale, Silverman ha individuato il 70% dei casi in più di depressione post-parto. Indipendentemente dalla presenza o meno di altri fattori di rischio, quindi, il diabete gestazionale incide in maniera pesante sulla salute psicofisica della neo-mamma. Il legame tra le due malattie ha però cause ancora ignote.

Secondo il ricercatore, la causa comune potrebbe stare nell’infiammazione. Alcuni studi hanno infatti provato il legame tra citochine infiammatorie e depressione. Queste stesse citochine sono legate anche al diabete. Il diabete gestazionale, quindi, non sarebbe la causa della depressione. Piuttosto, le due malattie sarebbero legate allo stesso fenomeno.

Fonte: corriere.it

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