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1 donna su 3 mangia troppo in gravidanza

Le abbuffate in gravidanza possono avere serie conseguenze per la salute di madre e bambino. Eppure, uno studio pubblicato su “The American Journal of Clinical Nutrition” ha mostrato quanto siano sorprendentemente comuni. Circa il 36% delle donne ha ammesso di aver mangiato troppo almeno una volta in gravidanza. Quasi il 5% ha invece ammesso di averlo fatto di frequente.

Diversi studi precedenti avevano studiato l’incidenza di anoressia e bulimia durante la gestazione. Pochi di questi avevano preso in considerazione le abbuffate o la perdita di controllo nel mangiare. L’espressione indica gli episodi in cui si continua a mangiare nonostante si sia intenzionati a smettere.

Gli studiosi hanno analizzato i dati di oltre 11.000 donne inglesi. I dati hanno mostrato che il 36% delle donne ha perso il controllo nel mangiare almeno una volta durante la gestazione. Il fenomeno è risultato frequente solo nel 5% delle donne, però. Queste ultime hanno acquisito circa 3,5 kg in più rispetto alla media. Inoltre, i loro figli hanno mostrato il doppio delle possibilità di diventare obesi prima dei 15 anni.

Lo studio ha collegato le abbuffate in gravidanza a livelli minori di B1 e acido folico. Molte delle donne interessate dal fenomeno hanno infatti segnalato un consumo maggiore di dolci e grassi. Ciò significa che hanno acquisito più calorie rispetto al necessario, ma meno vitamine A, C e B6.

Lo studio non dice esattamente in che modo le abbuffate in gravidanza sono collegate all’obesità infantile. Il collegamento pare comunque esserci. Identificare le donne che tengono comportamenti del genere, quindi, potrebbe aiutare loro e i loro figli a stare meglio.

Fonte: theconversation.com

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Il Tdap in gravidanza riduce il tasso di pertosse infantile

Uno studio guidato dalla professoressa Sylvia Becker-Dreps mostra come il vaccino Tdap in gravidanza riduca il rischio di pertosse nei neonati. Secondo la professoressa, il vaccino protegge il bambino per oltre 18 mesi dopo il parto.

La pertosse è una grave infezione respiratoria che nei neonati può portare anche alla morte. Negli Stati Uniti, c’è stato un aumento dei casi a partire dal 2000. Per questo motivo i medici raccomandano di inoculare il vaccino a 2, 4 e 6 mesi. Nel 2013, i centri per la prevenzione e il controllo delle malattie hanno cominciato a raccomandare anche il vaccino Tdap in gravidanza.

Il Tdap protegge contro tetano, difterite e pertosse. Se inoculato in gravidanza, gli anticorpi materni attraversano la placenta e proteggono il feto anche dopo il parto. La raccomandazione si basava però su dati immunologici. Per questo motivo, la professoressa Becker-Dreps ha condotto un trial clinico che ha confermato l’efficacia del vaccino.

Lo studio ha analizzato più di 675.000 gravidanze negli Stati Uniti, condotte tra il 2010 e il 2014. I ricercatori hanno confrontato i dati delle donne che avevano ricevuto il Tdap e quelli dei neonati ospedalizzati. Da quanto è emerso, il vaccino inoculato in gravidanza protegge il feto per almeno 6 mesi dopo il parto. A questo punto il bambino è abbastanza grande da ricevere il vaccino direttamente.

Tra i bambini esposti in grembo al vaccino, c’è stata una riduzione del 75% del numero di ospedalizzazioni e del 46% dei casi di pertosse. Il tasso di efficacia è risultato alto nei casi di vaccinazioni eseguite alla fine del terso trimestre. Si è invece rivelato nullo in quante avevano eseguito il vaccino nel primo trimestre. Il momento migliore per vaccinarsi sarebbe quindi tra la 27a e la 36a settimana di gestazione.

Fonte: med.unc.edu

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L’esposizione prenatale al fumo aumenta i disturbi dell’udito

L’esposizione prenatale e neonatale al fumo incide negativamente sull’udito. Il rischio di disturbi dell’udito raddoppia, se l’esposizione avviene sia prima sia dopo il parto. È quanto emerge da una ricerca giapponese guidata dal dottor Koji Kawakami dell'Università di Kyoto. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Paediatric and Perinatal Epidemiology.

I ricercatori hanno esaminato i dati di 50.734 neonati. Il 3,8% di loro era stato esposto al fumo nel corso della vita intrauterina. Il 3,9% aveva subito il fumo passivo nei primi mesi di vita. Lo 0,9% era stato esposto sia in fase prenatale sia in fase neonatale. Nel 12,5% dei casi, invece, la futura mamma aveva smesso di fumare appena scoperto di essere incinta.

Le analisi hanno mostrato un collegamento tra problemi di udito e fumo in gravidanza. All’età di tre anni, i bambini esposti al fumo nel ventre materno avevano il 68% di probabilità in più di avere problemi di udito. La percentuale scendeva al 30% in più nel caso dei bambini esposti al fumo passivo solo in età neonatale. Nel caso delle mamme ex fumatrici, la probabilità era del 26% più alta della media. Invece, i piccoli esposti al fumo in entrambe le fasi avevano 2,4 volte le probabilità di manifestare problemi di udito entro i 3 anni.

I risultati dello studio mostrano l’importanza di smettere di fumare prima di programmare una gravidanza, oltre che durante e dopo. Molte future mamme smettono di fumare quando scoprono di essere incinte. Per quanto questo sia un passo importante, potrebbe comunque non essere sufficiente.

Fonte: ansa.it

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Un test del sangue dice se il bimbo sarà prematuro

Potrebbe bastare un prelievo ematico per prevedere la data del parto e se il bimbo sarà prematuro. Solo in Italia, nascono ogni anno 32.000 bambini prematuri, il 6,7% dei nuovi nati. In altri paesi la situazione è addirittura peggiore: secondo l’OMS, nel mondo 1 bambino su 10 nasce prima del termine. Il parto pretermine è inoltre la prima causa di morte neonatale. Un team guidato dall’Università di Stanford ha deciso di combattere il fenomeno con un test genetico.

Al giorno d’oggi, il metodo per eccellenza per stimare l’età gestazionale è l’ecografia. Se nel nostro paese è ormai data per scontata, non è così nelle zone più povere del mondo. In alcuni paesi l’ecografia è troppo costosa e quindi non sempre disponibile. Il test elaborato dal team è più economico rispetto all'ecografia, quindi molto più appetibile per i paesi in via di sviluppo.

Il test del sangue è in grado di valutare il rischio di parto prematuro nel 75-80% dei casi. Come? In uno studio precedente, i ricercatori di Stanford avevano mostrato che misurare la quantità di RNA circolante aiuta a stimare l’età gestazionale del feto. A partire da questa scoperta, hanno esaminato il materiale genetico di un gruppo di donne incinte.

Le prime analisi condotte su 21 donne hanno permesso identificare 9 tipi di RNA circolante proveniente dalla placenta. In questo modo sono riusciti ad elaborare un modello statistico, in grado di predire il momento del parto. I dati raccolti forniscono infatti informazioni riguardanti lo sviluppo del feto, con una precisione difficile da ottenere con altri strumenti.

La seconda fase dei test si è concentrata sui parti prematuri. I ricercatori hanno coinvolto 38 gestanti ad alto rischio, di cui un terzo ha poi partorito prima del tempo. I medici hanno prelevato un campione ematico durante il secondo e il terzo trimestre. Grazie al test, hanno individuato il materiale genetico della madre e in particolare le anomalie legate a sette geni. Le analisi hanno previsto le successive nascite premature con un grado di accuratezza del 75% circa. Ciononostante, l’effettivo ruolo dei geni coinvolti è ancora poco chiaro.

Fonte: repubblica.it

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