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Aurora magazine

Gli eventi stressanti riducono la fertilità futura del bambino

Gli uomini le cui madri sono state molto stressate nei primi 18 mesi di gestazione sono meno fertili. La scoperta arriva dal Western Australia's Raine Study, uno studio multigenerazionale condott su uomini tra i 20 e i 30 anni.

Secondo i ricercatori, nelle prime settimane di gestazione gli organi riproduttivi maschili sono particolarmente vulnerabili. Per dimostrarlo, tra il 1989 e il 1991 hanno reclutato quasi 3000 donne alla 18a settimana di gestazione. In questi anni, hanno sottoposto loro dei questionari riguardanti eventuali eventi stressanti accaduti subito prima del concepimento e nelle sue prime fasi. Le domande prevedevano lutti, divorzi, problemi coniugali, perdita di lavoro, problemi finanziari.

Le partecipanti diedero alla luce 2868 bambini, di cui 1454 maschietti. Di questi, 643 hanno continuato a partecipare allo studio fino ad oggi. I ricercatori ne hanno esaminato le funzioni riproduttive con esami ecografici testicolari e analisi dello sperma. In un secondo momento hanno incrociato i dati raccolti con le risposte date dalle madri durante la gestazione, cercando eventuali collegamenti tra fertilità e condizioni psicologiche materne.

Il 63% degli uomini era stato esposto ad almeno un evento traumatico in età prenatale, nelle primissime fasi della gestazione. Dagli esami è emerso che questi hanno meno spermatozoi e meno motilità. Per rendere i risultati più precisi, i ricercatori hanno tenuto conto anche di altri fattori che potrebbero influenzare la salute riproduttiva, non legati alla salute materna.

Anche escludendo altre variabili, gli uomini esposti ad eventi molto stressanti nelle prime fasi della vita hanno il 36% in meno di spermatozoi. Inoltre, la motilità è più bassa del 12% e i livelli di testosterone sono ridotti dell’11%. C’è quindi la possibilità che la salute psicologica materna possa davvero danneggiare o migliorare la futura fertilità dei figli.

Fonte: eshre.eu

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Svenire in gravidanza potrebbe essere un cattivo segno

I piccoli svenimenti sono da sempre considerati un sintomi di gravidanza nelle prime fasi. Un nuovo studio getta una nuova luce sul fenomeno, che potrebbe essere legato a problemi di salute per la madre e per il bambino.

I ricercatori delle Università di Alberta e di Calgary hanno analizzato i registri delle nascite di 481.930 bambini, tutti nati tra il 2005 e il 2014. Nel corso dello studio, hanno preso in esame anche i registri medici delle madri durante e a un anno dal parto, cercando eventuali casi di svenimento. Circa l’1% delle donne aveva avuto casi del genere, circa un terzo nel primo trimestre di gravidanza.

I casi di svenimento nel primo trimestre sono risultati collegati a un tasso più alto di parti pretermine. Un numero più alto della media di bambini è risultato avere problemi cardiaci e le madri hanno avuto ulteriori casi di svenimento. Il fenomeno pare essere collegato anche a un numero maggiore di anomalie congenite, specie quando ci sono stati svenimenti multipli.

Gli svenimenti sono perdite di coscienza temporanee, causate di solito da un calo di pressione e dalla mancanza di ossigeno nel cervello. Gli ormoni della gravidanza possono accelerare il battito cardiaco e rilassare i vasi sanguigni, causando i suddetti svenimenti. Il fenomeno andrebbe riportato al proprio medico, per aumentare i controlli e ridurre il rischio di eventuali conseguenze negative.

Secondo gli autori dello studio, gli svenimenti potrebbero essere indice di una maggiore predisposizione alle malattie cardiovascolari. Andrebbero quindi trattati come qualcosa di più di un evento aneddotico.

Fonte: folio.ca

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Si possono predire problemi nello sviluppo per le gravidanze a venire?

Molti genitori con figli affetti da problemi nello sviluppo hanno paura anche per eventuali gravidanze a venire. In alcuni casi, è possibile ricorrere ai test di screening prenatale. Cosa fare, invece, quando non si ha a che fare con malattie ereditarie?

In alcune famiglie c’è il 50% di probabilità che anche il secondo figlio abbia problemi, nonostante le mutazioni non siano presenti in nessuno dei due genitori. Per questo motivo, il team guidato dal dottor Ummi Abdullah sta sviluppando un modo per individuare i casi del genere. Il suo studio mira a identificare le coppie a forte rischio, calcolando il cosiddetto “rischio di ricorrenza”.

Il focus dello studio sono le famiglie con almeno un bambino malato, nelle quali però nessuno dei due genitori è portatore sano della mutazione. Secondo il team, le mutazioni potrebbero essere presenti solo negli spermatozoi e negli ovociti, sfuggendo ai normali test genetici. Il fenomeno è detto mosaicismo gonadico.

I ricercatori hanno analizzato i tessuti di 20 famiglie, ricavati da entrambi i genitori e dai figli. Le analisi hanno rivelato alcuni casi di mosaicismo nei genitori, i più gravi dei quali derivanti dalla madre. Le mutazioni genetiche di questo tipo ereditate dal padre, invece, paiono avere una ricorrenza di gran lunga minore.

Per il momento, il test può dare una risposta affidabile a circa 3 coppie su 4. Serviranno però ulteriori studi per provare la bontà del procedimento, motivo per cui i trial clinici sono ancora in corso.

Fonte: medicalxpress.com

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Un ormone prodotto in gravidanza allevia i dolori alle articolazioni

A partire dal primo trimestre, il corpo della donna comincia a produrre un ormone chiamato relaxina. L’ormone aiuta la futura mamma a sciogliere muscoli, articolazioni e legamenti. In questo modo il corpo fa meno fatica ad adattarsi al piccolo in crescita. Un team multidisciplinare del BIMDC (Department of Orthopedic Surgery at Beth Israel Deaconess Medical Center) ha studiato gli effetti della relaxina su pazienti affetta da artrofibrosi.

Lo studio parte dall’osservazione di alcune pazienti in gravidanza. Alcune donne affette dalla malattia riportavano una riduzione dei dolori sia durante la gestazione sia subito dopo. I medici hanno cercato una possibile causa del fenomeno, soffermandosi sulla produzione della relaxina. A questo punto, hanno deciso di verificare se i loro sospetti fossero fondati oppure no.

I medici hanno iniettato relaxina umana nelle articolazioni di alcune cavie. Gli animali soffrivano di una forma dolorosa di artrofibrosi, che impediva loro l’utilizzo delle spalle. Si tratta di una variante particolarmente debilitante, comune soprattutto tra donne di mezza età e diabetiche. Le cavie così trattate hanno recuperato buona parte della mobilità; i campioni di tessuti hanno mostrato un miglioramento anche a livello cellulare.

In un secondo studio, il team ha analizzato la relaxina-2. Questa versione dell’ormone inibisce la produzione di tessuto cicatriziale abbassando i livelli di collagene che, in quantità eccessive, accelera il fenomeno. Le iniezioni effettuate con la relaxina-2 hanno portato miglioramenti più significativi e anche più duraturi. Uno dei prossimi passi sarà testare gli effetti dell’ormone sugli esseri umani, ma prima saranno necessari ulteriori test.

Fonte: bidmc.harvard.edu

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