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Aurora magazine

I farmaci contro l’ADHD sono rischiosi in gravidanza?

Secondo due studi, i farmaci contro disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) potrebbero aumentare il rischio di anomalie, se presi in gravidanza. La loro assunzione è infatti legata a un modesto aumento di anormalità perinatali e plancentari. Gli autori però avvertono: i rischi dell’ADHD non trattata potrebbero essere maggiori.

In alcuni casi, i farmaci sono essenziali per controllare i sintomi del deficit di attenzione. Solo così si riesce a garantire che la madre presti la dovuta attenzione alla propria salute e a quella del bambino. Al contrario il disturbo non trattato potrebbe portare a un aumento dello stress e a comportamenti rischiosi anche per il feto.

La dottoressa Jacqueline M. Cohen mette in luce come il tasso di rischio provocato dai farmaci non giustifichi l’astensione dai trattamenti. Si tratta infatti di un aumento ridotto, specie se si considerano i rischi provocati invece da alcune forme non trattate di ADHD. L’importante è che la futura madre si sottoponga a costanti screening, così da individuare per tempo eventuali complicazioni.

Il secondo studio è stato guidato dal dottor Nörby. Il medico svedese ha analizzato i dati di 964.734 neonati, di cui 1591 esposti a farmaci per l’ADHD in fase prenatale. Altri 9475 erano invece figli di donne che avevano usato i farmaci prima della gravidanza, ma non durante. I dati hanno evidenziato un tasso maggiore di neonati in terapia intensiva appartenenti al primo gruppo. Sono inoltre emersi più casi di disturbi del sistema nervoso centrale.

Rispetto alle donne con ADHD che non si sottoponevano a trattamenti, le donne che avevano continuato a prendere i farmaci erano più sane. C’erano meno casi di obesità, di abuso di nicotina o di droghe. Tutte differenze che contribuivano a una gravidanza più sana. I medici hanno quindi preso nota di un aumentare del rischio legato ai farmaci, con però una diminuzione di quelli legati ad altri fattori.

Fonte: medscape.com

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Le terapie biologiche sono pericolose in gravidanza?

Usare terapie biologiche in gravidanza è pericoloso per il bambino? Secondo uno studio dell’Università della California a San Diego, la risposta è no. I trattamenti per l’artrite reumatoide e altre malattie non aumentano il rischio che il bambino sviluppi infezioni opportunistiche.

Pneumonia, meningite e tubercolosi sono alcune delle infezioni opportunistiche più conosciute. I ricercatori volevano assicurarsi che le terapie biologiche non ne facilitassero la comparsa. I farmaci biologici, infatti, tengono a bada il sistema immunitario per evitare che attacchi l’organismo stesso. Il timore era che il processo esponesse il feto a un maggior numero di infezioni.

Lo studio analizza dati raccolti dal 2004 e il 2016, riguardanti più di 1.000 gravidanze. Gli scienziati hanno analizzato i dati di donne incinte affette da malattie autoimmuni, trattate mediante terapie biologiche. Per ogni paziente, hanno segnato le date di assunzione dei farmaci, prendendo nota di eventuali interruzioni della terapia in gravidanza.

I dati comprendevano 502 gravidanze di donne affette da artrite reumatoide sottoposte a terapie biologiche. Delle gravidanze analizzate, inoltre, 231 riguardavano donne affette dalla malattia che avevano interrotto le terapie. Il gruppo di controllo era invece incentrato su 423 gravidanze.

Dopo il parto, i ricercatori hanno raccolto i dati sul tasso di infezioni dei neonati. Si sono concentrati su infezioni gravi come sepsi, pneumonia, meningite e altre. È così emersa una differenza minima tra i diversi gruppi. Le infezioni hanno interessato: il 4% dei figli di quante non avevano interrotto le terapie; il 2,6% dei figli delle donne che avevano interrotto le terapie; il 2,1% dei bambini del gruppo di controllo.

Lo studio prova che le terapie non aumentano in maniera significativa il rischio di infezioni gravi. È vero però che mancano ancora studi sulle infezioni di media entità.

Fonte: rheumatology.org

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IVF: meglio impiantare un embrione alla volta

Trasferire un solo embrione alla volta raddoppia le possibilità che il ciclo di IVF si concluda con un bambino sano. Lo afferra uno studio dell’Università del Colorado e della Duke University.

Molte donne che si rivolgono alla IVF scelgono di farsi impiantare più embrioni alla volta. Sperano così di aumentare le possibilità di successo e magari di contenere i costi. Ciononostante, la comunità scientifica consiglia esattamente il contrario.

Le tecniche di fecondazione in vitro aumentano le possibilità di gravidanze multiple, a causa della tendenza di cui sopra. A loro volta, i parti gemellari espongono i bambini a parti prematuri e sottopeso. Ecco perché bisognerebbe fare di tutto affinché il grembo materno ospiti solo un feto alla volta.

I ricercatori hanno analizzato lo stato di salute di bambini nati grazie alla IVF, usando sia ovociti freschi che crioconservati. I dati raccolti riguardano 30.000 donne che si sono sottoposte a fecondazione in vitro tra il 2012 e il 2014. Da quanto è emerso, non ci sono differenze significative tra i bambini nati usando ovociti freschi e congelati. In compenso, le gravidanze multiple si sono dimostrate ancora una volta molto più rischiose di quelle singole.

Sfocia in una gravidanza multipla il 22,5% dei cicli di IVF con ovociti congelati e il 31,9% di quelli con ovociti freschi. Una tendenza preoccupante, data anche dalla mancanza di informazioni sui rischi di una gravidanza multipla. Portare in grembo due o più bambini è rischio sia per la madre sia per i piccoli stessi. Questi ultimi hanno più probabilità di nascere prima del tempo e sottopeso.

Fonte: medscape.com

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In gravidanza è meglio dormire sul fianco

Dormire sulla schiena nelle ultime fasi della gravidanza potrebbe danneggiare il feto. Lo rivela una ricerca dell’Università di Auckland. Secondo i ricercatori, la posizione in cui si dorme influenza i rischi legati al parto.

Lo studio ha coinvolto 30 donne tra la 34a e la 38a settimana di gestazione, tutte in buona salute. In più, sono stati esaminati i casi di gravidanze difficili, o in cui il feto si muoveva poco. L’attività fetale è infatti uno degli indicatori della salute del bambino. Studi precedenti hanno associato la mancanza di movimento a un tasso maggiore di feti nati morti.

I ricercatori hanno monitorato le risposte del bambino ai cambiamenti di posizione della madre durante il sonno. Hanno usato una videocamera a infrarossi per registrare le donne durante il sonno. Nel mentre, hanno monitorato il battito cardiaco di madre e figlio. Quando la madre dormiva sulla schiena, il feto era meno attivo di quando dormiva sul fianco. Nel caso di cambiamento di posizione dal fianco alla schiena, il feto si fermava.

Peter Stone, uno degli autori principali dello studio, ha detto che la scoperta potrebbe aiutare soprattutto in caso di gravidanza difficile. Qualora il medico avesse dubbi sulla salute del bambino, potrebbe consigliare alla madre di dormire sul fianco.

Fonte: physoc.org

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