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Aurora magazine

Nuova spiegazione per l'infertilità femminile collegata all'età

L'età è uno dei fattori che influenza di più la capacità di procreare. I ricercatori dell'Università del Montreal Hospital Research Center (CRCHUM) hanno esaminato le basi genetiche collegate al questo problema nelle donne. Hanno così trovato una nuova possibile spiegazione.

Gli ovociti sono le cellule riproduttive femminili prima di essere fecondate ed evolversi in ovuli. Le donne ne hanno un numero definito, che con il passare degli anni si abbassa. Man mano che l'organismo invecchia, inoltre, anche la qualità degli ovociti rimasti diminuisce. Tutto questo rende molto più difficile il concepimento naturale dopo i 37 anni di età.

I ricercatori canadesi hanno esaminato le cause genetiche dell'invecchiamento cellulare degli ovociti. Hanno individuato degli errori nella segregazione dei cromosomi, la divisione delle coppie di alleli durante la formazione delle cellule germinali. Gli errori provocano ovociti con un numero anormale di cromosomi, con conseguente difficoltà nel concepire.

La spiegazione più accreditata per l'aumento delle anomalie cromosomiche è un malfunzionamento della coesina. Si tratta di un complesso proteico che mantiene insieme i cromosomi. Secondo molti studiosi, con l'età la coesina si deteriora e i cromosomi perdono coesione. I ricercatori canadesi hanno ampliato questa teoria.

I microtubuli sono strutture cilindriche interne alle cellule, responsabili del movimento cellulare. Quando la cellula si prepara alla divisione, uniscono i cromosomi intorno alla struttura ad elica e li selezionano. Dopo la divisione, mandano i cromosomi agli estremi opposti del nucleo delle cellule figlie, provocando appunto la segregazione.

Lo studio canadese mostra che il 50% degli ovociti delle cavie più vecchie hanno microtubuli disfunzionali. Il problema quindi non è l'età del nucleo, quanto quello dell'ovocita nel suo complesso. Inserendo un nucleo giovane in un ovocita vecchio, infatti, i problemi rimangono. La scoperta è valida anche per le donne umane e potrebbe aprire le porte a nuovi metodi per ringiovanire gli ovociti. Durante la gravidanza è importante sottoporsi a controlli e ad esami di screening prenatale: con il test DNA fetale ad esempio, la mamma può sapere se il feto è affetto da anomalie cromosomiche.

Fonte: medicalnewstoday.com

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Nuove ipotesi sull'origine dell'Alzheimer

Uno studio dell’Università Campus-Biomedico di Roma ha individuato una nuova possibile origine dell'Alzheimer. Secondo lo studio, alla base ci sarebbe la morte dei neuroni che producono la dopamina, il neurotrasmettitore della memoria. Il fenomeno spiegherebbe in parte la progressiva perdita della memoria, il sintomo principale della malattia.

Gran parte delle ricerche si sono concentrate sull'ippocampo. È l'area del cervello che codifica i ricordi nuovi e, là dove necessario, richiama quelli vecchi. Il nuovo studio, invece, prende in esame il mesencefalo, situato in profondità nel cervello. Qui c'è un'area detta tegmentale ventrale, dove ci sono le cellule che producono la dopamina. La malattia provocherebbe la morte di queste cellule, riducendo l'apporto di dopamina all'ippocampo. Ciò spiegherebbe non solo la perdita della memoria, ma anche i disturbi dell'umore propri della malattia.

I ricercatori hanno analizzato gli aspetti morfologici e comportamentali di cavie affette dalla malattia. In particolare, hanno effettuato il conteggio dei neuroni man mano che la malattia progrediva. Allo stesso tempo, hanno valutato i cambiamenti comportamentali nelle cavie. In questo modo hanno individuato un deficit nei neuroni produttori di dopamina e, di conseguenza, nei livelli del neurotrasmettitore.

Per confermare la teoria, i ricercatori hanno somministrato un inibitore della degradazione della dopamina alle cavie. I topi così trattati hanno recuperato le funzioni perdute: hanno recuperato la memoria e anche la vitalità. Ciononostante, ha funzionato solo in quelli nella fase iniziale della malattia.

Lo studio romano è in contrasto con la teoria al momento più diffusa. Secondo questa, l'Alzheimer sarebbe legato all'accumulo di una proteina prodotta delle cellule cerebrali, la beta amiloide. Il team romano ha però mostrato che solo il 5% dei casi è ricollegabile a un'alterazione nel gene dell'amiloide.

Fonte: corriere.it

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Un test genetico facilita la diagnosi del cancro alla pelle

I ricercatori del NYU Langone Medical Center e del Perlmutter Cancer Center hanno creato un test genetico per la diagnosi del cancro alla pelle. Il test del DNA analizza il sangue della persona, per confermare o smentire la presenza della patologia. In questo modo rende più facile la diagnosi precoce e intervenire per tempo contro la malattia. Per il momento è disponibile solo a fini di ricerca, ma in futuro potrebbe aprirsi all'ambito clinico.

Il nuovo test genetico dà risultati in sole 48 ore ed è pensato per la diagnosi precoce. Le anomalie dei geni BRAF e NRAS aumentano il rischio di melanoma e sono alla base del 50% dei casi. Esistono dei test del DNA che consentono di individuare la presenza delle mutazioni, utili per i soggetti con familiarità. Possono però poco per chi è affetto da forme sporadiche di melanoma. Il test in questione è pensato proprio per queste persone.

Il test identifica il DNA proprio del melanoma nel sangue dei pazienti. In questo modo permette di monitorare i livelli dei frammenti di DNA, o eventuali modifiche nel gene che controlla la TERT. Quest'ultima è la telomerasi trascrittasi inversa, ovvero una proteina che aiuta le cellule tumorali a mantenere la struttura fisica dei cromosomi. Là dove presente, la mutazione aiuta le cellule tumorali a moltiplicarsi e ostacola i trattamenti.

Lo scopo dei ricercatori è facilitare la ricerca di trattamenti efficaci. Il test aiuterebbe anche a capire se i trattamenti in corso stanno funzionando o se il cancro si sta espandendo. Il monitoraggio sarebbe più veloce e salutare di quello tradizionale e permetterebbe di cambiare terapia per tempo. Ciononostante, per il momento le ricerche sono ancora in corso e saranno necessari ulteriori trial per validare il test.

Fonte: eurekalert.org

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Individuati nuovi fattori genetici di rischio del glioma

Quali sono i fattori genetici di rischio del glioma? Un consorzio composto da 14 centri di ricerca ha analizzato il profilo genetico del tumore cerebrale. In questo modo ha identificato 13 nuovi marker, che si sommano ai 13 già noti. La scoperta renderà più semplice valutare il rischio di ammalarsi ed elaborare trattamenti personalizzati.

Il team internazionale ha analizzato il genoma di quasi 12.500 persone affette da glioma. L'ha confrontato con quello di 18.000 individui sani, usati come gruppo di controllo. L'operazione ha permesso di definire i diversi tipi di tumore a livello molecolare, tenendo conto anche del grado di malignità. Inoltre, ha messo in luce milioni di varianti coinvolte nello sviluppo del tumore e 13 nuovi marker.

A seconda del tipo di glioma e della sua aggressività, i ricercatori hanno individuato cause genetiche diverse. Tutte le alterazioni individuate coinvolgono singoli nucleotidi del DNA, le lettere della doppia elica. Pur essendo molto piccole, interessano geni fondamentali per controllare l'invecchiamento e la proliferazione cellulare. Le alterazioni sono inoltre presenti in geni con funzioni legate alla sopravvivenza cellulare.

Fino ad oggi la conoscenza dei fattori di rischio del glioma era limitata. Secondo Melissa Bondy, una degli autori, lo studio ha fornito un profilo genetico molto più ampio della malattia. Ciò ha permesso di sviluppare nuove teorie sullo sviluppo e l'evoluzione del tumore. La scoperta potrebbe salvare la vita a milioni di persone, in quanto i gliomi sono tra i tumori del cervello più comuni negli adulti.

Prima che la ricerca abbia ricadute in ambito clinico ci vorrà del tempo. L'obiettivo è calcolare il rischio di tumore in base alla presenza o meno di certe anomalie genetiche. È però ancora poco chiaro come queste mutazioni interagiscano tra loro. Inoltre, la quantificazione del rischio manca ancora della precisione riscontrabile nei test genetici per il tumore all'ovaio o alla mammella. La strada percorsa è però quella giusta.

Fonte: repubblica.it

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