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Aurora magazine

Sviluppato modello digitale 3D ad alta risoluzione

Nelle ultime decadi, gli scienziati hanno mappato il genoma umano con successo. Purtroppo non c’era nulla che corrispondesse a un modello ad alta risoluzione. Questo rendeva più difficile studiare le interazioni tra i cromosomi, intricate ed essenziali per comprendere tante malattie. I ricercatori dell’Università del Missouri hanno forse risolto questo problema.

Il tool sviluppato dal team crea un modello 3D ad alta risoluzione del genoma umano. In questo modo è più facile identificare i fattori che determinano malattie genetiche, tumori e disturbi di vario genere.

I ricercatori sono partiti da sequenziamenti preesistenti a una dimensione. Per aggiungere le dimensioni mancanti, hanno creato un algoritmo che visualizza le interazioni in 3D e ad alta definizione. I geni vicini o collegati tra loro sono più facili da individuare, dato che il loro legame è espresso visivamente. Due geni in apparenza slegati ma vicini, ad esempio, possono spiegare le apparenti anomalie di malattie come diabete o Alzheimer.

L’interazione tra i geni è alla base del funzionamento del nostro corpo. Ecco perché è così importante poterla visualizzare nel modo migliore possibile. Inoltre, questa ricerca sottolinea il potere della medicina di precisione trasversale. Tutto questo è stato infatti reso possibile dalla collaborazione tra più scuole e tra più facoltà, l’unico modo per sviluppare uno strumento informatico del genere, potenzialmente tanto importante per la medicina.

Fonte: medicalxpress.com

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Addio alla cecità grazie alla CRISPR?

Sta per partire un trial clinico che testerà una nuova tecnica per guarire la cecità. Il possibile trattamento si basa sulla CRISPR e mira a correggere i geni che causano l’amaurosi congenita di Leber. Per il momento sarà testato su 18 volontari adulti e bambini.

La malattia è collegata ad anomalie presenti in circa 15-20 geni diversi, che causano una progressiva degenerazione dei fotorecettori della retina. Al momento non esiste alcuna cura risolutiva, a parte per una terapia genica efficace solo sulla forma causata dal gene RPE65. Questo rende il trial ancora più importante.

La terapia genica esistente usa un virus per sostituire il gene RPE65 anomalo con una versione corretta. Quella che ci si accinge a testare, invece, agisce sul gene Cep290 che causa la forma Lca10 dell’amaurosi congenita di Leber. In questo caso specifico, i ricercatori useranno le nuove tecniche di Crispr-Cas9.

I ricercatori inietteranno delle cellule sensibili alla luce sotto la retina. La CRISPR dovrebbe sostituire il gene anomalo, in modo da correggere il DNA della retina in modo permanente. Se dovesse funzionare, la malattia si potrebbe fermare o addirittura regredire. In questo modo i bambini e gli adulti riavrebbero la loro vista o quello che ne rimane.

Non è la prima volta che si usa la Crispr-Cas9 direttamente sul corpo umano. Sono in via di sviluppo un gran numero di terapie che sfruttano la tecnica di editing genetico, soprattutto in ambito oncologico. In questi casi, i medici modificano le cellule del sistema immunitario in modo che colpiscano le cellule tumorali.

Fonte: wired.it

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Il DNA ripetuto è causa di quattro malattie neurodegenerative

Grazie a uno studio dell’Università di Tokyo, un gruppo di famiglie ha finalmente ricevuto una diagnosi. Le loro malattie non sono causate da mutazioni genetiche, ma dal ripetersi di un piccolo segmento di DNA. Secondo i ricercatori, questo problema potrebbe essere la causa di altre malattie oggi impossibili da diagnosticare con i test genetici.

Malattie come il Parkinson sono causate da mutazioni localizzate in più geni. Lo stesso vale per la fibrosi cistica, per la quale sono state individuate oltre 1.000 mutazioni. In questo caso, invece, la mutazione è sempre la stessa in tutte e quattro le malattie e si ripete in diverse aree del genoma. Ciò significa che gli stessi trattamenti potrebbero essere efficaci per tutte le malattie, anche se in misura diversa.

Lo studio si è concentrato su pazienti adulti affetti da diverse forme di disturbo neurodegenerativo. Tra i sintomi più spesso riscontrati ci sono disturbi cognitivi, movimenti incontrollati, perdita di equilibrio, debolezza in gambe e braccia. Tutti questi sono legati alla sindrome dell’X debole, causata di solito dalla ripetizione di tre lettere del codice genetico nei cromosomi X. Eppure i pazienti coinvolti nello studio non soffrivano di sindrome dell’X debole. Di cosa, allora?

I pazienti analizzati avevano cromosomi X nella norma, pur manifestando questi sintomi. I ricercatori hanno quindi cercato le ripetizioni negli altri 46 cromosomi. Per accelerare il processo, hanno combinato le moderne tecniche di sequenziamento con un software che ha cercato solo le tre lettere incriminate.

Fonte: u-tokyo.ac.jp

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Bisognerebbe testare tutte le donne per l’Epatite B?

Nuove prove supportano la necessità di testare tutte le donne incinte per l’epatite B, in modo da non infettare i nuovi nati. Lo sostiene uno studio dell’Università di Stanford, che ha analizzato gli eventuali benefici derivanti dal generalizzare la pratica.

I bambini si ammalano di epatite B soprattutto al momento del parto. La malattia si cronicizza, si evolve in cirrosi o in carcinoma. Per evitarlo, basterebbe sapere in anticipo se la madre e malata. In questo modo sarebbe possibile ridurre il rischio di contagio durante il parto.

I medici statunitensi avevano consigliato di estendere la pratica a tutte già nel 1996. Hanno ripetuto la raccomandazione nel 2009, sostenendola con gli studi del dottor Jillian Henderson. Questa nuova raccomandazione conferma quanto detto in precedenza, ma si basa su analisi più recenti. Gli autori sono partiti da uno studio del 2012 e da uno del 2014, entrambi incentrati su programmi di screening prenatale.

Lo scopo delle analisi era verificare l’effettiva utilità di un test sierologico sistematico contro l’epatite B. Queste hanno confermato l’accuratezza dei test attuali e l’efficacia nel prevenire la trasmissione perinatale della malattia. Inoltre, i nuovi studi mostrano che ci sono benefici anche per le future mamme.

Gli studi recenti hanno mostrato che i trattamenti antivirali in gravidanza riducono o eliminano le infezioni fetali. I possibili effetti collaterali per mamma e bambino sono minimi, quindi non ci sono controindicazioni. Purtroppo, solo l’84% delle donne statunitensi fa i controlli necessari. La percentuale rimanente espone se stessa e il piccolo a una serie di problemi che potrebbe evitare con poco.

Fonte: medpagetoday.com

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