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Aurora magazine

Un DNA “alieno” alla base della leucemia mieloide?

Un team di ricerca del Niguarda ha rilevato del DNA “alieno” in alcune cellule tumorali. Si tratta di una sequenza che non era mai stata osservata nel genoma umano. La scoperta potrebbe gettare una nuova luce sulla genesi della malattia, che potrebbe essere di origine virale.

La nuova scoperta ha in realtà origine in uno studio risalente a quattro anni fa. Le stesse equipe milanesi avevano notato che le cellule della leucemia mieloide producono una proteina detta Wnt10b. Avevano quindi attribuito a questa proteina la proliferazione senza controllo delle cellule tumorali. Il presente studio mirava a comprendere il perché di questa produzione anomala della proteina. Ecco perché i ricercatori si sono concentrati sul DNA delle cellule tumorali, cercando i geni che codificano la sintesi di Wnt10b.

Il team ha analizzato i tessuti tumorali di 100 pazienti del Niguarda, isolando la sequenza del DNA che regola la produzione di Wnt10b. Questa è presente in circa 1 paziente su 2 e ha caratteristiche inaspettate. Hanno infatti rilevato una sequenza di DNA composta da circa 4.500 basi che non è presente in nessun database. Ciò significa che non si tratta di materiale genetico umano, ma avente probabilmente un’origine virale. Una scoperta del genere che conseguenze ha sullo studio della malattia? Quella più importante è la messa in discussione di quanto si credeva di sapere sulla genesi della leucemia mieloide acuta.

Fonte: wired.it

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Individuare il rischio di Alzheimer con l'olfatto

Un team di Boston ha elaborato un nuovo test non invasivo per individuare il rischio di Alzheimer. Il test è pensato per i soggetti ad alto rischio e misura la capacità di distinguere e identificare gli odori. La difficoltà a capire se due odori sono uguali o diversi sarebbe infatti un sintomo di declino cognitivo.

I ricercatori del Massachusetts General Hospital hanno coinvolto 183 pazienti con problemi cognitivi. Hanno fatto loro annusare diversi tipi di odori, chiedendo loro di identificarli e di indicare se erano diversi o uguali rispetto a quelli di prima. Hanno quindi confrontato risultati ottenuti e livelli di disagio cognitivo. È emerso che le persone con problematiche più gravi erano anche quelle con risultati peggiori. In particolare, i soggetti a rischio di Alzheimer sono stati quelli che hanno avuto più problemi nei test.

Quella di Boston è l’ennesima prova l’Alzheimer inizia almeno 10 anni prima del declino della memoria. Purtroppo i test diagnostici attuali riescono a individuare la malattia solo quando i problemi cognitivi sono già avanzati. Ciò impedisce di intervenire negli stadi iniziali dell’Alzheimer, che potrebbero essere critici per rallentare l’avanzata della patologia. È quindi necessario pensare un test che individui i primi sintomi della malattia, molto più subdoli di quelli più conosciuti.

I ricercatori di Boston hanno teorizzato che le funzioni olfattive possano fungere da primo campanello di allarme. Già studi precedenti avevano infatti individuato un collegamento tra scarso senso dell’olfatto e rischio di demenza. Se queste teorie trovassero conferma, sarebbe possibile avere un test non invasivo, efficacie e in grado di individuare l’Alzheimer con qualche "annusata".

Fonte: medicaldaily.com

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Il DNA decide quanti figli si avranno

Secondo uno studio dell’Università di Oxford, i geni decidono il numero di figli che si avranno e a quale età. I ricercatori hanno individuato 12 aree del DNA coinvolte nei comportamenti riproduttivi, che entrano in sinergia con scelte personali e fattori sociali.

Lo studio prende in esame i dati genetici di quasi 600.000 persone in totale. Esamina in primo luogo i profili di 238.064 uomini e donne per individuare un collegamento tra geni e primo concepimento. Passa poi all’analisi del DNA di 330.000 persone, alla ricerca del legame tra geni e numero di figli. I ricercatori hanno incrociato i dati così ottenuti e hanno individuato delle varianti specifiche in 12 aree del DNA. A partire da queste, hanno predetto l’età del primo concepimento e il numero di figli con una precisione di circa l’1%.

In apparenza l’1% di precisione ha ben poca rilevanza. In realtà, è un primo passo nella diagnosi di eventuali disturbi della fertilità. Lo studio condotto dà infatti nuova importanza ai fattori genetici, oltre che alle scelte personali e all’ambiente sociale. Ciò significa che la l’età del primo figlio è determinata in parte dal DNA, indipendentemente dal contesto in cui si vive. In futuro potrebbe essere possibile prevedere con accuratezza la presenza di problematiche legate alla fertilità. Saranno però necessarie altre ricerche.

Fonte: ansa.it

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I primi contraccettivi ormonali maschili sono realtà

Uno studio internazionale ha provato l’efficacia dei primi contraccettivi ormonali maschili. Si tratta di una combinazione di ormoni da iniettare, efficace nel 96% dei casi. Prima che arrivi al grande pubblico, bisognerà però definire meglio i dosaggi e i metodi di somministrazione. Lo studio mette inoltre in evidenza alcuni gravi effetti collaterali.

I 350 uomini coinvolti hanno usato un mix di progesterone e testosterone. Il progesterone blocca la produzione di spermatozoi, mentre il testosterone compensa il calo di ormoni maschili. Tutti i partecipanti erano coinvolti in relazioni stabili e adottavano altri metodi contraccettivi. Per alcune settimane hanno continuato a usare sia questi sia il nuovo contraccettivo ormonale. Dopodiché sono passati all’assunzione esclusiva e regolare del farmaco, mediante una puntura a bimestre. I primi risultati sono stati molto promettenti.

Dei 350 uomini, in 274 sono riusciti a portare ad assumere il contraccettivo con regolarità per tutto l’anno del trial. Di questi, solo in 4 hanno concepito, con un tasso di successo di quasi il 96%. La riuscita è pari a quella della classica pillola anticoncezionale, oltre che nettamente superiore a quella del preservativo. Più del 75% di coloro che hanno portato a termine il trial hanno manifestato soddisfazione, affermando che andrebbero avanti con il trattamento se possibile.

Il nuovo anticoncezionale preoccupa per alcuni suoi effetti collaterali, che hanno spinto 20 uomini ad abbandonare lo studio. Questi comprendono aumento della libido, depressione e acne. Secondo gli studiosi, le controindicazioni potrebbero ridursi con un cambiamento nel dosaggio e nelle modalità di somministrazione.

Fonte: focus.it

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