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Aurora magazine

Leucemia pediatrica: nuovo progetto per bloccare il meccanismo molecolare

L’Airc ha finanziato un nuovo progetto di ricerca contro la leucemia mieloide acuta, condotto dal Policlinico di Sant’Orsola. La ricerca mira a trovare un modo per bloccare un meccanismo molecolare che rende il tumore più aggressivo. Questo provoca infatti una maggiore resistenza alla chemioterapia, rendendo più facile incorrere in recidive.

Ad oggi la leucemia mieloide acuta pediatrica ha un tasso di recidiva circa del 30%. A 5 anni dalla diagnosi, sopravvive solo il 65% dei piccoli pazienti, spesso proprio a causa di una scarsa efficacia delle terapie standard. Il team bolognese sta studiando il ruolo della via cellulare Hedgehog. L’attivazione incontrollata di questa via rende il tumore più resistente alla chemioterapia, il che rende spesso necessario il trapianto. Facilita inoltre la ricomparsa del tumore anche anni dopo l’apparente guarigione.

Altri progetti hanno individuato inibitori in grado di bloccare la Hedgehog, almeno in vitro. Gli inibitori sono stati testati anche su soggetti adulti, con risultati positivi: il 30% delle cellule già attive sono morte in seguito al trattamento. Il nuovo progetto vuole approfondire i meccanismi molecolari che provocano l’attivazione della via cellulare, testando inibitori pensati in particolare per i bambini. Se tutto andrà bene, il progetto andrà avanti fino a inizio 2020.

Fonte: ansa.it

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La memoria delle api può spiegare l’Alzheimer?

Un meccanismo molecolare che regola la memoria nelle api potrebbe aiutare a combattere le malattie neurodegenerative. I ricercatori dell’Università di Queensland hanno scoperto che un’anomalia molecolare può innescare una serie di cambiamenti fisici, che intaccano la formazione di nuovi ricordi negli insetti. Un fenomeno che alcune patologie umane e che aiuta quindi a comprenderle meglio e a combatterle.

Le api hanno una memoria e una capacità di apprendimento eccezionali. Riescono a contare fino a quattro, si orientano seguendo percorsi imparati a memoria e mappe mentali. Inoltre riescono a interagire con i propri simili, a fare da insegnanti e da allieve. Possono mostrare alle loro compagne dove sono le fonti di cibo migliori e come tornare all’alveare. Questi processi ricordano i loro analoghi umani, benché siano per così dire “riassunti” in un genoma più piccolo e più semplice. Per questo motivo le api sono un modello perfetto per studiare l’evoluzione di malattie neurodegenerative.

I nuovi ricordi si formano mediante cambiamenti molecolari, che modificano le connessioni neurali e la loro attività. Lo regolano alcuni geni mediati da dei processi chiamati meccanismi epigenetici, di metilazione del DNA. Questi regolano l’espressione dei geni attraverso modificazioni del DNA o associazioni con proteine, senza cambiare però i geni stessi. Quando i ricercatori hanno provato a bloccare il processo, le api hanno cominciato a mostrare problemi di memoria.

Gli scienziati hanno insegnato a due gruppi di api la connessione tra un particolare odore e la presenza di zucchero. Al primo gruppo hanno mostrato la connessione un gran numero di volte, al secondo solo una volta. Dopodiché hanno prelevato un campione di api da entrambi i gruppi e hanno usato su di loro un inibitore, che ne ha alterato la metilazione del DNA. Hanno quindi provato a insegnare una nuova connessione, sempre con il metodo precedente. Dalle osservazioni è emerso che le api trattate avevano più difficoltà a imparare cose nuove.

Capire come cambia l’epigenoma, come si manifesta e come influenza le funzioni cerebrali, può aiutare a comprendere l’evoluzione di un gran numero di patologie. Data la presenza di una predisposizione genetica, i fattori ambientali possono infatti determinare quando e con che forza di manifesteranno malattie come la demenza e l’Alzheimer.

Fonte: eurekalert.org

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In arrivo nuovi trattamenti chemio free per i tumori del sangue

Il Congresso Americano di Ematologia (Ash) di San Diego del 3 dicembre si è concentrato sui nuovi trattamenti contro i tumori del sangue. In particolare, hanno suscitato grande interesse le nuove terapie chemio free, più facili da tollerare per il corpo in quanto meno tossiche.

Il merito è delle innovazioni nel campo della bioingegneria, che stanno cambiando in maniera radicale il modo in cui si somministrano i farmaci. Le nuove tecnologie consentono infatti di scoprire cosa stimola un certo tipo di tumore, a quali terapie è resistente e quali danno invece maggiori possibilità di successo.

Ci sono tre macro categorie di tumori del sangue: leucemie, linfomi e mielomi. All’interno di questi tre gruppi sono presenti forme aggressive, con un decorso fulmineo, e altre che si sviluppano più lentamente. La genetica e i test del DNA hanno permesso di scoprire nuovi sottotipi di tumori del sangue, ciascuno dei quali con il proprio particolare sviluppo. Spesso si può capire non solo qual è il sottotipo che ha colpito il paziente, ma anche che cosa ne ha determinato lo sviluppo e a quali trattamenti potrebbe essere resistente.  Ciò rende possibile sviluppare dei farmaci intelligenti, ovvero mirati a soddisfare le esigenze del singolo paziente.

L’immunoterapia è stato uno degli argomenti caldi del congresso, insieme alla genetica e alla medicina di precisione. È una tecnologia che sfrutta il sistema immunitario del paziente stesso, spingendolo ad aggredire le cellule malate. Sempre sulla scia dei trattamenti mirati, molti studi presentati all’Ash si sono concentrati sulle nanotecnologie. Queste consentono di concentrare gli effetti della terapia su determinate aree del corpo, così da ridurne la tossicità e massimizzarne gli effetti. Il risultato è una maggiore protezione dei tessuti sani, con un conseguente miglioramento della qualità della vita.

Fonte: corriere.it

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Nuovo test prenatale contro l’infezione da CMV

Un team dell’Università di Kobe ha scoperto un test prenatale non invasivo per individuare l’infezione da citomegalovirus. Si tratta di un metodo sicuro sia per il feto che per la madre, che potrebbe diventare ben presto di uso comune. Se non individuata per tempo, l’infezione congenita da CMV è infatti causa di perdita dell’udito e ritardo mentale.

Si calcola che negli Stati Uniti oltre 8.000 bambini all’anno soffrano delle complicazioni dovute al CMV. I dottori combattono l’infezione congenita con agenti antivirali, somministrati ai neonati venuti in contatto con il virus. Ciò presuppone però una diagnosi quasi immediata, al momento possibile solo con test appositi. Sono test del DNA eseguiti sulle urine del bambino, precisi ma difficili da allargare all’intera popolazione di nuovi nati. Un approccio più realistico prevede di effettuare l’analisi solo sui bambini nati dalle donne maggiormente a rischio, ma non è sempre fattibile.

Per individuare il rischio di infezione da citomegalovirus si effettua un test delle immunoglobuline M. Se il test risulta positivo, l’infezione è più probabile. Il test è però molto soggetto ai falsi positivi. È frequente che il test risulti positivo anche molti anni dopo la prima infezione, il che lo rende poco attendibile. Un metodo più preciso sarebbe un test del DNA prelevato dal liquido amniotico, ma è un’analisi che per molte donne può risultare troppo invasiva. Ecco perché il team giapponese ha effettuato una ricerca per un metodo più sicuro.

Lo studio ha coinvolto 300 donne positive al test delle immunoglobuline M. I ricercatori hanno effettuato test del DNA su campioni di sangue, urine e secrezioni della cervice. Hanno inoltre cercato eventuali tracce di infezione nel feto, mediante esami con gli ultrasuoni. Il team ha quindi analizzato tutti questi risultati dal punto di vista statistico, incrociando i dati con eventuali malformazioni fetali. È emerso che le analisi delle secrezioni della cervice hanno previsto gran parte dei casi di infezione da citomegalovirus. In caso di risultati positivi nei test preliminari, potrebbe quindi confermarli o smentirli, consentendo di intervenire per tempo con i trattamenti migliori.

Fonte: news-medical.net

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