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Aurora magazine

Sindrome di Klinefelter: importante la diagnosi prenatale

La Sindrome di Klinefelter colpisce un bimbo maschio su 500 ma non viene riconosciuta in più della metà dei casi.

Una diagnosi precoce della Sindrome di Klinefelter durante la gravidanza è importante per intraprendere trattamenti mirati e garantire uno stile di vita sano del bambino. Ad affermarlo è Piernicola Garofalo, Presidente AME Onlus (Associazione Medici Endocrinolog) ed Endocrinologo del Dipartimento di Endocrinologia dell’Ospedale Cervello di Palermo.

L'aspettativa di vita delle persone colpite da questa sindrome è pari a quella delle persone sane. Questa malattia colpisce solo le persone di sesso maschile e statisticamente non è una anomalia considerata rara (1 caso ogni 500 nati). Si tratta di un'anomalia cromosomica poco conosciuta, per cui l'individuo di sesso maschile possiede 2 cromosomi sessuali X (anziché uno) e uno Y.

La qualità di vita delle persone con Sindrome di Klinefelter è complessivamente buona: infatti, la diagnosi avviene nel 40% delle persone adulte ma nel 60% dei casi non viene riconosciuta a causa della sua sintomatologia poco evidente. Nel passato la diagnosi avveniva solamente in età adulta ma oggi grazie ai test di diagnosi prenatale è possibile individuare questa sindrome già durante la gravidanza.

La Sindrome di Klinefelter porta ad alcuni disturbi come altezza superiore alla media, tendenza all'obesità e allo sviluppo delle mammelle, piccole disabilità motorie, testicoli di dimensioni ridotte e infertilità. Le terapie per chi è affetto da questa malattia sono a base di testosterone, che serve a contrastare l'alterazione del quadro ormonale. I pazienti affetti da Klinefelter sono in grado di avere una vita normale, ottenendo buoni risultati nei percorsi scolastici, svolgendo sport e mantenendo rapporti affettivi e un'attività sessuale regolari.

Fonte: globalmedianews.info

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Le donne italiane fanno troppe ecografie in gravidanza

In Italia le future mamme si sottopongono a un numero eccessivo di ecografie: ciascuna donna in gravidanza ne fa più di 5 nel corso della gestazione, mentre il Ministero della Salute ne raccomanda tre, ossia una per ogni trimestre. Le abitudini delle future mamme poi cambiano a seconda della Regione di residenza, a partire dalle 3,8 ecografie per donna in Piemonte fino alle 7 per ciascuna mamma in Basilicata.

Questi i dati del Rapporto annuale sull’evento nascita, che presenta i dati relativi al 2013 ricavati dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP).

Ovviamente questo numero in eccesso degli esami ecografici pesa molto sulle casse dello Stato. Per il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, si tratta infatti di una cattiva abitudine del nostro Paese, che tende a “medicalizzare in modo eccessivo le gravidanze”, tra l’altro senza miglioramenti specifici nell’ambito dell’assistenza.

Il Rapporto mostra però anche dati di segno opposto, relativi alle donne che invece effettuano troppo pochi esami di controllo. Tale fenomeno è diffuso soprattutto tra le future mamme più giovani: le donne incinte con meno di 20 anni sono quelle con maggiori rischi di assenza di controlli (3,8%) oppure troppo tardivi (il 13,7% delle donne incinte di quest’età fa la prima visita oltre l’undicesima settimana di gravidanza).

Fonte: “Sì24.it”

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Un nuovo test prenatale potrà rilevare la struttura dei cromosomi del feto

È in fase di studio un test prenatale non invasivo, basato sull’analisi del DNA fetale materno, in grado di rilevare non solo la presenza di eventuali anomalie cromosomiche, ma anche la struttura interna degli stessi cromosomi e le patologie a essa connesse.

I test di analisi del DNA fetale sono tra i test prenatali non invasivi più diffusi tra le donne incinte che vogliono verificare la presenza di eventuali anomalie genetiche nel feto.

In un futuro non troppo lontano, questi test potranno essere usati anche per un'analisi ancora più approfondita: lo afferma una ricerca realizzata da Ai-hua Yin del Guangdong Women and Children Hospital a Guangzhou, in Cina, i cui risultati sono stati pubblicati sui "Proceedings of the National Academy of Sciences".

Tra le differenti sindromi collegate alle anomalie genetiche, le più comuni sono connesse al numero delle copie di cromosomi, che è maggiore o minore delle normali due (è il caso, per esempio, della Sindrome di Down, che si caratterizza per la presenza di una terza copia del cromosoma 21). Esistono però anche altre anomalie, che dipendono dalla struttura interna dei cromosomi, connesse a meccanismi di inserzione, delezione o traslocazione del materiale genetico. Si possono verificare, infatti, inserimenti impropri, cancellazioni o spostamenti di posizione di sequenze più o meno lunghe di nucleotidi (le unità di base che formano il DNA). Anche da queste anomalie possono sorgere diverse patologie strutturali e funzionali. Per esempio, la sindrome Cri du Chat è causata dalla delezione di una parte del cromosoma 5 e comporta nei pazienti dei ritardi a livello psicomotorio e mentale; la sindrome di Di George, invece, è collegata con la delezione di una parte del cromosoma 22 e può provocare malformazioni facciali e cardiache.

I ricercatori coordinati da Yin sono riusciti a implementare e raffinare le metodologie di sequenziamento del materiale fetale ottenuto dal sangue materno. Hanno associato tali tecniche alla piattaforma di sequenziamento a semiconduttori, una metodologia rapida e a basso costo. La tecnica è stata sperimentata con il sequenziamento del plasma materno di un campione di 1.476 donne in dolce attesa, per le quali alcune ecografie avevano mostrato anomalie nella struttura del feto. I risultati sono poi stati comparati con quelli conseguiti mediante la tecnica del cariotipo molecolare, o analisi array-CGH. Mediante questa nuova metodologia, gli scienziati hanno scoperto 56 delle 78 delezioni e duplicazioni nel DNA fetale diagnosticate attraverso l'analisi array-CGH, con sensibilità pari a circa il 71%. Per quanto concerne le anomalie relative a più di un milione di coppie di basi, il dato della sensibilità ha raggiunto addirittura il 94%. 58 sono stati invece i casi di falsi positivi, di cui 35 causati da duplicazioni e delezioni nel DNA materno.

Insomma, la nuova tecnica ha già dimostrato una buona affidabilità e nel prossimo futuro potrebbe essere pronta per essere impiegata in modo più diffuso.

Fonte: “Le Scienze”

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In Australia aumentano le donne incinte che si sottopongono a test prenatali non invasivi

Un numero crescente di donne australiane in dolce attesa ha deciso di sottoporsi a test prenatali non invasivi che, tramite un semplice esame del sangue, sono in grado di individuare la presenza nel feto di malattie cromosomiche, come la sindrome di Down, a partire dalla decima settimana di gestazione.

I medici australiani affermano che nel Paese la domanda di test prenatali non invasivi è aumentata esponenzialmente e il mercato per questo tipo di esami è letteralmente esploso in tutta l’Oceania.

Le donne che presentano un maggiore rischio di trasmettere anomalie cromosomiche al bambino possono sottoporsi a questi test evitando – almeno in un primo momento – le procedure invasive dell'amniocentesi, che presentano un rischio, seppur limitato, di aborto spontaneo. Invece di analizzare cellule attinte dalla placenta o direttamente dal liquido amniotico, infatti, alcuni test prenatali non invasivi individuano e analizzano le tracce di DNA fetale che circolano nel sangue della madre.

Lo screening prenatale è generalmente consigliato per le future mamme che presentano maggiori probabilità di anomalie nel feto (per esempio, le donne che rimangono incinta a un’età superiore ai 35 anni). Oggi anche le donne considerate a basso rischio stanno iniziando a sottoporsi a questo esame, per avere ulteriori informazioni sullo stato di salute del bambino che portano in grembo. È importante sottolineare che il test del DNA fetale non è un esame diagnostico ma dà un risultato probabilistico, che è accurato al 99% e presenta un bassissimo tasso di “falsi positivi”.

Fonte: Yahoo News

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