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Aurora magazine

Quali sono gli effetti del vaccino antinfluenzale in gravidanza?

Donne incinte e bambini molto piccoli sono tra i più esposti alle complicazioni dell’influenza. In alcuni casi le complicazioni sono tanto gravi da portare alla morte. Per questo motivo i dottori raccomandano il vaccino antinfluenzale alle future mamme. Poiché però il vaccino antinfluenzale si ripete più volte nella vita, i ricercatori hanno cercato eventuali effetti negativi sul bambino.

Il vaccino aiuta l’organismo a sviluppare gli anticorpi necessari per affrontare il virus. Il problema è che non tutti rispondono al vaccino antinfluenzale allo stesso modo. Un fattore chiave è la ripetizione della vaccinazione. Poiché il virus cambia di anno in anno, molte persone si vaccinano più anni di fila per aggiornare la protezione. Un fattore che potrebbe influenzare negativamente la risposta del sistema immunitario.

Ci sono sempre più prove che aver fatto il vaccino antinfluenzale l’anno prima influenza negativamente il vaccino dell’anno dopo. La professoressa Lisa Christian ha monitorato gli effetti della vaccinazione sul sistema immunitario di 141 madri in attesa. Ha esaminato inoltre come gli anticorpi vecchi e nuovi si sono trasmessi di madre in figlio.

Lo studio ha coinvolto 141 donne incinte e vaccinate per l’anno in corso. Di queste, 91 erano state vaccinate anche l’anno prima. Le 50 donne che non si erano vaccinate l’anno prima hanno reagito al nuovo vaccino antinfluenzale in maniera normale. Gli anticorpi delle altre 91 sono invece risultati più deboli della media.

Una volta nati i bambini, i ricercatori ne hanno esaminato il sangue cordonale. Al contrario delle madri, i bambini hanno reagito al vaccino tutti nella stessa maniera. Anche i figli delle 91 donne già vaccinate l’anno prima sono risultati protetti in maniera completa per il virus dell’anno in corso. Quindi, nonostante la protezione sia minore per la madre, è comunque efficacie sulla prole.

Fonte: osuwmc.multimedia-newsroom.com

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I farmaci per l’HIV potrebbero influenzare lo screening prenatale

Le donne incinte positive all’HIV prendono dei farmaci chiamati inibitori delle integrasi. Secondo uno studio di Aleha Aziz del Montefiore Medical Center, gli inibitori diminuiscono i livelli di DNA fetale nel sangue materno. Ciò rende più difficile effettuare i test di screening prenatale non invasivi.

I ricercatori hanno analizzato il sangue di 20 pazienti che hanno preso gli inibitori durante la gravidanza. Lo hanno confrontato con quello di 40 pazienti che invece non li prendevano. Le donne erano tutte nelle prime fasi della gravidanza, tra i 30 e 31 anni, provenienti da diversi gruppi etnici.

Le donne del primo gruppo hanno mostrato di avere molte meno cellule del feto in circolazione. Il fenomeno era marcato in particolare tra quante stavano prendendo i farmaci durante la prima visita prenatale. Si è rivelata invece poco significativa la differenza tra donne HIV positive e donne HIV negative.

Secondo gli autori, il fenomeno potrebbe derivare anche dalle condizioni immunitarie delle pazienti. Le pazienti con meno materiale in circolo erano infatti quelle con una carica virale meno alta. Le donne che non stavano prendendo i farmaci mostravano invece una carica virale più alta. Ciò avrebbe potuto contribuire ad aumentare la frazione fetale e il materiale genetico in circolo.

Lo studio solleva un problema che nessuno si era mai posto: i test di screening prenatale non invasivi funzionano in combinazione con certi farmaci? Gli autori hanno dimostrato che certe analisi potrebbero essere meno efficaci per una intera fascia della popolazione. Ne consegue che i medici dovranno cambiare approccio con certi soggetti.

Fonte: medpagetoday.com

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L’inquinamento aumenta le probabilità di parto prematuro

L’esposizione all’inquinamento dell’aria nel primo e nel secondo trimestre potrebbe aumentare il rischio di parto prematuro. I ricercatori hanno esaminato gli effetti delle polveri sottili su cavie gravide. È così emerso che l’esposizione nelle prime fasi della gravidanza è ancora più pericolosa del normale.

Ricerche precedenti avevano ipotizzato che le gravidanze in aree molto inquinate fossero più a rischio della media. Il nuovo studio ha confermato quanto detto in precedenza. I ricercatori hanno fatto vivere un gruppo di cavie in mezzo all’inquinamento. Hanno invece posto il gruppo di controllo in gabbie con filtri per l’aria.

Le polveri sottili PM2.5 hanno provocato un calo dell’11,4% del peso alla nascita in metà dei cuccioli del primo gruppo. Inoltre, l’83% delle cavie esposte all’aria inquinata ha partorito in forte anticipo.

Le PM2.5 sono particelle microscopiche, che penetrano in profondità nei polmoni. Si depositano nei polmoni, dove causano infiammazioni e aggravano patologie cardiache già presenti. Sono inoltre vettori per sostanze cancerogene. Nelle donne incinte provocano anche la diminuzione del peso placentare e alterano i livelli ormonali.

La professoressa Judith Zelikoff afferma che le donne incinte dovrebbero evitare il più possibile le zone inquinate. Sarebbe inoltre bene adottare filtri per gli ambienti interni, specie nei primi mesi.

Fonte: independent.co.uk

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Diagnosi preimpianto anche per le coppie fertili

Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso della clinica Mangiagalli di Milano, seguendo un’ordinanza del 18 aprile 2017. Secondo il Tribunale, la diagnosi preimpianto dev’essere disponibile anche per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. Gli aspiranti genitori hanno quindi il diritto di verificare la presenza di eventuali tracce della patologia.

Una coppia aveva chiesto di verificare la presenza di malattie genetiche prima dell’impianto degli embrioni. La clinica aveva rifiutato il servizio, adducendo come motivazione il primo testo della legge 40. Secondo la legge, la diagnosi preimpianto era disponibile solo per le coppie non fertili. La Corte Costituzionale aveva però decretato la mancanza di legittimità della norma.

Il giudice aveva dato ragione alla coppia con un’ordinanza, in quanto affetta da una malattia genetica grave. In casi come questi, pur essendo i singoli fertili, il test del DNA serve a verificare la salute degli embrioni. La coppia ha quindi il diritto di ottenere la diagnosi preimpianto, sia in strutture pubbliche sia a pagamento presso privati. Il Tribunale ha confermato quanto già detto tre mesi fa.

La diagnosi preimpianto è una soluzione per quanti sanno di essere portatori di una malattia ereditaria. In questi casi, usare la procreazione medicalmente assistita e testare il DNA degli embrioni consente di dare alla luce un figlio sano. Per quanti sono a rischio di anomalie cromosomiche dovute all’età, ci sono invece test di screening prenatale non invasivi.

Fonte: ilsole24ore.com

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