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Aurora magazine

Fermare il virus Zika a partire dalle zanzare

Il gruppo di Entomologia Medica del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università Sapienza di Roma lancia la sua proposta per respingere il virus Zika: fin quando non sarà pronto un vaccino, concentrarsi sulle zanzare tigri vettrici della malattia. Secondo il team, è questo il modo migliore per scongiurare il rischio di epidemia anche nel nostro paese.

La zanzara tigre è una specie estremamente diffusa a Roma e nel Lazio e si riproduce con l'arrivo delle alte temperature. A causa delle grandi masse in movimento per il Giubileo e per le Olimpiadi, è probabile che molti turisti portino con sé nuovi esemplari, alcuni dei quali portatori del virus Zika. Mettendo insieme questi fattori, esiste un rischio concreto che la malattia si diffonda anche in Italia.

Il gruppo di ricerca romano ha decenni di esperienza nello studio delle zanzare come vettori di malattie, molti dei quali maturati anche in progetti internazionali. Gli studiosi propongono quindi una serie di provvedimenti mirati a monitorare e controllare la popolazione di zanzare tigre, così da ridurre i rischi di un'epidemia.

Buona parte dei provvedimenti coinvolge luoghi di grande affluenza, come aeroporti e stazioni, nei quali passano ogni giorno milioni di persone. Qui bisogna monitorare la densità di zanzare tigre e il loro eventuale tasso di infezione virale. Si deve al contempo ridurre la densità degli insetti con operazioni di disinfestazione, senza però minare alla salute dei frequentatori abituali.

È fondamentale anche formare adeguatamente la popolazione del posto. Una delle regioni più attive in tal senso è l'Emilia Romagna: nel suo portale www.zanzaratigreonline.it mappa gli insetti presenti sul territorio, con dati aggiornati sul numero di uova trovate durante i monitoraggi settimanali.

Secondo il gruppo di ricerca, la riduzione preventiva delle zanzare abbasserà il rischio di diffusione del virus Zika e avrà un impatto relativamente leggero sulle casse dello stato. I ricercatori della società britannica Oxitec sono della stessa idea: il problema va eliminato alla radice. La società propone quindi di combattere l'epidemia usando zanzare ogm.

Uno studio effettuato in Brasile, dove il virus Zika sta colpendo con più forza, dimostrerebbe che le zanzare modificate possono ridurre la popolazione di zanzare tigre del 90%. All'interno degli insetti ogm viene inserito un gene che viene trasmesso alla prole e le impedisce di raggiungere la maturità. Le zanzare modificate, tutti esemplari maschi, vengono poi immesse nell'ambiente affinché si riproducano insieme alle zanzare autoctone. In questo modo si spazzano via intere generazioni di zanzare prima che possano fare danni.

Il progetto pilota è stato portato avanti nella cittadina di Piracicaba, vicino San Paolo. I primi risultati registrano un crollo non solo dei casi di virus Zika, ma anche di altre malattie causate dalle zanzare. A fronte di 133 casi di Dengue nel 2014-15, dall'inizio del progetto se ne è registrato solo uno.

Fonte: italiasalute.it

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Capelli bianchi: identificato il gene responsabile

Un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra ha identificato il gene responsabile dei capelli bianchi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications e potrebbe aiutare a ritardare l'incanutimento.

La ricerca londinese non è la prima sul tema: prima di essa, ci sono state altre ricerche sulle cause genetiche di calvizie e capelli ricci, condotte soprattutto su campioni europei e asiatici. Questa volta i ricercatori si sono concentrati sul DNA di oltre 6.300 persone latinoamericane, tutte con origini europee, africane e native americane. Ciò ha permesso di allargare lo studio alle influenze di gruppi etnici differenti, così da cercare un elemento comune a tutti da collegare al fenomeno dei capelli bianchi.

Dallo studio è emerso che il principale responsabile genetico della perdita di colore dei capelli è il gene Irf4, situato dentro il cromosoma numero 6. Il gene era già noto per il suo ruolo nel colore dei capelli, ma non si sapeva fosse coinvolto anche nell'incanutimento. Irf4 agisce insieme ad altri fattori, che toccano lo spessore, la densità del capello e la forma dei peli sia sulla testa che in altre parti del corpo.

Il colore dei capelli è dovuto a una serie di pigmenti prodotti dai melanociti, cellule presenti nel follicolo pilifero. Con l'invecchiamento, queste cellule rallentano e interrompono la produzione dei pigmenti. I capelli rimangono quindi privi di pigmento e diventano bianchi. Secondo lo studio, il responsabile del fenomeno è proprio il gene Irft4, anche se solo in parte: i fattori ambientali e lo stress sembrerebbero essere comunque la causa maggiore.

La ricerca potrebbe avere molte applicazioni nell'ambito estetico, nel quale si porta avanti da secoli la lotta contro i capelli bianchi. Al di là di quello, però potrebbe essere un elemento importante per le indagini forensi: da un campione di DNA si potrebbe ottenere un profilo della persona più completo, che comprenda anche il colore dei capelli, se sono lisci o ricci.

Fonte: corriere.it

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Individuate anomalie nel DNA causa del microcitoma polmonare

La rivista Nature ha pubblicato uno studio nel quale si individua una anomalia nel DNA come possibile causa del microcitoma polmonare. Lo studio è stato condotto da un gruppo internazionale di ricerca, al quale ha preso parte anche un team del Laboratorio di Oncologia dell'IRCCS Casa Sollievo.

Il microcitoma polmonare è un tumore maligno che colpisce i polmoni, estremamente aggressivo. Cresce molto velocemente e ha un'elevata capacità di metastatizzare in altri organi. L'85% delle persone a cui viene diagnosticato sopravvive meno di tre anni, salvo i rari casi nei quali lo si riesce a diagnosticare in fase molto precoce.

L'avanzamento estremamente rapido della malattia rende poco fattibile l'opzione chirurgica. Chemio e radioterapia sono la scelta terapeutica cui la malattia risponde meglio, mentre sono ancora in fase di studio i farmaci biologici che indirizzano la tossicità solo alle cellule tumorali.

Il gruppo di ricerca ha cercato di comprendere meglio le cause di questo tipo di tumore, così da elaborare un trattamento ad hoc. La ricerca si basa su una serie di studi che dimostrano che alla base del microcitoma polmonare ci sarebbero delle anomalie cromosomiche complesse. Queste anomalie spingerebbero le cellule a riprodursi in maniera incontrollata, intaccando anche gli altri organi e causando le metastasi.

I ricercatori sono partiti da questa ipotesi e hanno studiato 110 casi di microcitoma polmonare, cercando delle variazioni ricorrenti nel genoma del tumore. Sarebbe emerso il ruolo chiave dei geni della famiglia NOTCH, che influenzano il comportamento delle cellule staminali. Nel 25% dei casi studiati, sarebbe stata riscontrata un'anomalia in questa famiglia di geni.

La scoperta potrebbe aprire la strada alla creazione di nuovi trattamenti, basati su molecole che individuino le anomalie delle NOTCH e rispondano di conseguenza, bloccando le ricadute della malattia. La comunità scientifica sta però battendo anche altre strade e, parallelamente all'analisi dei singoli geni coinvolti, sta studiando il funzionamento del meccanismo tumorale nel complesso.

Il Laboratorio di Oncologia dell'IRCCS Casa Sollievo ha contribuito alla ricerca con un team guidato dalla biologa Lucia Anna Muscarella. Il suo lavoro e le collaborazioni con centri di ricerca nazionali e internazionali è reso possibile anche dai tanti finanziamenti ottenuti dall'AIRC.

Fonte: nurse24.it

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Un'analisi bioptica digitalizzata per personalizzare la diagnosi

La Silicon Biosystems ha pubblicato sulla rivista Scientific Reports uno studio su un nuovo metodo di analisi digitale delle biopsie, chiamato DEPArray.

La nuova tecnica consentirebbe di valutare in soluzione anche tessuti ricavati da tumori solidi, permettendo di studiare genoma ed eventuali mutazioni. In questa maniera sarebbe possibile personalizzare la terapia in base alle esigenze del paziente, con effetti collaterali ridotti al minimo.

DEPArray è figlia dell'ingegneria elettronica e della biologia. Nasce per individuare nel sangue le cellule di un eventuale tumore maligno, così da garantire diagnosi veloci e non invasive. La sua evoluzione può essere applicata anche ai tessuti solidi, con risultati più precisi rispetto alla biopsia tradizionale. La procedura classica prevede infatti il fissaggio in formalina del materiale biologico, che comporta una riduzione spesso eccessiva delle cellule campione.

La nuova tecnologia si basa  sul principio elettrocinetico dell’elettroforesi, che consente di disgregare il materiale biologico e di ottenere delle cellule libere in sospensione. Le cellule così ottenute possono essere analizzate in modo digitale, eliminando le interferenze e dando risultati più affidabili. Il sequenziamento digitale fornirebbe inoltre informazioni a livello molecolare, individuando le alterazioni genetiche presenti nei tumori.

Una volta attiva, la tecnologia DEPArray dovrebbe consentire diagnosi personalizzate, fondamentali per trovare la terapia giusta per ogni singolo caso, e un monitoraggio constante dello stato di salute del paziente. La tecnica si presta anche allo screening prenatale, grazie alle analisi del sangue materno.

Fonte: blastingnews.com

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