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L'importanza del test genetico BRCA contro il tumore dell'ovaio

Il tumore dell'ovaio è un killer ancora troppo poco conosciuto in Italia. Le ultime stime dicono che il 60% delle donne non lo conoscono, questo nonostante i 6mila nuovi casi diagnosticati ogni anno solo nel paese. Al contrario di altre tipologie di tumori, gli strumenti di prevenzione sono pochi: l'arma più efficace è un test del DNA, volto alla ricerca della mutazione BRCA.

Si calcola che 1 caso su 4 di tumore dell'ovaio sia dovuto alla mutazione dei geni BRCA. Per questo motivo, stanno nascendo sempre più iniziative per promuovere il test genetico tra quante hanno avuto un caso famiglia. Ciò consente di individuare il rischio di tumore per tempo, così da intraprendere i percorsi di prevenzione necessari per ridurre il rischio. Purtroppo il 75% delle donne italiane non è a conoscenza della mutazione genetica, benché aumentino del 46% le probabilità di incorrere nella malattia.

Capire se si è portatrici della mutazione può essere determinante per tutte le donne. Chi ha già ricevuto una diagnosi di tumore dell'ovaio può accedere a trattamenti più mirati, che rallentano la malattia e riducono il rischio di recidive. Un esempio sono i farmaci PARP inibitori, che sfruttano la stessa mutazione BRCA per portare le cellule tumorali alla morte. Le donne sane, invece, possono attivare una serie di strategie di prevenzione.

Il tumore dell'ovaio è letale in gran parte dei casi, a causa della difficoltà di individuare i sintomi. Quasi l'80% delle diagnosi avviene quando il tumore è già in fase avanzata, il che riduce di molto la possibilità di ricorrere a trattamenti efficaci.

Fonte: corriere.it

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Tumore del colon-retto: un test del DNA può salvare la vita

Uno studio dell’Università di Stato dell’Ohio, dell’Ospedale Arthur G. James Cancer e dell’Istituto di Ricerca Richard J. Solove rivela che il 16% dei under 50 affetti da tumore del colon-retto presenta delle mutazioni genetiche ricorrenti.

Alcune di queste mutazioni riguardano geni che i normali test del DNA non toccano, lasciando indietro alcuni soggetti a rischio. La scoperta potrebbe quindi innescare importanti cambiamenti nei metodi di controllo usati ad oggi.

I ricercatori hanno analizzato campioni di sangue e di tessuto tumorale prelevati da 450 pazienti tra i 17 e i 45 anni, che avevano subito interventi per la rimozione del tumore tra il 2013 e il 2016. Gli screening tradizionali per il tumore del colon-retto si concentrano su geni specifici, che si sa essere collegati a quella forma di cancro. Il team in questione ha invece effettuato un’analisi parallela di più geni. Ha analizzato sia i geni direttamente ricollegabili al tumore del colon-retto, sia quelli associati ad altre forme di tumore.

I ricercatori si aspettavano di trovare una percentuale molto alta di sindrome di Lynch, una forma ereditaria di tumore del colon-retto. Di 450 soggetti, solo 36 mostravano esclusivamente questa mutazione, mentre 34 avevano solo mutazioni ricollegabili ad altre forme di cancro e soprattutto cancro al seno. Il 33% di questi soggetti non aveva tracce della malattia nella storia di famiglia. Ciò significa che in altre situazioni difficilmente avrebbero fatto uno screening specifico per quel tipo di anomalia.

Lo studio mostra come lo spettro delle mutazioni genetiche rilevanti per il tumore del colon-retto sia molto ampio. Molto più ampio di quanto i ricercatori pensassero. Il team suggerisce quindi uno screening genetico ad ampio raggio, così da individuare eventuali predisposizioni e affrontarle sul nascere. Forse un giorno di potrebbe usare un approccio simile anche per i test di screening prenatale, così da individuare sul nascere qualsiasi possibile pericolo.

Fonte: coloncancernewstoday.com

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Da Google Maps ai test genetici contro il cancro

Jeff Huber, architetto di Google Maps, ha perso di recente la moglie per un tumore. Ha deciso di affrontare il lutto creando una società che dia un nuovo impulso ai test del DNA. L’obiettivo è ottenere un test del sangue che consenta di individuare qualsiasi tipo di tumore sul nascere, solo grazie alle mutazioni delle cellule. Il progetto gode dell’appoggio morale e finanziario di nomi come Bill Gates e Jeff Bezos.

La nuova società di Huber, la Grail, sta impostando un programma di test clinici tra i più grandi mai organizzati. Lo scopo è creare un database con il DNA di migliaia di individui, così da immagazzinare le mutazioni che possono provocare lo sviluppo di un tumore.

È un obiettivo ambizioso, che la Grail condivide con altre società del settore farmaceutico. Tra queste c’è Illumina, società nel cui consiglio di amministrazione c’era anche Jeff Huber e dalla quale nasce Grail. Grail unisce biologia, sequenziamento del genoma, big data e intelligenza artificiale. Un insieme di fattori che, insieme ai giusti investimenti economici, potrebbe portare a risultati importanti.

Esistono già alcuni marker tumorali del sangue, come il Psa per la prostata. I progetti di sequenziamento del DNA potrebbero aiutare a fare molto di più, anche se l’impresa è complessa. Ci sono infatti 37 mila miliardi di cellule in ogni corpo umano, in continuo mutamento. Alcune di queste sviluppano delle anomalie, che di solito il sistema immunitario corregge. Di tanto in tanto una o più cellule sfuggono alle maglie del sistema immunitario, il che provoca lo svilupparsi di un tumore. L’obiettivo è individuare proprio la cellula danneggiata e fermarla per tempo.

Un tempo sarebbe stato impensabile fare ciò a cui mira Grail. Oggi esistono però sequenziatori che tracciano 18 mila mappe genomiche l’anno. Facendone lavorare centinaia alla volta, si ottiene una notevole velocità di calcolo, che rende l’impresa difficile ma fattibile. Jeff Huber mira però ancora più in alto: lui desidera un test del DNA che dia tutte queste informazioni a partire dal materiale genetico presente in una sola goccia di sangue. Un test del genere permetterebbe di individuare le anomalie per tempo, fermando il tumore sul nascere.

Fonte: corriere.it

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Il primo bambino figlio di tre genitori sta bene

È nato in Messico il primo bambino figlio di tre genitori. Oggi ha cinque mesi e sta bene. Il DNA del bambino è frutto del patrimonio genetico di un uomo e di due donne. Una di queste è la donatrice dei mitocondri, dentro i quali è stato inserito il patrimonio genetico dell’altra. La tecnica ha consentito al bambino di nascere senza il gene della sindrome di Leigh, una malattia del sistema nervoso.

I mitocondri sono gli organelli responsabili della respirazione cellulare e sono dotati di un loro patrimonio genetico. Pur non influenzando le caratteristiche fisiche dell’individuo, il DNA mitocondriale può portare con sé alcune patologie genetiche. In questi casi si parla di eredità asimmetrica, poiché i mitocondri sono trasmessi solo dalla madre.

Per evitare l’eredità asimmetrica, in teoria, basta inserire il patrimonio genetico della madre in un ovocita sano. Poiché il DNA mitocondriale appartiene a una donatrice sana, il bambino non erediterà nessuna delle anomalie altrimenti trasmesse dalla madre. E poiché il DNA mitocondriale influenza solo per lo 0,1% il patrimonio genetico dell’individuo, il bambino rimarrà a tutti gli effetti figlio della coppia base.

La coppia protagonista di questa storia aveva già provato ad avere figli. Il gene per la sindrome di Leigh aveva però già provocato quattro aborti spontanei, mentre due bambini erano morti per la sindrome. Da qui la decisione di rivolgersi al team statunitense per la fecondazione assistita a tre genitori. Gli scienziati hanno svuotato l’ovocita di una donatrice, inserendovi il DNA della donna. Dopodiché hanno usato lo sperma del marito per fecondarlo. Ne sono risultati cinque embrioni, di cui solo uno sano poi impiantato.

La fecondazione assistita a tre genitori è una tecnica controversa. I bambini nati dai primi tentativi, fatti negli anni Novanta, hanno infatti evidenziato anomalie cromosomiche in gravidanza. Oggi la tecnica ha fatto grossi passi in avanti, ma sarà comunque necessario tenere il bambino sotto controllo.

Fonte: wired.it

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