Recensioni verificate Soddisfatta del servizio.
Personale disponibile e gentile. Lo consiglio a tutti ...
Cliente Sorgente Genetica
logomysorgente

02  4948  5291

Aurora magazine

Epilessia: cos'è e quali sono i trattamenti

Una crisi epilettica è una scarica elettrica anomala nella corteccia o nel tronco cerebrale, che provoca una varietà di sintomi neurologici. Colpisce circa il 5% delle persone e in gran parte dei casi è un fenomeno isolato. Si parla di epilessia solo se il fenomeno è ripetuto, il che accade a circa lo 0,5% della popolazione.

Le crisi epilettiche isolate sono spesso collegate all'abuso di alcool e droghe o al deficit di sonno. Sono inoltre ricollegabili a elementi di disturbo all’interno del cervello, come tumori o aneurismi. Sono infatti tutti fattori che aumentano l'eccitabilità elettrica delle cellule nervose e ostacolano la loro scarica spontanea. In questi casi l'eccesso di elettricità sfocia nella crisi epilettica, ma si tratta di un evento eccezionale. Nell'epilessia idiopatica, invece, mancano cause evidenti per le continue crisi. Spesso le prime si manifestano tra l’infanzia e l’adolescenza, in soggetti predisposti geneticamente.

La diagnosi della malattia richiede una valutazione della storia clinica del soggetto e dei sintomi. Poiché le crisi provocano la perdita di coscienza, sono necessarie anche le osservazioni esterne di soggetti terzi. L’elettroencefalogramma permette di rilevare eventuali alterazioni nell’attività elettrica cerebrale, a volte presenti anche in assenza di sintomi. Risonanza magnetica e TAC, invece, consentono di individuare tracce più consistenti della malattia ed eventuali cause specifiche.

Nel caso in cui i medici accertino la diagnosi di epilessia, si procede con il trattamento farmacologico. I farmaci antiepilettici servono per stabilizzare l’attività elettrica delle cellule nervose, in modo da bloccare eventuali scariche. La terapia aiuta a ridurre i sintomi e aiuta i pazienti in maniera normale, ma non agisce sulle cause. Inoltre i farmaci possono risultare problematici durante la gravidanza, con conseguente abbassamento dei dosaggi.

Nel 20% dei casi i farmaci sono insufficienti. Si ricorre quindi alla chirurgia, mediante la quale si asporta la regione cerebrale dalla quale partono le crisi. Per farlo è necessario che la regione sia ben identificabile, così da non provocare danni neurologici nel rimuoverla.

Nei casi farmacoresistenti e in quelli in cui la chirurgia è sconsigliata, si può agire anche con la stimolazione del nervo vago. È meno efficace della chirurgia e consiste nell’impianto di un elettrostimolatore nel cervello. Lo si collega con il nervo vago sinistro, che trasporta gli stimoli dai visceri al cervello. La sua stimolazione rende il cervello meno suscettibile alle crisi, anche se non se ne conosce ancora il motivo.

Add a comment

Gliomi maligni cerebrali: che cosa sono

I gliomi maligni cerebrale rappresentano il 40% dei casi di tumori cerebrali. Sono comuni soprattutto tra adulti e anziani e colpiscono le cellule gliali. Queste cellule supportano il sistema nervoso centrale e producono la mielina, il rivestimento dei nervi.

Il tumore si sviluppa sia in maniera diffusiva, lungo i fasci di fibre, sia in maniera proliferativa. In quest'ultimo caso, il glioma forma delle masse che fanno pressione contro il cervello. Ciò provoca crisi epilettiche, difficoltà motorie e deficit cognitivi. Le alterazioni che scompaiono a volte completamente con l'assunzione farmaci anti-edemigeni come il cortisone. Si tratta però di un trattamento puramente sintomatico. La chirurgia è al momento il modo migliore per controllare l'espansione della massa tumorale.

Nel 60% dei casi, i gliomi si manifestano con crisi epilettiche o con difficoltà a concentrarsi e di memoria. Si procede quindi con una TAC del cervello e con una risonanza magnetica, che evidenziano delle masse circondate da edema. Nel caso in cui la diagnosi sia dubbia, si procede con una TAC total body con liquido di contrasto. In questo modo si escludono altri tipi di tumore metastatici.

Per il momento il trattamento prevede la combinazione di chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Si rimuove la massa tumorale e si riduce la pressione contro il cervello, così da migliorare i sintomi. In questo modo il paziente riesce a mantenere almeno in parte la sua integrità funzionale. I trattamenti attuali soffrono però della scarsa conoscenza che si ha del tumore. Si sa che i gliomi si sviluppano a partire da cellule staminali mutate, che si moltiplicano in maniera incontrollata e formano la massa tumorale. È poco chiaro il perché di questo fenomeno.

Add a comment

Carcinoma paratiroideo: cos'è e quali sono i sintomi

I tumori della paratiroide colpiscono le ghiandole endocrine che si trovano in prossimità della tiroide, di solito sul collo. Ne esistono versioni benigne e maligne; nel primo caso di parla di adenoma, nel secondo di carcinoma paratiroideo. È una patologie molto grave e anche molto rara, che porta alla morte per complicazioni a carico di sangue e ossa.

Il carcinoma paratiroideo colpisce in prevalenza uomini e donne tra i 45 e i 50 anni, ma può comparire a qualsiasi età. Il sintomo principale è una ipersecrezione di PTH, l'ormone paratiroideo che controlla i livelli di calcio nel sangue. Si manifesta con una lesione sul collo palpabile e provoca nel 76% dei casi patologia ossea e nel 26% disfunzione renale. I casi più gravi sono però quelli privi della ipersecrezione, in quanto più difficili da diagnosticare. In questi casi la diagnosi è spesso tardiva e diventa difficile intervenire.

I sintomi del carcinoma paratiroideo sono in gran parte legati all'eccesso di calcio nel sangue. Ciò porta all'indebolimento delle ossa, con conseguenti dolori e fratture anomale. Provoca inoltre l'accumulo di calcio nei reni, che porta a sviluppare sete e minzione frequente e calcoli renali. Visto il coinvolgimento della tiroide, i sintomi includono anche fatica e debolezza. Se si avvertono tutti questi sintomi, è consigliabile fare un controllo. È però bene ricordare che le cause dell'eccesso di calcio nel sangue non sono tutte ricollegabili al tumore.

La diagnosi del carcinoma paratiroideo è spesso difficile. L'ipersecrezione di PTH è l'indizio più importante, ma non è sempre presente. Nei casi sospetti, i medici prescrivono anche livelli sierici di calcio, ecografia al collo e scansione delle ghiandole paratiroidi.

Se individuato per tempo, un possibile approccio è la correzione dell'ipercalcemia e l'intervento chirurgico. In molti casi, però, l'intervento viene fatto anche in caso di una ghiandola sospetta, senza la conferma che sia un tumore. Una volta eliminato il tumore, chemioterapia e radiazioni risultano poco efficaci per prevenire le recidive. L'unica strada percorribile è il ricorso ripetuto alla chirurgia, almeno per il momento.

Add a comment

Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro: cos’è e come si manifesta

La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una patologia che colpisce in prevalenza il ventricolo destro. Provoca la sostituzione del tessuto muscolare cardiaco con tessuto adiposo, con conseguenti anomalie strutturali. Si manifesta con aritmie e disfunzioni sempre più gravi, che vanno dalle palpitazioni alla sincope. Se non trattata per tempo, provoca aritmie che possono portare alla morte in pochi minuti.

Nel 30-50% dei casi ha una distribuzione familiare e si trasmette sia mediante geni dominanti che recessivi. Per questo motivo, gli elementi di storia familiare sono un criterio diagnostico fondamentale. Oltre all’anamnesi, la diagnosi comprende ECG grafici, elettrocardiogramma e risonanza magnetica. Per valutare il funzionamento del ventricolo, si può ricorrere anche a uno studio elettrofisiologico. Questo consente di determinare il tipo di aritmia e quando possa essere tollerata dal corpo.

I trattamenti attuali servono soprattutto a evitare le aritmie. Il primo passo è eliminare l’attività fisica rilevante, che potrebbe risultare mortale. Ecco perché in passato la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro ha mietuto tante vittime tra gli sportivi. È inoltre necessario procedere con una terapia farmacologica a base di betabloccanti, amiodarone, sotalolo. In caso di aritmie non controllabili in maniera tradizionale, può essere utile procedere con interventi chirurgici volti a bloccare le aritmie sul nascere. Per i pazienti che hanno già subito un attacco cardiaco, potrebbe essere necessario anche l’impianto di un defibrillatore.

Add a comment