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Aurora magazine

La sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser

La sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser è una patologia congenita che provoca la formazione solo parziale di vagina e utero. In alcuni casi gli organi mancano del tutto e la malformazione si estende a reni, vertebre e cuore.

Nonostante la quasi totale assenza dell’utero, le donne affette da questa patologia presentano comunque sia i genitali esterni che le ovaie. Ne consegue che la sindrome passa di solito inosservata fino all’adolescenza, quando emerge per la mancata comparsa delle mestruazioni.

Le cause della sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser sono al momento sconosciute. Si sa che ha origine durante la vita embrionale, quando lo sviluppo del canale vaginale si arresta. La malattia potrebbe avere cause genetiche, dato che la letteratura scientifica ha registrato alcuni casi familiari. Al momento non sono stati però individuati i geni che potrebbero causare la malattia. secondo un’altra ipotesi, alla base della malattia ci sarebbero alterazioni di tipo epigenetico. Uno studio della Sapienza di Roma e del Policlinico Umberto I hanno infatti individuato alcune alterazioni nell’espressione di geni attivi durante la formazione degli organi. Anche in questo caso, però, il ruolo delle alterazioni è poco chiaro.

L’assenza di vagina e di utero rendono impossibile avere rapporti sessuali e concepire in maniera tradizionale. È quanto meno possibile ricostruire la vagina per vie chirurgiche, così da consentire una normale vita sessuale alle donne affette dalla malattia. In tal senso, il gruppo della dottoressa Cinzia Marchese ha sviluppato una mucosa vaginale in vitro, che consente di ottenere un organo più sensibile e funzionale. La ricostruzione della vagina non risolve però i problemi legati alla fertilità.

Chi soffre di Mayer Rokitansky Kuster Hauser ha spesso delle ovaie perfettamente funzionanti. Nonostante la donna non possa portare in grembo il bambino, può quindi concepire mediante fecondazione in vitro. Ciò rende possibile procreare avvalendosi di una madre surrogata, là dove è legale. In alternativa, i medici stanno lavorando ai primi trapianti di utero. Benché siano necessari ancora molti anni prima che l’intervento diventa di routine, i primi risultati sono stati incoraggianti.

Fonte: osservatoriomalattierare.it

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Disturbo da Deficit di Attenzione o ADHD: cos’è e quali sono i sintomi

Il Disturbo da Deficit di Attenzione è un problema che affligge tra il 3% e il 5% dei bambini in età scolare. Si tratta di un disturbo evolutivo dell’autocontrollo, che provoca difficoltà a concentrarsi e a contenere i propri impulsi.

I bambini che ne soffrono non sono in grado di regolare il loro comportamento in base agli obiettivi che vengono posti, o in base a quanto richiesto dall’ambiente. Viene spesso confuso con la mancanza di disciplina del bambino, ma si tratta di un disturbo vero e proprio che nulla ha a che vedere con l’educazione del singolo individuo.

L’ADHD provoca spesso una serie di disturbi di tipo psicologico secondari. L’incapacità di raggiungere gli obiettivi posti, nonché spesso la colpevolizzazione di scuola e famiglia, provocano infatti sconforto e stress nel bambino. Il comportamento del bambino è inoltre fonte di disagio anche per i genitori e gli insegnanti, che faticano a gestirlo nella maniera corretta. Ecco perché in molti casi si trovano anche loro ad affrontare situazioni di grande stress e disagio.

La diagnosi dell’ADHD può essere estremamente complessa. È infatti facile confondere il deficit di attenzione con la cattiva educazione, problemi psicologici dovuti all’ambiente o addirittura altre condizioni patologiche. I sintomi principali sono disattenzione, iperattività e impulsività. Per essere considerati un vero problema devono essere tanto intensi da ostacolare la socializzazione e lo sviluppo del bambino. Una diagnosi il più possibile precisa tiene inoltre conto dei comportamenti degli ultimi 6 mesi, in modo da stabilire se ci sia una continuità.

Le cause del disturbo sono ancora in buona parte oscure e non ancora rilevabili con la diagnosi prenatale. Si ritiene che alla base ci sia una componente ereditaria, che coinvolgerebbe diversi geni collegati allo sviluppo della corteccia prefrontale. Si tratta infatti della zona dedicata al controllo del comportamento e all’organizzazione. Alcuni studi mettono inoltre in luce alcuni comportamenti in gravidanza, come fumo e obesità, che potrebbero aumentare il rischio di ADHD per il bambino. 

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Alzheimer: possibili cause e sintomi

Al giorno d’oggi sono oltre 600.000 gli italiani che soffrono di Alzheimer. Una patologia devastante non solo per coloro che vengono colpiti, ma anche per le persone che stanno loro intorno. Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti tanti passi in avanti nella ricerca, molte delle cause sono infatti ancora sconosciute. Ciò rende più difficile non solo trovare dei trattamenti efficaci, ma anche identificare le prime fasi della malattia.

I primi segnali evidenti della malattia di Alzheimer sono piccole dimenticanze, problemi ad orientarsi, difficoltà nel riconoscere le persone. Alcuni soggetti presentano anche disturbi del linguaggio in apparenza minori, come la difficoltà a pronunciare una parola che si ha in mente. Seguono cambiamenti nella personalità, sbalzi di umore improvvisi dall’apatia alla rabbia. Sono tutti segni di qualcosa che si sta deteriorando e che trascinano il soggetto verso una progressiva condizione di isolamento sociale.

Le cause dell’Alzheimer non sono ancora del tutto chiare. Si sa che il rischio aumenta con l’avanzare dell’età, poiché colpisce oltre il 10% di coloro che hanno tra i 65 e i 75 anni. La percentuale sale al 40% quando si parla di ultranovantenni. Alcuni studi suggeriscono un ruolo dei mitocondri in tutto questo, ovvero gli organelli responsabili della respirazione cellulare. I ricercatori avrebbero infatti identificato delle mutazioni genetiche che provocherebbe un funzionamento anomalo dei mitocondri. Il malfunzionamento provocherebbe a propria volta una progressiva degenerazione delle funzioni cerebrali.

Nonostante le tante teorie, ci sono ancora poche certezze sulle cause effettive della malattia. La stessa diagnosi in vivo è ancora una sfida. È infatti facile che si crei confusione tra Alzheimer e demenza senile. In questi casi l’unica diagnosi certa può avvenire post mortem. Ciò rende ancora più difficile intervenire contro la malattia, che quando si palesa ha già intaccato in maniera irreversibile le funzioni cerebrali.

Fonte: sciencedaily.com

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Vitamina D: cos’è e perché è così importante?

La vitamina D è una sostanza fondamentale per la salute di tutti i giorni, che diventa essenziale in gravidanza. Un deficit di questa vitamina può infatti causare danni permanenti nello sviluppo del feto, specie a livello di ossa e muscoli.

Pur essendo una vitamina, la D si comporta come un ormone e il gruppo comprende 5 pro-ormoni liposolubili. Sono tutti presenti in latticini, uova e pesce, ma la fonte maggiore è sopra le nostre teste. L’organismo umano è infatti in grado di sintetizzare vitamina D con un’esposizione alla luce solare di 10 minuti al giorno. Si calcola che, in condizioni ottimali, l’80% della vitamina D presente nel corpo umano sia prodotta in questa maniera. Ciò significa che gli integratori saranno difficilmente necessari in presenza di un'esposizione regolare alla luce solare. D’altra parte, alcuni moderni stili di vita rendono sempre più difficile godere degli effetti benefici del sole quanto sarebbe auspicabile.

La vitamina D è essenziale per regolare il metabolismo del calcio. Ecco perché tra i sintomi di una sua carenza ci sono dolori alle ossa e debolezza muscolare. Negli anziani si possono riscontrare cali nelle capacità cognitive. I bambini, invece, mostrano un tasso maggiore di asma e problemi legati al sistema respiratorio. Alcuni studi ipotizzano perfino che la carenza di vitamina D possa essere causa di alcuni casi di depressione.

È importante che le donne in gravidanza tengano monitorato il loro livello di vitamina D. Eventuali carenze potrebbero infatti ostacolare lo sviluppo del feto. Ciò non significa ricorrere agli integratori in maniera indiscriminata. È importante che sia sempre il medico ad evidenziare un’eventuale carenza e, solo in quel caso, a prescrivere gli integratori necessari, oltre a esami di screening prenatale specifici. 

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