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Aurora magazine

Obesa in gravidanza? Il bambino nascerà più vecchio

Uno studio belga suggerisce che i figli di donne obese nascano biologicamente più vecchi. I ricercatori hanno analizzato il sangue cordonale di 743 figli di madri tra i 17 e i 44 anni. È emerso che il materiale genetico dei bambini figli di madri obese è simile a quello di individui più vecchi. Ciò li rende più vulnerabili a patologie quali il diabete di tipo 2 e ad altri disturbi di solito legati all’età.

Ogni cellula contiene sequenze ripetute di DNA chiamate telomeri. I telomeri hanno il compito di proteggere i cromosomi da eventuali intrusioni esterne. Con l’aumentare dell’età, i telomeri si accorciano e le cellule cominciano a dividersi più lentamente. Più sono lunghi i telomeri, più l’individuo è biologicamente giovane e maggiore è la capacità delle sue cellule di moltiplicarsi. Per questo motivo, i telomeri sono un marker dell’età biologica della persona, molto più fedele di quella strettamente cronologica. Infatti la velocità con cui si accorciano cambia di individuo in individuo e non è legata solo allo scorrere del tempo.

I neonati figli di madri obese hanno telomeri più corti di quelli di neonati figli di madri normopeso. Lo studio calcola che i bambini del primo gruppo nascano con un deficit di circa un anno, calcolato secondo la velocità media con cui i telomeri si accorciano negli adulti. Ciò li rende più vecchi dal punto di vista biologico. Altri fattori di rischio per l'accorciamento prematuro dei telomeri potrebbero essere inoltre l’età di entrambi i genitori, il fumo e il peso del neonato alla nascita.

Lo studio mette in evidenza una correlazione, senza però dare una spiegazione del perché del fenomeno. Secondo i ricercatori, inoltre, anche il peso del padre potrebbe avere un ruolo nel fenomeno. Serviranno ulteriori studi per verificarlo.

Fonte: livescience.com

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Gli antidepressivi facilitano i disturbi del linguaggio?

Secondo una ricerca della Columbia University, gli antidepressivi in gravidanza facilitano l’insorgere di disturbi del linguaggio nel bambino. Il Dott. Alan Brown e il suo team si sono basati su dati raccolti tra il 1996 e il 2010 in Finlandia.

Il campione preso in esame comprende 56.340 bambini, di cui il 51% maschi. I bambini esposti ad antidepressivi in grembo hanno mostrato il 63% del rischio in più di sviluppare disturbi del linguaggio.

I ricercatori hanno diviso i bambini in tre gruppi: 15.596 bambini esposti ad antidepressivi in grembo; 9.537 bambini con madri depresse, che però non hanno usato antidepressivi in gravidanza; 31.207 bambini mai esposti ad antidepressivi e con madri non affette da disturbi psichiatrici. Dopodiché, hanno studiato le diagnosi fatte sui bambini di disturbi del linguaggio, disturbi scolastici e disturbi motori.

Facendo un confronto tra il primo gruppo e il secondo, è emerso che c’è un tasso di disturbi del linguaggio del 37% maggiore tra i bambini del primo gruppo. Il tasso si alza al 63%, se si fa un confronto tra i bambini del primo e del terzo gruppo, ovvero coloro con madri che non hanno mai preso antidepressivi.

Si conosceva già l’impatto dell’uso di antidepressivi in gravidanza sulla vita futura del bambino. Adesso si hanno però dati più specifici riguardanti gli effetti sul linguaggio e le funzioni motorie.

Fonte: ansa.it

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La vitamina D in gravidanza contrasta l’insorgere della ADHD

Uno studio della Odense Child Cohort dimostra che l’assunzione di vitamina D durante la gravidanza riduce i sintomi della ADHD.

I ricercatori hanno misurato la concentrazione della vitamina D nel sangue cordonale di 1233 bambini. Quando sono arrivati all’età di 2 anni e mezzo, li hanno sottoposti al test per l’individuazione dei disturbi comportamentali. Nei bambini con più vitamina D in circolo alla nascita il rischio di sviluppare disturbo da deficit d’attenzione è risultato dell’11% più basso.

I ricercatori hanno ripulito i dati da altri fattori di rischio nella madre, come l’età, l’obesità, l’educazione e la presenza di abitudini quali fumo e alcool. In questo modo hanno ottenuto un trend piuttosto chiaro: un livello di vitamina D nel sangue cordonale maggiore di 25 Nanomole per litro intacca lo sviluppo di ADHD. Un collegamento già teorizzato in passato, anche se mai studiato con così tanta attenzione.

Negli studi precedenti era già emerso un possibile collegamento tra carenza di vitamina D e deficit d’attenzione nel bambino. Mancavano però le prove che il legame fosse identificabile così presto nella vita del bambino. Nonostante i test non diano la certezza di un progredire della malattia, mettono comunque in luce i soggetti più a rischio. Ciò consente di intervenire per tempo.

Al momento mancano spiegazioni precise di come la vitamina D protegga contro il disturbo da deficit d’attenzione. Altri studi mettono però in luce l’importanza della vitamina nello sviluppo cerebrale del feto.

Fonte: sdu.dk/da

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Le nausee mattutine riducono il rischio di aborto spontaneo

Uno studio del National Institutes of Health di Bethesda rivela che le nausee mattutine potrebbero ridurre il rischio di aborto spontaneo. Lo studio ha coinvolto 800 donne con una storia di uno o più aborti spontanei, aventi un’età media di 29 anni. Secondo le analisi, il rischio di aborto si sarebbe ridotto del 50% circa nelle donne con le nausee.

I ricercatori hanno chiesto alle donne di tenere un diario, nel quale segnare sintomi di nausea e vomito. Tra la seconda e la nona settimana, le partecipanti hanno aggiornato il diario tutti i giorni. Dalla dodicesima settimana, gli aggiornamenti sono diventati mensili. Nelle prime due settimane, il 18% delle donne soffriva solo di nausea; il 4% soffriva sia di nausea che vomito. Intorno all’ottava settimana, il 57% delle donne aveva solo la nausea e il 27% mostrava anche sintomi di vomito. Alla dodicesima settimana, l’86% delle partecipanti soffriva di nausee mattutine e il 35% anche di vomito. Il disturbo è risultato più frequente tra le donne sotto i 25 anni.

Delle 800 partecipanti 188 hanno subito un aborto spontaneo, quindi il 24% circa. Secondo le analisi, nausea e vomito sarebbero ricollegabili a un rischio di aborto inferiore fino al 75%. È però poco chiaro il perché di questa riduzione del rischio. Gli autori dello studio ipotizzano che la nausea e il vomito spingano la puerpera a un cambio di alimentazione, necessario per il proseguimento della gravidanza. Ciononostante, il collegamento rimane per il momento poco chiaro.

Fonte: quotidianosanita.it

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