Un team di ricercatori italiani, sudafricani e canadesi ha identificato uno dei geni responsabili della cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. È la malattia causa della morte improvvisa di molti sportivi, tra i quali Renato Curi, Vigor Bovolenta, Piermario Morosini. Il gene è il CDH2 e si va a unire insieme agli altri sette già identificati dai ricercatori dell’Università di Padova.
La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una malattia genetica che colpisce il tessuto cardiaco. Il tessuto adiposo e fibroso sostituisce quello cardiaco, favorendo tachicardia e fibrillazione ventricolare. In alcuni casi provoca perdite di coscienza e arresto cardiaco. In assenza di una defibrillazione elettrica immediata, la morte avviene in pochi minuti. Solo in Italia, muoiono ogni anno circa 50.000 persone, molte delle quali giovanissime. La cardiomiopatia ereditaria è infatti una delle cause principali di morte nei giovani sotto i 35 anni.
I ricercatori hanno seguito per 20 anni una famiglia sudafricana colpita da cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Escluse le cause genetiche note fino a quel momento, il team ha sequenziato il genoma di due soggetti malati. I ricercatori sono partiti da oltre 13.000 varianti genetiche comuni tra i due, scremandole fino a identificare il gene CDH2. Hanno poi validato la scoperta trovando questa stessa anomalia in un altro paziente, appartenente a una famiglia diversa.
Il gene CDH2 è responsabile per la produzione della proteina N-Caderina, che consente l’adesione tra le cellule cardiache. L’anomalia altera la produzione della proteina, causando un indebolimento dei tessuti cardiaci e aritmie. I ricercatori avevano già osservato che i topi con la mutazione tendevano a soffrire di aritmie ventricolari maligne, morendo spesso all’improvviso. La scoperta conferma però il ruolo di CDH2 nella malattia umana e ne facilita la diagnosi.
I risultati dello studio potrebbero salvare la vita a molte persone, affette da cardiomiopatia inconsapevolmente. Test genetici, se non addirittura un giorno test prenatali non invasivi, potrebbero identificare la mutazione prima che diventi pericolosa. I soggetti potrebbero così iniziare le strategie di prevenzione necessarie, evitando una morte altrimenti quasi certa.
Fonte: corriere.it