L’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo è una tecnica per la procreazione medicalmente assistita, usata di solito in caso di infertilità maschile. Vi si ricorre quando il seme presenta caratteristiche poco compatibili con la fecondazione in vitro. Come si può intuire dal nome, la tecnica prevede l’iniezione di un singolo spermatozoo direttamente nell’ovocita. Per farlo si usa un microscopio dotato di un sistema di micromanipolatori.
In primo luogo, si recuperano gli ovociti necessari per il trattamento. I medici prescrivono quindi farmaci a base di gonadotropine, ormoni che regolano la funzione delle gonadi. Questi stimolano le ovaie a far maturare più follicoli alla volta. Una volta individuati gli ovociti maturi con l’ecografia, si somministra hCG per indurre l’ovulazione e raccogliere gli ovociti maturi.
Per capire quale è il momento migliore per iniettare lo spermatozoo, i medici verificano il grado di maturità dell’ovocita. Affinché sia pronto, l’ovocita deve presentare il globulo polare, una cellula contente metà dell'assetto cromosomico dell'ovocita. Quando l’ovocita è maturo, lo si blocca con una micropipetta e nel mentre si aspira un singolo spermatozoo con un microago. A questo punto si inietta lo spermatozoo nell’ovocita e si aspettano 18 ore circa per determinare se l’operazione è andata a buon fine.
L’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo ha un tasso di successo superiore al 50%. La si usa soprattutto in caso di problemi di infertilità maschile, come carenza di spermatozoi o loro mancata mobilità. È una tecnica indicata anche quando la donna soffre di un ridotto numero di ovociti oppure è di età molto avanzata. La sua versatilità rende adatta anche a quanti hanno crioconservato ovuli o spermatozoi.
Le donne che si sottopongono a trattamenti di fecondazione assistita possono sottoporsi a test DNA fetale.
Fonte: fondazioneserono.org