I ricercatori del Baylor College of Medicine hanno mostrato che la follistatina ha un ruolo chiave nell’impianto dell’embrione. Hanno così identificato un nuovo elemento della fertilità femminile. Lo studio ha aiutato a comprendere meglio come funziona l’impianto in utero e perché talvolta non riesce. Consentirà inoltre di alzare il tasso di successo delle tecnologie di riproduzione assistita.
L’impianto dell’embrione nell’utero è un processo che richiede un’alta coordinazione. Coinvolge un gran numero di proteine, necessarie per far comunicare embrione e madre tra loro. Quando la comunicazione fallisce, l’embrione non si attacca all’utero e il suo sviluppo si blocca.
I meccanismi dietro all’impianto dell’embrione hanno destato l’interesse di molti ricercatori, specie tra quelli impegnati nella fecondazione assistita. Il mancato impianto è infatti la causa di buona parte dei fallimenti nella fecondazione in vitro. Capire perché questo capiti è l’unico modo per aumentare i successi.
Era già noto che la proteina follistatina aumenta la ricettività dell’utero nei confronti dell’embrione. Serve infatti per la decidualizzazione dell'endometrio, l’insieme di processi che rendono l’utero atto alla gravidanza. Quando si verifica la decidualizzazione, i livelli di follistatina si alzano. I ricercatori hanno però notato che i livelli si alzano ancora prima, durante l’impianto. Hanno quindi creato dei modelli animali privi di follistatina e ne hanno misurato la fertilità.
Le femmine prive di follistatina hanno dato alla luce meno piccoli e meno spesso. Le osservazioni hanno mostrato che gli embrioni non si attaccavano agli uteri di queste cavie, scivolando via. La carenza potrebbe quindi stare dietro al fallimento di molti impianti nell’essere umano. Secondo i ricercatori, questa potrebbe essere la chiave per migliorare le possibilità di successo delle procedure di fecondazione assistita.
Fonte: bcm.edu