Recensioni verificate Soddisfatta del servizio.
Personale disponibile e gentile. Lo consiglio a tutti ...
Cliente Sorgente Genetica
logomysorgente

02  4948  5291

Aurora magazine

Fecondazione assistita: gli embrioni maturi si sviluppano meglio

Uno dei momenti più critici in un ciclo di fecondazione assistita è il trasferimento in utero. Gran parte degli embrioni impiantati non riesce a sopravvivere al processo, determinando il fallimento del processo. Ecco perché stanno fiorendo ricerche su ricerche riguardanti proprio questa fase. Un nuovo studio mostra come impiantare embrioni già maturi dia chance maggiori.

Tenere gli embrioni in un incubatore per più di un paio di giorni è un’impresa. Serve un’attrezzatura di alto livello, che non tutti i centri per la fertilità si possono permettere. Eppure aspettare cinque o sei giorni prima dell’impianto aumenterebbe le possibilità di successo dell’impianto. Il lasso di tempo passato fuori dall’utero funge infatti da selezione, lasciando solo gli embrioni migliori per l’impianto. Lo dimostrano i dati presentati al convegno sulla Riproduzione assistita e Diagnosi Prenatale organizzato da GynePro e CECOS Italia.

La procedura standard prevede di mantenere l’embrione in vitro per due o tre giorni. La nuova procedura allunga questo lasso di tempo di ulteriori due o tre giorni. Nonostante sembri poco, tanto basta per aumentare le possibilità di successo del ciclo. Si calcola che aspettare faccia salire le probabilità dal 30-35% al 56%. Perché?

La procedura allungata sfrutta il processo di selezione che avviene in utero. Gli embrioni che non resistono al periodo di incubazione sono quelli che non attecchirebbero nell’utero. In questo modo si impiantano solo gli embrioni più forti, risparmiando tempo e costi inutili. Inoltre, il processo evita un gran numero di dolorosi aborti spontanei.

Il periodo di incubazione allungato non è disponibile ovunque. Per metterlo in atto servono infatti apparecchiature che consentano di monitorare l’embrione senza estrarlo dall’incubatore. Purtroppo le ha solo metà dei centri italiani.

Fonte: corriere.it