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Presenti mutazioni genetiche pericolose in 1 adulto su 5

Secondo due studi statunitensi 1 adulto su 5 ha mutazioni genetiche legate a una malattia. Queste mutazioni spesso non causano l’insorgenza della malattia stessa, ma aumentano il rischio che compaia. Ciò significa che individuarle per tempo potrebbe facilitare la prevenzione di alcune patologie e magari evitarle. Ecco perché gli studiosi promuovono un uso più diffuso del sequenziamento completo del DNA.

Il primo studio è comparso su The Annals of Internal Medicine. Ha coinvolto 100 adulti sani, che hanno raccontato la storia medica della famiglia. I ricercatori hanno quindi scelto 50 di loro a caso e li hanno sottoposti a uno screening genetico completo. Hanno analizzato circa 5 milioni di sequenze di DNA, collocate in 4.600 geni. Lo screening raccomandato dall’American College of Medical Genetics and Genomics (Acmg) prevede l’analisi di soli 59 geni legati a malattie.

Dallo screening del DNA è emerso che su 50 persone 11 avevano almeno una mutazione a causa di una patologia. È emerso anche che tutti i pazienti in questione mostravano almeno una mutazione recessiva legata a una malattia. Nel caso in cui avessero un partner con la stessa mutazione recessiva, quindi, i figli potrebbero manifestare la malattia. Un’eventualità da approfondire con ulteriori test, che difficilmente sarebbe emersa con la sola anamnesi. Dei 50 partecipanti intervistati e basta, infatti, solo il 16% è stato indirizzato verso analisi genetiche più approfondite. Questo contro il 34% del secondo gruppo.

Il secondo studio ha ottenuto risultati molto simili a quello del primo. Il team dello Stanford Center for Genomics and Personalized Medicine ha analizzato il DNA di 70 adulti sani. Tra questi 12 (il 17% circa) hanno mostrato mutazioni genetiche legate a un rischio più alto di patologie. Anche in questo caso, i ricercatori sono andati oltre l’analisi dei 59 geni raccomandati. Ne consegue che le analisi standard potrebbero essere insufficienti a una prevenzione totalmente efficace.

Fonte: sciencemag.org