L'università svedese di Göteborg e la Federico II di Napoli hanno fatto un primo passo per trovare le cause genetiche del diabete. I ricercatori hanno effettuato analisi del tessuto adiposo e test del Dna su 20 svedesi, di cui la metà con un parente stretto affetto da diabete di tipo 2. Sono emerse differenze importanti tra i due gruppi, che approfondiscono il ruolo tra predisposizione genetica e condizioni ambientali.
I 20 soggetti presi in esame sono 10 donne e 10 uomini, tutti normopeso e di massimo 40 anni. Anche coloro con parenti diabetici sono perfettamente sani. Le differenze tra i due gruppi diventano evidenti solo mediante l’analisi del tessuto adiposo e il test del Dna. I soggetti con parenti diabetici hanno cellule del tessuto adiposo molto più grandi del normale, con un funzionamento quindi anomalo. Ciò porta i tessuti a immagazzinare meno grasso del necessario. Il grasso rimanente entra in circolazione e si deposita sugli organi interni, instaurando l’insulinoresistenza. Alla lunga, questa condizione provoca l’emergere del diabete. I soggetti sono però sani: perché? Come mantenere questo stato di salute?
Per il manifestarsi del diabete sono fondamentali sia il codice genetico che quello epigenetico. Il codice genetico è quello che provoca le caratteristiche fisiche che predispongono al diabete. Il codice epigenetico, invece, è composto da una serie di marker che agiscono sul Dna, attivando o disattivando i geni. Al contrario del codice genetico, è possibile influenzare il codice epigenetico mediante fattori ambientali come l’alimentazione e l’attività fisica. Ciò significa che si può essere a rischio diabete, ma che si può anche evitare l’effettivo sviluppo della malattia mediante un corretto stile di vita.
Lo studio italo-svedese è solo preliminare, ma è comunque un primo passo. In futuro si potranno sviluppare bio marcatori predittivi, che consentano di individuare i fattori di rischio della malattia mediante una sola goccia di sangue. Saranno test del Dna non invasivi, per i quali la biopsia sarà inutile. C’è però ancora molta strada da fare.
Fonte: repubblica.it