Il team del Dr Kimberly Noble della Columbia University ha studiato gli effetti della povertà su dei cervelli immaturi. Ha così provato che crescere in un ambiente povero può effettivamente influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa. Si parla della povertà in sé, non dell’alimentazione, del linguaggio usato nel contesto sociale, della stabilità familiare. Pura e semplice indigenza.
Nei primi anni 2000 Kimberly Noble e Martha Farah osservarono che i bambini poveri tendevano ad avere risultati accademici peggiori. Iniziarono quindi a cercare le cause neurocognitive dietro al fenomeno, per provare un’eventuale correlazione tra stato socioeconomico e performance accademiche. Era la prima volta che qualcuno si poneva il problema.
Nel 2005 Noble e Farah reclutarono 60 bambini provenienti dalle scuole pubbliche di Filadelfia. Diedero loro una serie di test cognitivi, ciascuno dei quali collegato a un circuito cerebrale specifico. I risultati dei bambini di ceto sociale più basso risultarono peggiori rispetto a quelli dei bambini di ceto più alto. Le risonanze magnetiche successive rivelarono inoltre che certe aree del cervello erano meno sviluppate.
Nel 2015 un nuovo studio di Noble, condotto su 1.099 bambini e ragazzi confermò quanto scoperto nel 2005. La scienziata sta ora organizzando un nuovo studio, che durerà 5 anni e coinvolgerà più di 1.000 famiglie indigenti. La metà di queste riceverà $4000 dollari all’anno, l’altra metà riceverà solo $240. Se quanto scoperto in precedenza fosse vero, lo studio dovrebbe registrare differenze importanti tra i bambini del primo e del secondo gruppo.
La scoperta ha implicazioni importantissime dal punto di vista politico. Se ci fosse veramente una correlazione tra povertà e sviluppo neurocognitivo, sarebbe ancora di più dovere dei politici garantire un livello di assistenza minimo alle famiglie indigenti. Ne andrebbe non solo della dignità del singolo individuo adulto, ma anche del futuro di chi è ancora bambino.
Fonte: theguardian.com