Nuove prove supportano la necessità di testare tutte le donne incinte per l’epatite B, in modo da non infettare i nuovi nati. Lo sostiene uno studio dell’Università di Stanford, che ha analizzato gli eventuali benefici derivanti dal generalizzare la pratica.
I bambini si ammalano di epatite B soprattutto al momento del parto. La malattia si cronicizza, si evolve in cirrosi o in carcinoma. Per evitarlo, basterebbe sapere in anticipo se la madre e malata. In questo modo sarebbe possibile ridurre il rischio di contagio durante il parto.
I medici statunitensi avevano consigliato di estendere la pratica a tutte già nel 1996. Hanno ripetuto la raccomandazione nel 2009, sostenendola con gli studi del dottor Jillian Henderson. Questa nuova raccomandazione conferma quanto detto in precedenza, ma si basa su analisi più recenti. Gli autori sono partiti da uno studio del 2012 e da uno del 2014, entrambi incentrati su programmi di screening prenatale.
Lo scopo delle analisi era verificare l’effettiva utilità di un test sierologico sistematico contro l’epatite B. Queste hanno confermato l’accuratezza dei test attuali e l’efficacia nel prevenire la trasmissione perinatale della malattia. Inoltre, i nuovi studi mostrano che ci sono benefici anche per le future mamme.
Gli studi recenti hanno mostrato che i trattamenti antivirali in gravidanza riducono o eliminano le infezioni fetali. I possibili effetti collaterali per mamma e bambino sono minimi, quindi non ci sono controindicazioni. Purtroppo, solo l’84% delle donne statunitensi fa i controlli necessari. La percentuale rimanente espone se stessa e il piccolo a una serie di problemi che potrebbe evitare con poco.
Fonte: medpagetoday.com